Nelle pochissime settimane intercorse dall’elezione di Leone XIV al soglio pontificio (8 maggio; cf. Regno-doc. 9,2025,257; Regno-att. 10,2025,257 e 259), cominciano a emergere dai suoi discorsi e omelie alcuni temi ricorrenti. Per esempio la centralità della fede in Gesù Cristo e l’«impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato…, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo» (ai cardinali, il 9 maggio). E poi la continuità con papa Francesco nella ricerca di verità, giustizia, pace e fraternità (ai cardinali, il 10 maggio, e ai giornalisti, il 12). L’importanza della tradizione e la disponibilità della Santa Sede a favorire i processi di pace (alle Chiese cattoliche orientali, 14 maggio). L’importanza della verità per costruire relazioni pacifiche, tuttavia mai disgiunta dalla carità (al corpo diplomatico, 16 maggio). Lo spirito missionario (omelia per l’inizio del ministero petrino, il 18 maggio, e incontro con la curia romana e i dipendenti della Santa Sede, il 24). Il solido impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso, con «la ricerca del ristabilimento della piena e visibile comunione tra tutti coloro che professano la medesima fede», e sviluppo della sinodalità (incontro con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni, il 19 maggio).
In occasione della 40ª Assemblea generale ordinaria del Consiglio episcopale latinoamericano e dei Caraibi (CELAM), tenutasi a Rio de Janeiro in Brasile dal 26 al 30 maggio, Leone XIV ha inviato al card. Jaime Spengler, presidente dell’organismo,
un telegramma in lingua portoghese (L’Osservatore romano 30.5.2025, 3).
A chi si stava domandando che ne sarebbe stato del percorso del Sinodo della Chiesa universale – nonché delle varie iniziative delle Chiese locali – una risposta è arrivata con la Lettera sul processo di accompagnamento della fase attuativa del Sinodo (15 marzo) inviata dal card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo, a tutti i vescovi e tramite loro al popolo di Dio. Come previsto dalla costituzione Episcopalis communio, sono infatti tre le fasi di questo percorso: quella preparatoria, quella celebrativa e quella attuativa, iniziata con il Documento finale dell’ottobre 2024 (Regno-doc. 21,2024,647). Sui passi che ciascuna Chiesa avrà pensato di compiere nella direzione della sinodalità, poi, e sulle acquisizioni dei 10 gruppi di studio che a giugno dovrebbero terminare i propri lavori, vi sarà un’Assemblea ecclesiale nell’ottobre del 2028. Di questa nuova assise non vengono definite nel dettaglio la composizione e la finalità, ma si trovano delle indicazioni di massima: la composizione sarà più simile alle assemblee ecclesiali continentali che alle assemblee sinodali, che sono e rimangono «sostanzialmente un’assemblea di vescovi»; quanto alla finalità, il card. Grech indica la necessità di «rendere concreta la prospettiva dello scambio di doni tra le Chiese» e di permettere al papa d’«ascoltare e confermare gli orientamenti ritenuti validi per la Chiesa tutta».
In una lettera pubblicata in febbraio, il Dicastero vaticano per i testi legislativi ha sconsigliato la pubblicazione senza giustificati motivi di accuse lesive della reputazione di qualcuno, come quelle di vio- lenze su minori, soprattutto se la persona è deceduta e quindi non può difendere il suo buon nome, come è divenuta consuetudine per diocesi e commissioni d’indagine indipendenti (www.delegumtextibus.va).
Con un Decreto sulla disciplina delle intenzioni delle sante messe, approvato da papa Francesco il 13 aprile 2025 ed entrato in vigore il 20 aprile successivo, domenica di Pasqua, il Dicastero per il clero ha aggiornato la disciplina riguardante le intenzioni delle sante messe e le relative offerte, questione che rappresenta una delle forme più concrete con cui i fedeli partecipano attivamente alla vita della Chiesa. La richiesta di celebrare una messa, per i vivi o per i defunti, è una consuetudine molto antica, finora disciplinata in modo che la Chiesa potesse mantenere la parola data agli offerenti senza incorrere nel pericolo di «commercio» di cose sacre. Il nuovo documento, integrando le norme del decreto Mos iugiter del 1991, introduce regole più chiare per garantire trasparenza e correttezza nei confronti dei fedeli ed evitare abusi che si sono impropriamente diffusi. Nasce per affrontare alcune criticità emerse nella prassi, tra cui «la carenza di clero in grado di soddisfare le richieste di messe», specialmente in merito alle messe con intenzioni «collettive», ovvero celebrazioni che hanno più intenzioni nel medesimo rito. I punti su cui maggiormente si è concentrato il Dicastero riguardano il consenso esplicito degli offerenti, la garanzia dei sacramenti ai più poveri e la vigilanza contro gli illeciti. Infine, è stata annunciata una verifica che, trascorsi dieci anni dall’entrata in vigore di queste norme, controllerà la loro applicazione e stabilirà un eventuale aggiornamento.
«Il registro di battesimo non è una lista di membri, bensì una registrazione dei battesimi che hanno avuto luogo. Avendo come sola finalità quella di attestare un “fatto” storico ecclesiale, esso non intende accreditare la fede religiosa delle singole persone o il fatto che un soggetto sia membro della Chiesa. Infatti, i sacramenti ricevuti e le registrazioni effettuate non limitano in alcun modo la libera volontà di quei fedeli cristiani che, in forza di essa, decidono di abbandonare la Chiesa». Con la Nota esplicativa sul divieto di cancellazioni nel registro parrocchiale dei battesimi, pubblicata il 17 aprile, il Dicastero per i testi legislativi ha chiarito che non è possibile, secondo il diritto canonico, la cancellazione di un battesimo dal registro parrocchiale dei battesimi (chiamata colloquialmente «sbattezzo»). Si può invece fare aggiungere come annotazione un atto formale di defezione dalla Chiesa cattolica, come stabilito già nel 2006 dall’allora Pontificio consiglio per i testi legislativi.
Il 25 ottobre 2024 il Dicastero per i testi legislativi era poi intervenuto con una nota Circa l’effetto di varie «questioni di genere» sui registri parrocchiali a chiarire «la corretta modalità di annotare nel registro dei battesimi i nomi dei genitori del battezzato, qualora il bambino sia figlio naturale di una persona che vive in un’unione omosessuale, o adottato da una coppia di persone omosessuali, o frutto di fecondazione eterologa, di “utero in affitto”» (cf. riquadro a p. 326).
Con una lettera datata 25 ottobre 2024, il Dicastero per i testi legislativi è intervenuto con una nota Circa l’effetto di varie «questioni di genere» sui registri parrocchiali a chiarire «la corretta modalità di annotare nel registro dei battesimi i nomi dei genitori del battezzato, qualora il bambino sia figlio naturale di una persona che vive in un’unione omosessuale,
o adottato da una coppia di persone omosessuali, o frutto di fecondazione eterologa, di “utero in affitto”» (Communicationes [2024] 2, 348s).
C’è molta attualità nel Comunicato finale della sessione straordinaria del Consiglio permanente della CEI del 27 maggio scorso: si parla di papa Leone XIV, al quale i vescovi esprimono «obbedienza filiale» nella «memoria di quanto ricevuto» da papa Francesco. Si parla di pace «disarmata e disarmante», come l’ha definita Leone XIV sulla scia del predecessore, riferita all’Ucraina e alla Striscia di Gaza in particolare. Si parla poi dei referendum dei primi di giugno, lasciando intendere che i vescovi porrebbero un «sì» al quesito sulla cittadinanza ai migranti, anche se sarebbe meglio «una riforma complessiva della legge». Si parla di carceri e del loro affollamento; si parla d’«infinita dignità della persona dal concepimento alla morte naturale», facendo indiretto riferimento da un lato alla sentenza della Corte costituzionale relativa a un minore e alle sue due «madri», dall’altro alla legge toscana sul fine vita. Ma al centro del Consiglio straordinario c’era il prosieguo del Cammino sinodale italiano dopo l’Assemblea del marzo scorso, definita «vivace e creativa». I vescovi hanno steso un «cronoprogramma che prevede un’intensa attività di stesura del testo da presentare alla votazione all’Assemblea sinodale» di ottobre, passando da tutti gli organismi della CEI e dal Comitato sinodale.
«L’abuso nel contesto ecclesiale è sempre spirituale», ed «è sempre anche espressione di abuso di potere e di coscienza». È il principale punto fermo dell’agile sussidio del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana, intitolato L’abuso spirituale. Elementi di riconoscimento e di contesto e pubblicato il 14 aprile, che «si propone di offrire uno strumento concreto per chi desidera affrontare queste realtà con consapevolezza e responsabilità». Il testo presenta i principali elementi caratterizzanti degli abusi, il modus operandi delle persone abusanti e le conseguenze sulle vittime, che non sono necessariamente solo minori o «persone con carenze fisiche, cognitive o psicologiche». Si sottolinea l’importanza del «contesto sistemico» – «comunitario, istituzionale e sociale» –, che è «essenziale per cogliere la responsabilità del singolo, della comunità e della Chiesa stessa».
Il sussidio è stato curato da Anna Deodato, don Gottfried Ugolini, Luisa Bove, don Enrico Parolari, Marco Rondonotti; hanno collaborato suor Alessandra Bonifai, mons. Gianni Checchinato, Roberto Costamagna, Ludovica Eugenio, mons. Alessandro Giraudo, Martin Lintner, Luciano Manicardi, don Lello Ponticelli, Chiara Palazzini, don Fabrizio Rinaldi, suor Elisabeth Senfter, Assunta Steccanella, suor Mariachiara Vighesso.
Il 23 aprile è stato pubblicato un testo, approvato nella seduta del 4 aprile dalla Conferenza congiunta tra la Conferenza episcopale tedesca e il Comitato centrale dei cattolici tedeschi, un organismo costituito in forma permanente dal Sinodo tedesco di Würzburg del 1971-1975, di cui fanno parte dieci vescovi e altrettanti laici. Si tratta di un breve sussidio intitolato La benedizione dà forza all’amore. Benedizioni per coppie che si amano, elaborato da un apposito gruppo di lavoro per offrire ai vescovi diocesani indicazioni pratiche non vincolanti per la benedizione di coppie che non possono accedere al matrimonio sacramentale. La Chiesa «riconosce e offre sostegno alle coppie che sono unite nell’amore, che si trattano con pieno rispetto e dignità e che sono disposte a vivere la loro sessualità nella consapevolezza di sé, dell’altro e della responsabilità sociale a lungo termine», si legge nel documento, che adempie a una richiesta del Cammino sinodale tedesco che la Conferenza episcopale tedesca e il Comitato centrale dei cattolici tedeschi elaborassero insieme una proposta di condizioni quadro e di organizzazione delle benedizioni; e tiene conto di quanto prescritto dalla dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la dottrina della fede sul senso pastorale delle benedizioni (2023).
Diversamente da quanto richiesto dal Cammino sinodale, non offre schemi o libretti approvati, ma richiama la necessità che le benedizioni di questo tipo si distinguano chiaramente dai matrimoni e siano caratterizzate da spontaneità e libertà. Secondo la stampa tedesca, il documento è stato preventivamente condiviso con le autorità vaticane.
«Abbiamo assistito a un profondo cambiamento nelle priorità europee, che si sono allontanate dalla solidarietà con le regioni e le comunità più fragili e dalla cooperazione allo sviluppo finalizzata a sradicare la povertà e la fame, a favore di una serie di interessi geopolitici ed economici più ristretti. Nonostante le lodevoli intenzioni che stanno dietro ad alcuni progetti che promuovono lo sviluppo umano alla base, alcune iniziative sostenute nell’ambito del Global Gateway dell’UE – pur essendo presentate come reciprocamente vantaggiose – sembrano troppo spesso replicare i modelli estrattivi del passato: privilegiando gli obiettivi aziendali e strategici europei rispetto ai reali bisogni e aspirazioni delle popolazioni africane».
Ha usato toni inusualmente critici la Dichiarazione congiunta del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SCEAM) e della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (COMECE), pubblicata il 15 maggio in vista della riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Africana e dell’Unione Europea del 21 maggio 2025. Intitolata «Perché sappiamo che le cose possono cambiare» (Laudato si’, n. 13), afferma tra l’altro che «è eticamente insostenibile chiedere che l’Africa diventi la discarica per la “transizione verde” dell’Europa».
L’8 maggio, in vista della Giornata dell’Europa del 9, nel 75° anniversario della Dichiarazione Schuman che gettava le basi della cooperazione europea, la Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (COMECE) ha pubblicato un Appello per una maggiore
unità in mezzo a sfide globali, firmata dal presidente mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina (www.comece.eu; nostra traduzione dall’inglese).
In un incontro tenutosi il 27 e 28 febbraio presso la sede della Commissione dell’Unione Africana ad Addis Abeba su «Il ruolo delle comunità di fede e delle organizzazioni etiche nel promuovere la giustizia per gli africani e le persone di origine africana attraverso i risarcimenti», è stata firmata una Dichiarazione di Addis Abeba delle organizzazioni religiose, interconfessionali, etiche e scientifiche sui risarcimenti, pubblicata sul sito del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar
Lo scorso 15 e 16 febbraio ad Addis Abeba (Etiopia) la 38a Assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana (UA) ha individuato come tema dell’anno «Giustizia per gli africani e le persone di discendenza africana attraverso risarcimenti», una scelta che costituisce una svolta rispetto ai temi più tecnici e legati allo sviluppo degli anni precedenti e ha suscitato sorpresa e preoccupazione in Europa, dove la questione coloniale è stata sin qui trattata a livello di singoli Stati e non ancora di Unione Europea (UE).
A partire dalla preoccupazione per la violenza che sta vivendo il paese, l’episcopato della Bolivia ha pubblicato il 4 ottobre 2024 una «lettera pastorale sulla violenza» intitolata Per una cultura di pace, proponendo a tutto «il caro popolo boliviano» di lavorare per la costruzione di una società in cui scompaia la violenza (il paese è uno dei più poveri dell’America Latina, con un livello di violenza molto alto soprattutto nei confronti delle donne e dei bambini) e regni la pace. Secondo i vescovi «la violenza è una cultura ormai radicata nel nostro ambiente, nelle diverse istituzioni e ambiti sociali, sembra che sia diventata qualcosa di normale nella nostra vita quotidiana, e che vi sia un alto grado di insensibilità verso le situazioni di violenza». Innanzitutto, considerato il problema delle violenze sessuali su minori da parte dei membri del clero, si premette che «non possiamo esprimerci su questo tema senza prima chiedere perdono a coloro che hanno subito queste situazioni di violenza. I segnali e gli sforzi che la Chiesa sta compiendo cercano di realizzare un processo di prevenzione e di escludere qualsiasi tipo d’impunità». Quindi, seguendo il classico schema «vedere - giudicare - agire», vengono affrontate con un rimando alla morale più tradizionale le questioni della violenza domestica e di genere, e con una maggior efficacia e precisione i problemi della violenza collettiva ed ecologica.
Il 13 marzo 2025 i vescovi cattolici della Bolivia hanno nuovamente preso la parola, con un co- municato intitolato A mali estremi, estremi rimedi, per chiedere cambiamenti radicali di fronte alla profonda crisi politica e istituzionale che sta attra- versando la Bolivia, che si prepara al voto in agosto.
«La teologia del dialogo interreligioso non è una passeggiata. Ed è incardinata proprio sul tentativo di risemantizzare parole conflittuali, la più terribile delle quali – assieme a guerra – è “arma”: la verità è amore, e l’amore è l’arma vincente nel dialogo interreligioso, che per suo statuto è del tutto disarmato e disarmante». Nel corso di questo contributo intitolato «Le armi del dialogo: risemantizzare i linguaggi conflittuali», tenuto come introduzione al seminario «Armiamo la pace: per una nuova ermeneutica dei linguaggi religiosi» il 30 aprile scorso a Palermo presso la Facoltà teologica di Sicilia, il teologo Massimo Naro ha definito in vari modi il concetto-chiave dell’intero seminario, e cioè la «risemantizzazione». Significa, dice l’autore in riferimento ad alcuni detti di Gesù, «contestualizzare le parole, anche le più puntute e pungenti, per farne risaltare un altro senso, il senso altro»; far leva sulla loro «ambiguità (…), coglierne la virtù, trasfigurarla in un sovrappiù di senso, traducendo la tenacia in tenerezza»; e «innanzitutto, non esclusivamente dotarle di inediti significati, ma recuperarne e precisarne il senso originario». Oltre ad «arma», «armare», il testo porta altri esempi di parole che ricorrono tra le religioni: «dialogo» e «diverbio», «tra», «confronto» e «confine», «ospitalità», «digiuno» e infine «silenzio». Che, «allorché assorbe le grida, i pianti, le suppliche di chi patì nel Lager», è «come quello di Dio, anzi che... è condiviso con Dio e che, più radicalmente, coincide con Dio».