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Moralia Blog

Creativi e partecipativi: compiti per le vacanze!

Con la ripresa dopo la pausa estiva, il blog Moralia, curato dall’ATISM, inizierà il suo decimo anno di pubblicazioni.

 

Con la ripresa dopo la pausa estiva, il blog Moralia, curato dall’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale, inizierà il suo decimo anno di pubblicazioni.

Dieci anni!

Un traguardo rispettabile per uno strumento di comunicazione e confronto su temi etico-sociali di attualità. Un traguardo che ha superato anche la proverbiale «crisi del settimo anno». Anzi, durante i lunghi mesi della pandemia, ha registrato una sorprendente vitalità, venendo a supplire a quelle iniziative in presenza venute forzatamente a mancare e mostrando le potenzialità comunicative di questo strumento in tempi più normali, come il presente.

Anche questa volta, per il post di congedo prima delle vacanze, sono andato a rileggere quanto scrivevo negli anni passati e, soprattutto, in occasione del «primo lustro» di Moralia (31 dicembre 2019). I numeri erano davvero carichi di significato: in quell’anno solare erano stati prodotti 79 post, una cifra ulteriormente incrementata, fino a quasi 100, durante l’anno più duro della pandemia (2020-2021). Una portata abbondante di acqua (per usare una metafora idrica) che ha consentito di mantenere irrigato un campo di riflessione delicato e importante che ci sta a cuore.

Ma anche alcune fatiche

All’abbondanza degli anni passati, pur con un certo decremento già nell’anno 2021-2022, fa riscontro l’esigua produzione e pubblicazione dal settembre 2022 a oggi. In questi ultimi nove mesi si contano, con questo, 17 post, perlopiù firmati da (pochi) autori che, con continuità, hanno contribuito in modo convinto ad alimentare questo strumento di comunicazione e divulgazione. I numeri sono questa volta sconfortanti, anche se, come sempre, occorre leggere tra le cifre.

La cura di Moralia è fin dall’inizio stata assegnata a uno o due membri del consiglio di presidenza ATISM e, in questi ultimi mesi, non sono mancati problemi organizzativi per cause indipendenti dalla gestione del blog da parte dell’Associazione.

Si moltiplicano i fronti

La redazione aveva assegnato a un/una socio/a disponibile il compito di curare una specifica area di riflessione (morale fondamentale, rapporti filosofia/teologia, etica della vita, etica sessuale, etica sociale, etica del digitale…) con l’impegno di produrre almeno un post mensile, oltre a quelli dettati da criteri di attualità e di urgenza.

Questa importante «cinghia di trasmissione» si è progressivamente allentata, per il moltiplicarsi dei fronti di impegno dei responsabili e della stessa presidenza. Inoltre l’Associazione si è impegnata per ridare vigore ai congressi e ai seminari in presenza, oltre che per altri progetti legati alla presentazione dei contributi scientifici presentati in quelle occasioni.

Un percorso singolare

Eppure lo strumento di questo blog continua a essere importante! Nel web ci sono blog legati alla carismatica figura dei suoi curatori e altri che si limitano a rilanciare iniziative e riflessioni legate a singole istituzioni.

Moralia, fin dall’inizio, non ha seguito né la prima, né la seconda strada. Piuttosto si è inventato un percorso tutto suo ispirato a criteri di creatività e partecipazione.

La creatività di uno spazio che, senza rinunciare a reagire davanti a situazioni e fatti che interpellano la coscienza critica dei credenti, conservasse un profilo di «distanza» per introdurre opportuni (talvolta alternativi) elementi di valutazione e, soprattutto, consentisse di immettere nel dibattito culturale nuovi temi e prospettive di ricerca.

Praticare il dialogo tra teologia e cultura

Uno spazio, poi, in cui fare concreta esperienza di una partecipazione allargata, in ascolto non solo di voci consonanti, ma anche delle possibili dissonanze per un’effettiva pratica di una razionalità aperta e dialogica. Questi due aspetti ritengo non debbano essere disattesi, tanto più che risultano leggibili in filigrana nelle indicazioni offerte da papa Francesco nella Veritatis gaudium per il lavoro dei cultori delle scienze teologiche.

Con le forze di tutti

Dopo la pausa estiva, per incrementare la portata (di nuovo la metafora idrica) del nostro condotto a una condizione di buona operatività non sono sufficienti solo le valutazioni, che non mancheranno nei prossimi mesi, da parte della Presidenza ATISM, né un riassetto dell’organigramma redazionale, pure necessario.

Occorrono uomini e donne creativi e partecipativi: magari a cominciare dai 910 follower della versione Facebook di Moralia! O dai commenti che chi ci legge vorrà apporre a questo post, commenti che sollecitiamo come un (facile!) compito per le vacanze.

 

Pier Davide Guenzi,

presidente ATISM

Commenti

  • 21/07/2023 Luca Novara

    Un saluto a tutti. Intanto ringrazio il presidente ATISM Pier Davide Guenzi per questo intervento appassionato e oggettivo in occasione del decennale del blog. Sulla sua linea, vorrei sottolineare l'utilità di questo strumento agile e funzionale per il dialogo interno all'Associazione. Probabilmente proprio la riflessione moralteologica necessita, oggi particolarmente, dell'animazione di un dialogo nutrito, aperto e a tutto campo, continuamente provocato e sollecitato dalla più ampia piattaforma culturale attuale che, forse, tende a cassare l'interrogativo morale, che contiene quello etico. Quando ci siamo incontrati a Catania (Etica teologica della Vita), sono stati posti interrogativi importanti e questioni cruciali che avrebbero potuto trovare alcune piste di riflessione successive che invece mi sembrano siano rimaste neglette. A titolo di esempio, riporto qui un mio commento fatto a margine di un articolo pubblicato sul blog da P. Cognato qualche mese fa e che contiene riferimenti a interrogativi di rilievo. Scusate, forse è un po' ampio ma magari può favorire il dialogo e la riflessione: "Riprendo una domanda posta nel consesso citato: su che cosa siamo d’accordo? E su cosa siamo in disaccordo? Avverto la sensibilità analitica nel porre le questioni e il richiamo alla necessità di una teoria morale generale, ma ciò richiede preliminarmente un’analisi antropologica, richiede di focalizzare l’esistente umano che pone l’interrogativo morale. Il compimento del giudizio nella norma passa da una considerazione olistica, unitotale dell’esistente umano: il livello epistemico proprio dell’etica normativa non prescinde dagli altri livelli del quadrifoglio (Privitera) e poi l’analisi va compiuta sull’intero “spettro” della cultura che affetta la coscienza del soggetto. La necessità lucida di distinguere tra atteggiamento e comportamento si muove nella giusta direzione per il raggiungimento del giudizio morale ma, una volta raggiunto, la riflessione moralteologica ha espresso la sua pienezza? E’ necessaria una teoria morale che superi l’astrazione che proviene dalla giustapposizione tra natura e ratio, come se per esempio la natura coincidesse con la chiarezza univoca del concetto, dimenticando l’Erlebnis dell’esperienza. Il metodo analitico è a rischio di estrinsecismo… Per esplicitare meglio il mio pensiero su una possibile teoria della moralità ripresento qui un paragrafo di un mio articolo pubblicato su Synaxis 1/2023, dedicato al fenomeno degli abusi ma che contiene una visione generale su una moralità forse pensata in modo astratto. "Così prende corpo l’ipotesi che i dubbi sull’efficacia formativa dei corsi di morale sessuale siano alimentati dalla stessa obiezione che frequentemente viene rivolta alla riflessione teologica e al pensiero ecclesiale in generale: la distanza dalla realtà concreta della vita umana personale e sociale. Papa Francesco, nella recente Costituzione Apostolica Veritatis gaudium sul rinnovamento degli studi ecclesiastici, ha sottolineato come il magistero del Concilio Vaticano II ha dato impulso al superamento delle dicotomie che permangono tra teologia e pastorale, tra fede e vita umana, richiamando anche il magistero dei pontefici precedenti e del suo predecessore: Come ho avuto occasione di sottolineare, uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente […]. Papa Benedetto XVI ha illustrato la necessità impellente di «vivere e orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione», sottolineando che Dio vuole associare l’umanità a quell’ineffabile mistero di comunione che è la SS.ma Trinità, di cui la Chiesa è in Cristo Gesù segno e strumento. Per raggiungere realisticamente questo scopo, egli invita a «dilatare la ragione» per renderla capace di conoscere e orientare le imponenti nuove dinamiche che travagliano la famiglia umana, animandole nella prospettiva di quella civiltà dell’amore il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura e facendo «interagire i diversi livelli del sapere umano»: quello teologico e quello filosofico, quello sociale e quello scientifico (VG 2) . Per cui, al netto di pregiudizi e luoghi comuni, sembra che l’obiezione sollevi un problema oggettivo, poiché si riscontra nella comunicazione e nel pensiero ecclesiale un debito ancora eccessivo verso spessori simbolici e categorie ormai inattuali rispetto alle consapevolezze presenti e diffuse. E non è solo una questione di aggiornamento dei linguaggi ma sembra che non riceva la dovuta considerazione il focus antropologico primario, cioè la struttura originariamente storica e relazionale dell’umano e che quindi non ci sia una ricerca robusta di sviluppi diversi rispetto alla visione tradizionalmente oggettivistica e naturalistica dell’umano, identificabile anche con l’espressione “antropologia delle facoltà”, ampiamente alimentata dalla tradizione recepta ma probabilmente ormai divenuta inattuale per le nuove consapevolezze raggiunte dagli abitanti del villaggio globale e digitale, bisognosi di un'attuazione di sè in un ampio orizzonte pieno di buone pratiche narrative e transitive , proponendosi così di tematizzare una più promettente “antropologia della libertà”, radicata nella relazione biunivoca tra la dimensione antropologica e quella teologica definitivamente generata dall’Incarnazione, in grado di condurre a consapevolezza sensibile il darsi di Dio nella piena realizzazione della libertà umana. Si prospetta quindi la possibilità di ripensare il concetto di natura umana secondo un nuovo paradigma che ne illustri il debito rispetto all’esperienza e alla storia e in cui la dimensione ontologica è declinata nella direzione fenomenologica ed ermeneutica, in modo da generare un modello antropologico nel quale la natura è intesa in termini di passività originaria (spazio-tempo-mondo, nascita, corpo, socialità, cultura) che in-forma la coscienza (morale). Tale paradigma prospetta l’accesso all’universale specificamente attraverso il particolare, l’universale antropologico è “visibile” sempre in forme storiche concrete, pratiche, in rapporto costitutivo con le esperienze primarie che “affettano” la coscienza. Di conseguenza, ciò indica la necessità di uno sviluppo umano compiuto, perchè la possibilità stessa che l’Annuncio evangelico dispieghi in pieno le sue energie di significato e di valore è strettamente legata al contenitore antropologico, a uno spazio cioè di plausibilità e di ragionevolezza pratica in cui si gioca il realismo della verità cristiana, visibile nel dinamismo delle forme dell’esperienza pratica. E’ in gioco la riforma di una prospettiva metafisica che radica l’imperativo morale in una concezione di natura umana segnata da biologismo ed essenzialismo, tipica della teologia morale post-tridentina che supponeva l’impianto teorico di una antropologia essenzialista dalla quale dedurre la norma, operazione esemplificata dall’assioma agere sequitur esse: La questione del biologismo o naturalismo fisicista ritorna (TB 85), dove si afferma che la forma argomentativa della tradizionale theologia moralis non si sottrae dal limite di un certo razionalismo astratto e di un fisicismo naturalista, che richiama i principi operativi dall’autoevidenza dei propri asserti fondamentali e dalla considerazione prevalente del dato biologico come criterio di identificazione più del malum vitandum che del bonum faciendum. L’idea implicita nel testo citato è che l’intellettualismo e il fisicismo naturalista, per quanto possano apparire opposti, in realtà condividono il medesimo presupposto, che consiste nella giustapposizione di natura e ratio: intellettualismo e fisicismo oscillano infatti tra una ragione senza natura, perché la lex (naturae), almeno nei suoi assunti fondamentali, è conosciuta dalla ragione in modo innato, e una natura senza ragione, perché la natura che diventa legge finisce per identificarsi con il dato biologico. Per quanto siano questioni differenti, l’essenzialismo e il biologismo sono fondati sul medesimo assunto . Inoltre, si pone l’interrogativo su quali possibilità effettive la teologia morale ha avuto, fin dalle sue origini, di incidere effettivamente sulle consapevolezze profonde della persona umana. Sembra infatti che la distanza della disciplina dalle circostanze del vivere umano abbia radici lontane, riferibili sia alla qualità dei contenuti della propria tradizione dottrinale, sia alla qualità dell'esperienza morale occidentale in genere. Infatti, per ciò che concerne lo sviluppo storico dei contenuti relativi, è noto come la riflessione teologica specifica ha raggiunto una identità propria solo in epoca moderna, nei primi decenni del Seicento, al fine di applicare concretamente quanto disposto dal Concilio di Trento sulle competenze dei confessori per il ministero della penitenza, sul discernimento dei peccati e sulla loro gravità: Il capitolo della teologia scolastica, che si occupava di argomenti morali nella forma del commento alla secunda pars della Summa di san Tommaso, fu senz'altro cancellato; l'interesse della teologia per il tema morale rimase assegnata alla competenza esclusiva della casistica. Il cursus casuum conscientiae viene presto ribattezzato come theologia moralis. L'interesse della disciplina rimase però concentrato su un obiettivo parziale, com'è appunto quello di precisare i confini tra il lecito e l'illecito . Di conseguenza, praticamente fino alla metà del ventesimo secolo, questa disciplina ha sofferto di un rilevante difetto di spessore teorico costituito dall’assenza di una trattazione di carattere fondamentale in grado di generare un’intelligenza cristiana dei significati dell’agire, sicchè la sua articolazione, considerata minoritaria rispetto alla dogmatica, è stata prevalentemente rivolta all’istruzione del soggetto agente in rapporto a una natura considerata in linea di massima immutabile, senza considerare le caratteristiche essenzialmente evolutive dell’esperienza morale, focalizzando così la coscienza e la libertà della persona come entità astratte, sussistenti in sé, fuori dall’hic et nunc in cui sempre il soggetto personale si ritrova a vivere e operare, con una considerazione generale dell’humanum contenuta nella già accennata espressione “antropologia delle facoltà”: In questo, due sono i tipi fondamentali dell’argomentazione: il primo si rifà al tema della ”natura”, cadendo nel “naturalismo”, e il secondo ricorre all’argomento del fine dell’agire. L’uno e l’altro eludono l’Erlebnis cioè l’evidenza dell’esperienza concreta. Le morali naturalistiche, da Aristotele e Tommaso fino al magistero morale dei pontefici, occultano l’esperienza oggettivando la natura e riducendola alla chiarezza univoca del concetto. Così esse trascurano sia il vissuto emozionale dell’esperienza sia il rapporto intersoggettivo che invece determina la nostra identità . D’altro canto, è stata anche molto chiara la richiesta del Concilio Ecumenico Vaticano II di fulcrare maggiormente la teologia morale nelle Scritture, indicando così la necessità di una maggiore focalizzazione del contenitore storico e civile, evitando una possibile sfumatura astratta e poco incisiva: Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale, in modo che la sua esposizione scientifica, più nutrita della dottrina della sacra Scrittura, illustri la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo (Optatam totius, n. 16). E’ altrettanto chiaro l’insegnamento del Concilio quando indica la centralità antropologica della dimensione sociale: Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue capacità e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli. Tra i vincoli sociali che sono necessari al perfezionamento dell’uomo, alcuni, come la famiglia e la comunità politica, sono più immediatamente rispondenti alla sua natura intima (Gaudium et spes, 25). Si può ricordare qui, come esemplificazione generale di orizzonti e di metodo, la figura e l’opera del cardinale Carlo Maria Martini, insigne biblista, che nella sua attività pastorale ha sempre privilegiato la promozione del dialogo con la società civile e con i non credenti, l'approfondimento del rapporto indissolubile tra fede, giustizia, cultura e un'ermeneutica delle Scritture in sinergia con altre discipline come la spiritualità e le scienze sociali, mostrando così quanto sia fondata l'affermazione del rabbino e filosofo ebreo Abraham Heschel: «La Bibbia non è la teologia dell’uomo, ma l’antropologia di Dio» . Si richiede quindi una diversa considerazione del soggetto umano e della sua capacità sia di conoscere che di vivere, rivalutando la più sorgiva dimensione antropologica, l’evidenza concreta dell’esperienza sociale e relazionale, vissuta nell’inestirpabile dimensione dell’intersoggettività. La teoria e il metodo fenomenologico e narrativo consentono di raggiungere un concetto più adeguato di identità umana, mostrato nella mediazione originale dell’esperienza pratica e relazionale, nella cui apertura oscillano la vitalità interiore e le inclinazioni sensibili in rapporto alla volontà, indicando così il dinamismo sociale e narrativo dell’esperienza morale: Anche lo stesso Tommaso, tra i diversi modelli che propone per articolare il rapporto tra [...] le inclinazioni spontanee o "naturali" (appetitus sensitivi) e il volere (appetitus rationis), indica [...] il ruolo svolto dall'esperienza. Si può quindi notare una convergenza con quanto attestato dalla fenomenologia, secondo cui la coscienza umana non può essere pensata a monte delle esperienze sensibili nè in termini di soli contenuti concettuali: il soggetto non accede alla coscienza del bene e del male e, insieme alla coscienza di sè, se non richiamandosi alle forme dell'esperienza passivamente vissuta da cui è "affetto" . La relazione è il pilastro generativo della persona: ciascun uomo infatti nelle fasi primarie della gestazione e della nascita “si riceve” da altri, accadendo in un punto dello spazio-tempo, “accorgendosi di esserci” ed entrando nella rete dell’ethos, dove può rimanere in vita e svilupparsi in tutte le sue dimensioni solo se è oggetto di una cura prossemica e benevolente da parte dei genitori o di altri soggetti, costituendosi così in uno stato di attesa e di promessa nei confronti degli altri ed è costituito per sempre figlio. Il tessuto delle relazioni sociali sorgive e benevolenti assume il ruolo di edificazione primaria, costitutiva della persona, generativa della consapevolezza di un significato donato e di un’attesa che si svela come promessa di bene e di appello pro-esistente fecondo e buono, consapevole, generativo di una fiducia possente nella vita stessa: Nessuna vita umana è riducibile a pura sopravvivenza, a «nuda vita», secondo la celebre espressione di Walter Benjamin. C’è sempre un punto in cui essa sporge oltre i bisogni primari, accedendo all’ambito dei desideri e delle scelte, delle passioni e dei progetti. Essendo fin da sempre istituita, la vita umana non coincide mai con la semplice materia biologica. Anche quando è schiacciata, dalla natura o dalla storia, sulla sua falda più dura. […] A conferirle questa qualifica è la sua appartenenza a un contesto storico fatto di relazioni sociali, politiche, culturali. Ciò che fin dall’inizio ci costituisce, e che noi stessi continuamente istituiamo, è la rete di rapporti nella quale ciò che facciamo acquista rilievo per noi, ma anche per gli altri (Esposito, Istituzione) . Così la prassi elementare dell'essere stati beneficati dalla sollecitudine e dalla cura empatica di altri, soprattutto nelle fasi iniziali della vita personale, facilita il riconoscimento dell'affidabilità e della bontà della realtà intera, generando così l'affidarsi come forma della libertà. In questa direzione, anche il concetto di legge naturale rimanda a questa germinale esperienza di bene che il soggetto può aver vissuto avendola ricevuta, dandogli così la possibilità di acquisire la sua libertà nella forma dell’affidarsi. Risiede anche qui il motivo di fondo della sensibilità cristiana per la centralità di nuclei generativi come la coppia, la procreazione, la maternità e paternità responsabili, ambiti tutti in cui l’intensità della cura e della prossimità benevolente possono raggiungere il loro parossismo" Scusate per la lunghezza e anche per qualche citazione saltata, comunque ecco una riflessione. A presto Luca Novara (socio ATISM - sezione Sicilia)

  • 21/07/2023 F. Rustighini

    Ho letto questa pagina. Mi complimento per chi ha portato avanti il lavoro. Giustamente siete alla ricerca di nuovi operai per la vigna. La vostra resta una voce importante anche in riferimento ai mille commenti che si stanno facendo da ogni parte sul prossimo sinodo. Grazie e tanti auguri.

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