Un anno di "Laudato si'": una forza da liberare
A un anno da Laudato si’: vitalità di un dibattito
Ripensare la Laudato si’ (LS) ad un anno dalla
pubblicazione significa per Moralia
tornare su un testo che ha solo iniziato a dispiegare
la sua forza di interpellazione etica. Un testo cui questa testata aveva
dedicato un Dialoghi anticipato Aspettando l’enciclica, espressivo di un’attenzione
ora confermata da questa uscita.
I diversi contributi esplorano alcune dimensioni dell’enciclica di papa Francesco, dal suo rapporto con la costituzione pastorale Gaudium et spes (Guenzi), alla figura di Dio che essa propone (Benanti), all’unità della terra cui essa orienta (Micallef), alle sue implicazioni ecumeniche (Sgroi), finom a coglierla come parola di pace (Dall’Olio) sulla madre Terra (De Vecchi). Appare chiaro in essi che davvero la LS non ha deluso le attese: sulle reazioni critiche (alcune espresse persino prima della pubblicazione), prevalgono i consensi e un interesse ampio, ben aldilà del mondo cattolico. È interessante, allora, cogliere alcune risonanze - prevalentemente in Italia – entro un processo di recezione troppo vasto per esaurirlo nella brevità di un contributo.
1. Una pluralità di reazioni
Cordiale e positiva la reazione del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, direttamente riconosciuto come una fonte di ispirazione da papa Francesco: la sua risposta coglie in LS l’espressione di una fraternità ecclesiale nella cura della terra. Altrettanto simpatetiche le reazioni del mondo protestante, specie nei soggetti più attenti alla responsabilità per il creato. 1
Meno scontate le positive reazioni del mondo scientifico internazionale: basti citare il dossier della prestigiosa rivista Nature Climate Change (nel n. 5 del 2015) 2 per comprendere l’attenzione ed il consenso raccolti dall’enciclica. Nella stesso senso in Italia l’ampio e positivo dossier di Ecoscienza 3 (espressione dell’Agenzia di protezione ambientale dell’Emilia Romagna, ma in effetti di rilievo nazionale) con vari interventi di soggetti operanti in campo ambientale. Simpatetica ed articolata la lettura di Paolo Cacciari, 4 figura storica dell’ambientalismo sociale, che pure non manca di sottolineare in LS un residuo di antropocentrismo che - a suo dire – ne costituirebbe un limite. Esprimono invece preoccupazione per la critica del paradigma tecnocratico presente nel capitolo III – potenzialmente una fonte di rinnovate tensioni tra scienza e fede – alcune figure del mondo scientifico (Pievani, Boncinelli…) intervenute su Avvenire il 15 luglio 2015.
Differenze di posizioni, insomma, nel «mondo laico» italiano; lo evidenzia pure il dibattito su LS aperto dal sito www.doppiozero.com. Il testo d’avvio di Francesca Rigotti è duramente critico: valuta inadeguata la competenza dell’estensore (se «avesse studiato, forse non parlerebbe con tanta leggerezza della “potenza infinita” del Signore»), ma rivela pure la sua limitata conoscenza del mondo concettuale cui si riferisce; la sua lettura esprime così più precomprensioni circa la posizione etico-sociale cattolica, che una reale percezione della specificità della LS. 5 Toni diversi negli interventi successivi: Michela Dall’Aglio, ad esempio, - nonostante il carattere scherzoso del titolo (Papa Francesco e il pesce Nemo) - esprime serio apprezzamento per «un’enciclica umanistica ed anche politica nel senso originario della parola di gestione della vita in comune». 6
Emerge qui la funzione di stimolo di LS per un dibattito capace di mettere in discussione storici stereotipi, chiamando mondi diversi ad un dialogo a tutto campo. Significativo in tal senso il testo che - un anno dopo l’enciclica - mette a confronto un ambientalista come Ermete Realacci ed un vescovo attento al sociale come Michele Pennisi. 7
2. Il mondo ecclesiale
Più difficile dar conto dei numerosissimi testi ed articoli di commento espressi dal mondo cattolico. Vale la pena di segnalare, tra l’altro, che diverse testate – al pari di Moralia – hanno programmato un momento di ripresa dell’enciclica o dei suoi temi a circa un anno di distanza; tra quelle a conoscenza di chi scrive si segnalano, ad esempio, Credere Oggi, Studia Patavina, Studi Ecumenici. Ci limitiamo quindi a indicare alcune accentuazioni di rilievo.
Merita un’attenzione particolare la lettura dell’enciclica proposta da Leonardo Boff (tra gli autori che più sembrano aver ispirato la riflessione di Francesco) che coglie nel testo la forte centralità dell’ecogiustizia. 8 Pregnante anche il contributo di Ugo Sartorio, che evidenzia la dimensione francescana di LS, ma soprattutto la percezione dell’interconnessione. 9 Cristina Simonelli, d’altra parte, esplora la dimensione contestuale dell’enciclica, ma anche la complessità del linguaggio utilizzato per dire la relazionalità e la vulnerabilità condivisa. Un’attenzione sistematica per la LS ha caratterizzato in questi mesi la rivista Aggiornamenti Sociali, con i pregnanti editoriali di Giacomo Costa, ma anche con altri contributi ora accessibili on line. 10
Più orientato alle pratiche il dossier curato da alcuni Uffici CEI Laudato si’: rinnovare l’umano per custodire il creato, teso a favorire una traduzione pastorale dell’enciclica, 11 nella stessa direzione l’iniziativa internazionale, promossa dal Global Catholic Climate Movement, di una «settimana della Laudato si’» un anno dopo la sua presentazione, 12 tra i partner, l’italiana FOCSIV.
3. E la teologia?
Tra le molte letture della LS, procede con maggior gradualità, almeno in Italia, l’approfondimento da parte della teologia e dell’etica teologica. Del resto, occorre probabilmente più tempo per metabolizzare appieno il potente ripensamento cui essa orienta, nel segno del Dio amante della vita. Occorre tempo per un equilibrata rimodulazione dell’antropocentrismo, abbandonandone le forme dispotiche ed eccessive, senza smarrire l’attenzione per una singolarità umana che andrà declinata proprio entro una relazionalità pluridimensionale. Occorre tempo, ma la stessa LS ricorda che il dibattito degli specialisti non può protrarsi all’infinito, dinanzi al «grande deterioramento della nostra casa comune» (n.61).
Non mancano, del resto, gli spunti: chi scrive, ad esempio, ha proposto una ripresa dell’enciclica nel segno della misericordia, 13 in sintonia col Messaggio per la Giornata del creato proposto dalla CEI per questo 2016: «La misericordia del Signore, per ogni essere vivente». 14 L’esplorazione del potenziale di rinnovamento della LS, insomma, è ancora in gran parte dinanzi a noi e speriamo che anche questo Dialoghi di Moralia possa contribuirvi.
1 Cf. le prime reazioni della Federazione mondiale luterana all’indirizzo: https://www.lutheranworld.org/news/lwf-welcomes-pope%E2%80%99s-encouragement-tackle-climate-change. Per il mondo riformato un confronto tra l’enciclica di papa Francesco e la Confessione di Accra del 2004, espressiva di un’analoga posizione sui temi ecosociali all’indirizzo: http://justiceunbound.org/carousel/laudato-si-and-the-accra-confession-in-conversation/.
2 Cf. http://www.nature.com/nclimate/journal/v5/n10/full/nclimate2821.html.
3 Ecoscienza 6 (2015), pp. 18-32.
4 Cf. P. Cacciari, «I significati politici, etici e spirituali dell’“ecologia integrale” di Bergoglio», in Alternative 38(2015).
5 Cf. F. Rigotti, «Risposta alla lettera enciclica Laudato si’», in Doppiozero 20.7.2015. L’a. critica i riferimenti a testi magisteriali in quanto «decisamente difficili da reperire al fine di un controllo dei contenuti» (evidentemente non ha mai visitato il sito www.vatican.va con gli utili strumenti di ricerca).
6 Cf. M. Dall’aglio, «Papa Francesco e il pesce Nemo» in Doppiozero 10.9.2015.
7 Cf. E. Realacci, M. Pennisi, Scelte necessarie. Riflessioni e proposte a un anno dalla Laudato si’, Rizzoli, Milano 2016.
8 Cf. L. Boff, «La Magna Charta dell’ecologia integrale: grido della Terra - grido dei poveri» in L.Boff et al., Curare madre terra. Commento all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, EMI, Bologna 2015, pp.5-20.
9 Cf. U. Sartorio, Tutto è connesso. Percorsi e temi di ecologia integrale, EMI, Bologna 2015.
10 Cf. G. Costa, P. Foglizzo, «L’ecologia integrale. L’ecologia integrale, come paradigma concettuale e come percorso spirituale, rappresenta il cuore dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco», in Aggiornamenti Sociali 66(2015)8-9.
11 Cf. «Laudato sì – Speciale enciclica», in Aggiornamenti Sociali 66(2015)8-9.
12 Cf. https://catholicclimatemovement.global/it/.
13 S. Morandini, Un amore più grande del cosmo. Laudato si’ per un anno di misericordia, Cittadella, Assisi 2016; cf. anche Id., Laudato si’. Un’enciclica per la terra, Cittadella, Assisi 2015.
14 Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, Messaggio per l’XI Giornata nazionale per la custodia del creato, 15.5.2016.
A 50 anni dalla Gaudium et spes
La pubblicazione della Laudato si’ (LS) a cinquant’anni dalla Gaudium
et spes (1965 - GS) invita a
riprendere l’enciclica di papa Francesco nello specchio dell’innovativo
documento conciliare, ideale punto di riferimento per il ripensamento del
successivo magistero sociale della chiesa. Lo sforzo di ridefinire un quadro
antropologico per la lettura dei problemi socio-culturali, che caratterizza l’articolazione
tra la prima e la seconda parte della costituzione conciliare, appare guidata
dalla preoccupazione di non produrre solo una disamina «orizzontalista» e «sociologica»
dei fatti, quanto piuttosto di offrire un tentativo
di lettura teologica come paradigma interpretativo all’analisi sociale,
senza per questo negare l’indipendenza metodologica di quest’ultima.
L’esito del documento fu di «dislocare» i contenuti consolidati della dottrina sociale ecclesiale dal contesto di origine, segnato da una critica nei confronti di alcuni aspetti della modernità, verso una maggiore capacità di lettura del mutamento sociale contemporaneo. Nondimeno emergeva la complessità delle problematiche, la cui vastità non poteva essere adeguatamente affrontata senza fare riferimento a più puntuali considerazioni, legate ai saperi delle singole scienze, accanto alla chiarificazione dei principi irrinunciabili per la lettura cristiana del sociale. Analoga preoccupazione è ravvisabile nel disegno complessivo di LS.
A riguardo può essere istruttivo fare riferimento ai numeri dell’enciclica in cui compaiono dirette riprese di GS e, a partire da esse, svolgere qualche considerazione di portata generale.
1. L’autonomia delle realtà terrene e la ricomprensione dell’antropocentrismo (GS 36 – LS 80)
Uno dei punti nodali di GS conciliare risulta l’attenzione riservata alla «autonomia delle realtà terrene», secondo la quale «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare». Tale esigenza è giudicata «legittima» e «non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore» (GS 36). Nello sviluppo della costituzione pastorale l’affermazione si soffermava sulla bontà e la pertinenza della conoscenza scientifica, contribuendo, almeno nelle intenzioni, ad appianare il secolare dissidio tra scienza e fede, pur prendendo le distanze da una concezione dell’autonomia come radicale indipendenza dal Creatore, «il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono» (ivi).
Il documento conciliare è ripreso, pur allusivamente, da papa Francesco in LS 80, più che in riferimento alla questione del confronto tra prospettiva scientifica e religiosa, sotto il profilo teologico, comprendendo l’atto creatore come «autolimitazione di Dio» che lascia spazio ai dinamismi evolutivi autonomi degli esseri e della specifica azione umana. Il testo invita ad aprire la sobria indicazione conciliare del Creatore che «mantiene» e conferisce la realtà propria di ciascun essere creato, verso una sua presenza in ogni cosa. La collaborazione con il Creatore, assume, pertanto, la sua particolare espressione là dove si comprende che «egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della sua creature, e anche questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene» (LS 80).
Questa autonomia non è soltanto da comprendere, come in GS, in riferimento all’attività dell’uomo nell’universo e alla libertà del suo conoscere, ma nel riconoscimento che ogni realtà creata contiene in sé un particolare valore, che domanda di essere rispettato da parte dell’essere umano (cf. LS 69). L’affermazione di Francesco, prolunga e approfondisce, con una significativa tangenza alle contemporanee teologie più attente alla prospettiva ecocentrica, quanto GS indicava, già temperando una possibile accentuazione antropocentrica presente nel documento conciliare, suggerendo che «l’uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve, e le guarda [respicit, nel senso implicito anche di «rispetto»] e le onora come se al presente uscissero dalle mani di Dio» (GS 37).
2. La centralità dell’uomo nell’attività economica (GS 63 – LS 127)
Il secondo richiamo esplicito alla costituzione pastorale conciliare in LS è rintracciato al n.127, dove - nella prospettiva dell’ecologia integrale - si esamina il valore dell’attività umana. Riprendendo il significato del lavoro, come realtà non puramente strumentale bensì atto espressivo della persona, Francesco cita GS 63, che riconosce nell’uomo «l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale». L’indicazione conciliare va al di là di un semplice richiamo poiché il paragrafo di GS contiene in nuce numerosi elementi presenti in LS: attraverso la trasformazione dei beni e la loro distribuzione mediante l’attività economica non solo si coglie il senso dell’attività umana sulla creazione, ma anche si realizzano rapporti crescenti di interdipendenza, per soddisfare «le aumentate esigenze della famiglia umana» (GS 63).
Il documento del Vaticano II è consapevole, tuttavia, dei rischi insiti nell’esasperazione della mentalità economicista, a discapito di più significative modalità di espressione dei legami inter-soggettivi, e nell’allargamento delle disparità sociali, con il conseguente «regresso delle condizioni sociali dei deboli» e il «disprezzo dei poveri» (ivi). Il tema della cultura dello scarto, ampiamente presente nel testo di Francesco (cf. LS 16, 20-22, 43), trova una sua radice nell’insegnamento cinquantennale della GS e, parimenti, risulta ulteriormente precisato alla luce dell’evoluzione dell’economia globalizzata.
Raccogliendo l’insegnamento del concilio e dei successivi approfondimenti del magistero sociale dei pontefici, Francesco chiama ad un ripensamento non solo del modello di sviluppo, ma anche della stessa economia, come già auspicava GS 63, richiedendo «molte riforme nella vita economico-sociale e in tutti un mutamento nella mentalità e nelle abitudini di vita». I pesanti problemi dell’inquinamento e la difficoltà ad adottare un «modello circolare di produzione», in LS sono «intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi, quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura» (cfr. LS 22).
Non si tratta, nella lettura di Francesco, di considerare unicamente le «interconnessioni», descrivibili attraverso la sequenza dei processi innescati nella produzione e distribuzione dei beni estratti dalle risorse naturali, ma di cogliere le molteplici «relazioni». Anche una buona riflessione sui nessi causali non può essere sufficiente. Occorre piuttosto scendere a un livello più profondo e originario. Cardine di tale prospettiva, con un evidente riverbero sulla comprensione di sé da parte dell’essere umano, risulta essere il nesso relazionale che lega i viventi: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolva un problema creandone altri» (LS 20).
3. Il primato del politico sull’economico (GS 26 – LS 156)
La via ipotizzata da papa Francesco per superare l’accentuazione unilaterale del potere economico è quella di restituire un più evidente ed efficace primato al «politico» (cf. LS 189) nelle decisioni che riguardano il ripensamento dei modelli economici, anche in vista di una significativa «decrescita» (cf. LS 193), per una ridistribuzione nell’accesso ai beni della terra secondo giustizia e sostenibilità.
Aspetti che, per certi versi non erano del tutto rimasti in ombra nella GS, ma che sono ben visibili nel successivo magistero di Paolo VI che, già nella Populorum progressio (1967), aveva suggerito come la rilevanza del politico all’interno delle scelte economiche contribuisce ad introdurre un processo di democratizzazione attento ai limiti di un libero scambio nello scenario di un mondo fortemente attraversato dal divario tra paesi ricchi e poveri. Lo stesso papa Montini nella Octogesima adveniens (1971) suggeriva una corrispettiva attenzione alla complessiva realtà storico-sociale entro la quale collocare il contributo dell’economia:
«L’attività economica, che è necessaria, può essere “sorgente di fraternità e segno della Provvidenza” se posta al servizio dell’uomo; essa è l’occasione di scambi concreti tra gli uomini, di diritti riconosciuti, di servizi resi, di dignità affermata nel lavoro. Terreno spesso di confronto e di dominio, essa può instaurare dialoghi e favorire cooperazioni. Tuttavia essa rischia di assorbire, se eccede, le forze e la libertà. È la ragione per cui si palesa necessario il passaggio dall’economia alla politica. È vero che sotto il termine “politica” sono possibili molte confusioni che devono essere chiarite; ma ciascuno sente che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che internazionale, l’ultima decisione spetta al potere politico» (OA 46).
A riguardo il terzo richiamo esplicito alla GS in LS riguarda il tema del bene comune, principio centrale e unificante dell’etica socio-politica, inseparabile, per una sua corretta comprensione, dall’idea di ecologia umana. Francesco in LS 156 richiama la definizione conciliare di GS 26, facendo tesoro sia di una corretta articolazione degli altri principi di sussidiarietà e di solidarietà, sia connettendo nella prospettiva del bene comune l’opzione preferenziale per i poveri compresa come diretta conseguenza della «destinazione comune dei beni della terra».
Il principio del bene comune, pur sobriamente richiamato, è assunto nella sua duttilità interpretativa in riferimento ad una costante ridefinizione aderente ai mutamenti sociali. A riguardo Francesco ne offre, anche sulla scia del magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, un ampliamento non solo in prospettiva mondiale, ma anche con attenzione alla «giustizia intergenerazionale» (LS 159): «Non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. (…) Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno».
Pertanto la possibilità di articolare all’interno del bene comune la custodia del creato trae forza dalla centralità del principio di solidarietà e, particolarmente, dalla ripresa del criterio della destinazione universale dei beni, già espresso in GS 69. La responsabilità che unisce le generazioni non scaturisce solo dall’attenta considerazione dei dati previsionali della crisi ecologica, ma, con Francesco, acquista una precisa connotazione morale alla luce della dilatazione delle capacità decisionali attualmente affidate alla libertà umana (cf. LS 162).
Un evento ecumenico
Può forse sembrare ancora insolito, se non strano, parlare di un documento del magistero cattolico ed in particolare di un’enciclica, come di un evento ecumenico. La lunga, ma non ancora lunghissima, storia del movimento ecumenico ci ha abituati piuttosto ad eventi interconfessionali di alto valore simbolico; si pensi alle Assemblee generali del Consiglio ecumenico delle Chiese o a eventi che coinvolgono rappresentanti di più chiese (ultimo fra i quali la recente visita congiunta di papa Francesco, del patriarca di Costantinopoli Bartholomeos I e dell’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos nell’isola di Lesbo, ad esprimere l’attenzione delle chiese europee alla tragedia dei migranti).
Siamo pure abituati a documenti, raccolti in ponderosi volumi, frutto del dialogo fra commissioni di teologi e pastori; a qualche dichiarazione ufficiale congiunta, come quella sulla Dottrina della giustificazione, firmata da luterani e cattolici nel 1999. Non è ancora usuale, invece, valorizzarel’impatto ecumenico di un testo pontificio in quanto tale, senza che esso sia specificamente dedicato alle classiche questioni ecumeniche (come lo era l’enciclica Ut unum sint (1993) di Giovanni Paolo II).
1. Fattori di ecumenicità
Eppure Laudato si’ costituisce una felice sorpresa anche in questo senso. La sua ecumenicità si evidenzia in diversi fattori, che proviamo ad elencare brevemente.
- Nella presentazione dell’enciclica papa Francesco ha
voluto coinvolgere, fra gli altri, Ioannis Zizioulas,
metropolita di Pergamo e ascoltato consigliere del patriarca Bartolomeo I, uno
dei massimi teologi ortodossi contemporanei. Certamente un fatto notevole che
il papa cattolico affidi, per così dire, la sua enciclica ad un vescovo
ortodosso: non solo un fatto di stima personale, ma un primo concreto segno che
i temi dell’enciclica travalicano i confini confessionali.
- Il testo è ricco di riferimenti, espliciti o impliciti, ad autori
dell’ecumene cristiana; citiamo ancora una volta Bartolomeo I, ma anche
Paul Ricoeur e Jürgen Moltmann. A testimoniare, se ce ne fosse bisogno, che la
sfida lanciata dalla crisi ecologica può essere affrontata solo se si elabora un pensiero
eco-teo-logico comune alle chiese cristiane. La teologia ecumenica ha
conosciuto ormai da tempo, del resto, l’interessante fenomeno di una
convergenza intorno all’urgenza del tema ecologico di uomini e donne
provenienti da diverse tradizioni ecclesiali. Pur mantenendo i tratti tipici
delle tradizioni di provenienza essi hanno così progressivamente elaborato un
discorso comune sul valore teologico - e non solo etico o antropologico - della
creazione.
- «La creazione manifesta l’amore di Dio per l’umanità, essa è un dono prezioso affidato alla sua cura, quindi anche in essa Dio rivela qualcosa della sua amorevole propensione verso l’essere umano. Possiamo dire che “accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte”. Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere sé stesso in relazione alle altre creature: “Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo” (Paul Ricoeur)» (LS 85).
- L’attenzione di papa Francesco si allarga, nel n. 201 dell’enciclica, a tutti gli uomini religiosi, perché diventino insieme custodi della terra: «La maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità». L’ecumenismo classico richiede di allargarsi, quando si fa pratico, ad un macro-ecumenismo.
- Infine il tema stesso della LS è intrinsecamente (macro)ecumenico:l’oikumene, la terra tutta abitata dagli essere umani è la loro unica casa: unico è il danno che essi ricevono da una sua gestione irresponsabile e distruttiva, unico è l’impegno necessario alla sua salvezza.
Ancora una volta - se mai ci fosse stato bisogno di conferme - l’eco-ecumenismo si dimostra un caso felice di convergenza nella differenza delle diverse identità cristiane (e religiose), che si mostrano, almeno qui, in grado di relativizzare le proprie appartenenze per rivestire quella comune di umanità. Che non si tratti solo di un isolato caso felice, ma di una caparra per l’intero percorso del movimento ecumenico, sarà compito del cammino futuro testimoniarlo.
2. Percorsi
Per il presente, possiamo intanto rinviare a percorsi di riflessione che cercano di elaborare proprio la prospettiva di un ecumenismo che apprende dalla riflessione eco-teologica.
- Il primo è avvenuto il 10 marzo 2016, all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia (ISE): scienziati (D. Pettenella, Università di Padova), teologi cristiani (S. Morandini e S. Noceti), rappresentanti di chiese e comunità religiose (l’archimandrita E. Yfantidis del Patriarcato Ecumenico, la pastora valdese L. Tomassone, il pastore battista riformato L. De Chirico e l’imam Yahya Abd al-Abd Zanolo, della Comunità religiosa islamica italiana – COREIS) hanno provato ad intrecciare insieme La terra e la misericordia: prospettive ecumeniche. Si è cercato cioè di cogliere come questa parola-guida del pontificato di papa Francesco si intrecci assai bene con la cura della terra: la misericordia di Dio per l’essere umano, racchiusa nel meraviglioso equilibrio della creazione, lo chiama ad essere egli stesso misericordioso verso tutte le creature.[1]
- Il secondo, ancora affidato alle pubblicazioni dell’ISE, prevede la prossima uscita di un Quaderno, curato da M.Dal Corso e B.Salvarani, che esplorerà più approfonditamente le risonanze interreligiose del documento recente documento pontificio.
Papa Francesco si dimostra, anche in questo caso, profeta ecumenico, invitando a quella riconciliazione delle diversità che egli ha simbolicamente rappresentato con la figura geometrica del poliedro. Alle chiese tutte e alle comunità religiose è affidato il compito di raccogliere questa sfida e farla crescere a vantaggio di tutta l’umanità.
[1] Gli interventi in pubblicazione sul prossimo numero della rivista Studi Ecumenici.
Il Dio della vita
Per
affrontare le problematiche ecologiche, a cui la Laudato si’ dedica il primo capitolo, Papa Francesco rilegge i
racconti della Bibbia arrivando ad offrire una visione complessiva che viene
dalla tradizione ebraico-cristiana e dalla rivelazione del Dio della vita che
questa ci dona.
Questa visione articola la «tremenda responsabilità» (LS 90) dell’essere umano nei confronti del creato che è fondata sull’intimo legame tra tutte le creature e il fatto che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti» (LS 95). Nella Bibbia, «il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo» e «in lui affetto e forza si coniugano» (LS 73). Questo Dio liberatore è il Dio della vita tuttavia chi cercasse la voce «vita» in un dizionario biblico si imbatte in un fenomeno singolare: non si trova alcun chiaro equivalente del nostro concetto di vita, bensì un campo semantico ramificato, che in una terminologia fluida guarda di volta in volta da un determinato punto di vista alla vita degli uomini e degli animali (ma stranamente non delle piante).
Per comprendere in che misura la Laudato si’ fondi la comprensione dei problemi connessi alla cura della casa comune nella rivelazione di un Dio che si qualifica come Dio della vita ci sembra opportuno approfondire questa singolarità terminologica.
1. Vita
Partendo dai testi dell’Antico Testamento dobbiamo rilevare come non esista nella lingua ebraica alcun chiaro termine collettivo, che possa essere applicato a tutte le forme della vita: a differenza del pensiero greco che fondava la comprensione della vita sull’automazione, per quello ebraico la vita non è affatto in primo luogo un concetto antropologico o zoologico, bensì un concetto eminentemente teologico.
Vita non esprime una qualità che comprende uomini e animali, un sostrato biologico comune di tutti gli esseri viventi, ma l’azione di Dio verso il creato. Una delle convinzioni fondamentali della fede veterotestamentaria è la certezza che Jahvé è un Dio vivo. L’uomo biblico, consapevole della propria impotenza e caducità, riconosce che solo Dio è il vivente (cf. Dt 5,23; 2 Re 19,4; Sal 42,3), l’eternamente vivente (cf. Dt 32,40; Is 3,10; Dan 12,7; Sir 18,1), che fa partecipare le creature alla pienezza della propria vita. Egli è la «sorgente della vita» (Sal 36,10) e la «sorgente di acqua viva» (Ger 2,13; 17,13), cui tutto il creato deve la propria vita.
Al Dio vivente corrisponde l’uomo vivente: un essere relazionale che secondo il racconto biblico più antico della creazione Dio forma l’uomo dalla terra, gli inspira il proprio alito vivo e ne fa così un essere vivente a lui affine (cf. Gen 2,7). Fondamentale è che Dio, l’eternamente vivente, è sempre l’origine della vita umana: «Se togli loro il respiro muoiono e ritornano nella loro polvere» (Sal 104,29).
Fra tutti gli esseri viventi l’uomo emerge come il plenipotenziario di Dio, perché a lui è affidata la custodia del patrimonio del creato. Qui l’uomo sta in una relazione particolarmente stretta con gli animali, che sono messi in risalto come sue concreature. Assieme agli animali l’uomo riceve la benedizione divina della fecondità, che concede a tutti gli esseri viventi la capacità di procreare e figliare. La creazione degli animali della terraferma e la creazione dell’uomo avvengono lo stesso giorno, così come ad ambedue è assegnato lo stesso spazio vitale. Anche se lo schema letterario della creazione in sette giorni non ha la funzione di indicare un ordine generale intrinseco fra le opere della creazione, esso va comunque interpretato come un’allusione alla vicinanza pacifica che, secondo il primo racconto della creazione, collega fra di loro l’uomo e l’animale.
Continuando la nostra indagine bisogna notare come il più delle volte nell’Antico Testamento l’uomo è indicato con il termine nefeš, termine che nelle moderne traduzioni della Bibbia è di regola reso con «anima» o con altri termini equivalenti. In 600 su 755 passi i Settanta traducono questo termine fondamentale dell’antropologia biblica con psyché, mentre la Bibbia latina lo traduce in maniera corrispondente con anima. Questo scarto statistico mostra che già i primi traduttori si resero conto in numerosi passi di come la lingua greca fosse inadeguata a rendere il pensiero biblico. Questo termine serve quindi, anche se in maniera contraddittoria, non solo al fine di caratterizzare l’uomo per quel che egli è in sé, bensì anche al fine di distinguerlo dall’animale.
Una seconda coppia di termini dal significato affine sono rûah e léb. Il primo, quando lo traduciamo in italiano, acquista i suoi lineamenti biblici precisi solo alla luce del secondo. Spirito e cuore indicano insieme il centro personale vitale dell’uomo, la sede dei suoi sentimenti e delle sue passioni, nonché il luogo della volontà e della decisione, della presa razionale di posizione e dell’esperienza della coscienza morale. La traduzione di rûah con pnéuma o spiritus mette invece unilateralmente in risalto l’accezione razionale, che nel pensiero biblico è più fortemente legata al termine cuore.
Il quarto termine fondamentale della concezione biblica della vita è basar, carne. L’esame accurato dei 273 passi in cui ricorre ci dice che esso, diversamente dagli altri termini, che esprimono sempre una relazione fondata da Dio e includente l’uomo, viene applicato esclusivamente a uomini e animali e mai a Dio. Esso indica l’elemento comune a uomini e animali e anzitutto, in questo senso, la loro vita corporea irrorata di sangue. L’espressione collettiva «ogni carne» indica spesso tutta l’umanità (così nel Deuteroisaia; cf. Is 40,5s.; 49,26), ma può anche indicare la totalità degli esseri viventi (cf. Gen 6,17; 9,16) o perlomeno la comunità degli uomini e degli animali (così in Nm 18,15).
2. Il Nuovo Testamento
La concezione veterotestamentaria della vita si ispira in tutto e per tutto al fenomeno della vita naturale e anche per il Nuovo Testamento la vita non è un termine indicante un possesso statico, ma un concetto relazionale dinamico. La vita è espressione della relazione con il Dio vivo, da cui deriva tutta la vita (cf. At 17,25-28). Dio solo è il vero vivente (cf. Mt 16,16; 26,63; Rom 9,26); nell’uso senza articolo della terminologia missionaria cristiana primitiva questa professione di fede diventa addirittura un nome proprio, che distingue il Dio vivente dagli idoli morti (cf. At 14,15)19. Dio solo è il padrone della vita e della morte (cf. Mt 10,28); egli fa vivere, così come può uccidere (cf. Rom 4,17). Da lui proviene tutta la vita; lui è giudice dei vivi e dei morti (cf. 1Tm 6,13; 1Pt 4,5).
Lo sguardo, anche se nel Nuovo Testamento è rivolto più decisamente alla vita futura quale bene salvifico escatologico dei cristiani, è tuttavia consapevole dell’unicità di questa vita terrena. In Mc 8,37 la nostra vita attuale è presentata come un bene impagabile: «Che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria vita?». In particolare le molte guarigioni miracolose operate da Gesù testimoniano un’alta valutazione della vita terrena. Il suo potere e la sua missione messianica si manifestano proprio nel fatto che egli ridona agli uomini sofferenti, fisicamente o spiritualmente malati, la loro vita integra. Si fa appello al potere di Gesù affinché egli restituisca la vita terrena perduta (cf. Lc 7,7.15). Il regno di Dio avanza se si ristabilisce il regno della vita anche nella sua forma esperienziale visibile.
3. Conclusioni
Da quanto emerso a motivo di questo suo intrinseco e ampio significato l’idea di vita poté addirittura divenire un concetto chiave della rivelazione biblica, concetto che offre alle sue più alte affermazioni sul compimento finale dell’uomo un punto di riferimento nell’esperienza della vita quotidiana. Laudato si’, nel centrare la cura della casa comune sul Dio della vita pone la questione ecologica nel centro del dato rivelato e non come una tema secondario che si aggiunge ad altri di maggiore importanza.
Il messaggio del cristianesimo parte dall’esperienza concreta della vita umana, che sperimentiamo come la nostra vita, e la interpreta come inaugurazione e preludio della vita eterna che vivremo nella comunione del Dio eterno. Così il termine che più ci è vicino e che collega la vita umana con la materia e con la vita di tutto il creato è adatto più di qualsiasi altro vocabolo del nostro linguaggio a esprimere la totalità e la pienezza che nel Credo della Chiesa confessiamo come la vita eterna.
Gaia, la Madre Terra: etica della cura come responsabilità
«Uomo, ascolta! Perché offendi me, tua madre? Perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi violenti con l’aratro, per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti do, senza che tu le estragga con la violenza?» (Alano di Lilla)
Il sottotitolo dell’enciclica si apre con il termine «cura». Esso non appare come un termine tra gli altri (appare, tra l’altro, ben 70 volte all’interno del documento): piuttosto diventa paradigma interpretativo dell’enciclica stessa. Si può affermare che papa Francesco ci propone e ci invita a un’etica della cura. Un’etica della cura che mette subito in rilievo gli aspetti affettivi e relazionali: la terra non è appunto definita solo in quanto tale, ma in quanto madre (cf. LS 1; 92) o sorella (cf. LS 1; 2; 11; 53) o«casa comune» (LS 1; 3; 13; 17; 53; 61; 155; 164; 232; 243).
Possiamo addirittura affermare che si tratta di un’etica della cura integrale, nel senso di interconnessa: non solo tra gli uomini vicini, ma anche tra gli uomini in luoghi distanti e tra gli uomini delle differenti generazioni (mai come ora viviamo in una Madre Terra compromessa da chi ci ha preceduti e lasceremo in eredità una Madre Terra ferita alle future generazioni) e tutte le forme viventi. Un’etica quindi relazionale(e già questo punto di partenza è significativo) e affettiva, com-passionevole.
1. Etica della cura nella teologia ecofemminista
Il paradigma della cura, tuttavia, è già noto alla riflessione teologica a partire dalle istanze della teologia femminista ed in particolare della teologia ecofemminista (il termine compare per la prima volta nel 1974 in uno scritto di Françoise d’Eaubonne, Le féminisme ou la mort). Il movimento ecologista e il movimento femminista, negli anni Settanta, trovarono un terreno comune nell’individuare nella identica radice della cultura del dominio (maschile, patriarcale, gerarchico…) lo sfruttamento sia della donna che della terra. Estremizzando l’idea portante: si proponeva un cambiamento di prospettiva, dal dominio (identificato nel maschile) alla cura (identificato nel femminile).
Il testo in qualche modo fondativo è l’opera di Susan Griffin, Women and Nature: The Roaring Inside Her (1978), in cui si analizza la storia della civiltà occidentale confrontando l’oppressione della natura con quella delle donne.[1]
Il pensiero ecofemminista si sviluppò nel corso degli anni in diverse correnti, ma possiamo rintracciare dei nuclei comuni: il legame donna/natura nella tradizione occidentale (teologica, filosofica, letteraria…), spesso inteso solo come oppressione; la critica al razionalismo puro; il cambiamento di paradigma (etico ma non solo) dal «dominio» alla «cura»; la necessità (urgente) di un nuovo linguaggio simbolico e spirituale; una lettura della realtà indirizzata al cogliere le differenze e le interconnessioni.
Non a caso la teologia femminista, quando incontra le istanze ecologiche, lo fa a partire dal termine «ecologia» come fu inteso da Ellen Swallow, nel 1892, quando lo utilizzò con questa accezione «lo studio di ciò che circonda gli esseri umani nelle conseguenze che produce sulla loro vita» e non nel significato che gli diede Ernest Haeckel che con il lemma «ecologia» – da lui stesso coniato nel 1866 – si riferiva allo studio e alla analisi scientifici di un mondo estraneo ed esterno agli esseri umani e da essi non condizionato.
2. Ripercussioni etico-teologiche
Tali ragionamenti non si limitano a rivendicazioni di parte o ad analisi sociologiche: hanno ripercussioni dirette sulla riflessione etica e la riflessione teologica. In particolar modo nell’opera di Rosemary Radford Ruether dal titolo Gaia and God (trad. it. Gaia e Dio, Queriniana 1995), ma anche in altri testi, è possibile rinvenire due piste estremamente importanti.
Innanzitutto la coscienza umana non deve essere intesa come trascendente ovvero separata dal resto della creazione: al contrario è capacità (dono) che permette all’uomo di armonizzare se stesso con il resto del creato, in vista di un «ordine», di un cosmos, di una bellezza divina. In secondo luogo Dio è considerato in modo preponderante come fonte immanente di vita che sostiene la vita del creato (nella sua complessità, non soltanto nei confronti dell’essere umano) in modo interdipendente.
E se è possibile rintracciare in Laudato si’ alcune istanze, concetti e riflessioni della teologia ecofemminista, d’altra parte è altrettanto vero che è possibile ritrovarne prodromi (relativi all’interconnessione degli esseri viventi, ad esempio) anche in precedenti documenti magisteriali.[2]
Per tornare all’enciclica, mi sembra che siano due gli assi portanti – dal punto di vista morale – del testo: la consapevolezza e la responsabilità.
Il richiamo alla consapevolezza scandisce tutto il testo: dalle situazioni irreversibili, alle situazioni limite, alla necessità di un cambiamento di paradigma, di mentalità, all’urgenza di determinate azioni… La vera ricchezza per la riflessione morale, tuttavia, risiede nella responsabilità: essa è ancora intesa come capacità umana, come capacità razionale ma viene arricchita e completata dalla sfera affettiva, relazionale, simbolica e spirituale. La responsabilità è quindi cura e la cura è responsabilità. È risposta dell’uomo nella sua integrità.
E non si tratta di una prospettiva solo cronologica ma anche kairologica ed escatologica: «Sappiamo infatti che finora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo salvati in speranza» (Rm 8,23).
[1] Cf. per una ricostruzione esaustiva: Sarti M. A., Le ragioni dell’ecofemminismo, il Segnalibro, Torino 1999.
[2] Dati i limiti del presente contributo, rimando all’editoriale di Civiltà Cattolica Francesco, «Custodire l’intera creazione», in La Civiltà Cattolica3960(2015), 537-551.
Una sola terra… e i tanti confini. Dov'è finita la solidarietà?
Si dice che una farfalla può battere le ali in
qualche luogo nel mondo e dare inizio a un uragano, o deviare una tempesta
verso una città. Il complesso intreccio di fattori che influiscono sul clima
rende difficile (ma non impossibile!) lo studio dei cambiamenti climatici o le
previsioni del tempo, e al contempo ci dà un senso forte dei legami tra l’essere
umano e la natura. Come dice papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (LS),
tutti viviamo in una «casa comune» e «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS
16; cf. 117, 138).
1. Uniti e separati
Nel primo capitolo della Genesi, Dio crea il mondo separando e distinguendo le cose. Eppure crea una sola terra. L’essere umano fa parte di questa creazione, ma avendo in sé il respiro vitale di Dio, è dotato di libertà e ragione. Questo fatto colloca l’uomo in una posizione centrale nel cosmo, separandolo dal resto della natura, ma non giustifica un atteggiamento arrogante e violento verso di essa — quello di sfruttare e distruggere il creato quando pare e piace. Piuttosto, questo soffio divino che aleggia sull’abisso e anima la persona umana ci svela una vocazione di prendere cura delle altre persone e custodire le altre creature.
Certamente, questo non vuole dire una ingenua armonia tra l’essere umano e gli altri esseri: siamo esseri che sognano e realizzano progetti per noi stessi e per la società umana, e questo vuol dire modificare e plasmare il mondo attorno a noi. Distruggiamo i batteri per sopravvivere alle malattie, macelliamo gli animali per fare crescere le nostre famiglie, tagliamo alberi per costruire case e accendere fuochi che ci permettono di vivere nei luoghi meno ospitali del pianeta.
Non saremo mai meramente degli animali fra gli altri animali su questa terra, accettando fatalmente il nostro «destino», ma continueremo a sognare, a plasmare, a trasformare gli altri esseri intorno a noi per vivere meglio, per creare l’economia che sostiene una vita degna (oggi si parla addirittura di una nuova era geologica, l’«antropocene»).
Ma ovviamente, se questa separazione e quest’uso strumentale della natura diventa una minaccia per la razza umana e per le generazioni future, se lo sfruttamento sistematico e massivo del creato ci rende degli esseri violenti e quindi inumani (perché incapaci di percepire la sacramentalità e l’immenso valore del creato), allora questo baratro che si riapre tra lo spirito umano e la natura diventa inaccettabile, immorale.
2. Confini e baratri
Per realizzare più efficacemente i loro sogni e i loro progetti per trasformare la natura, le famiglie umane hanno eretto dei recinti e dichiarato «propri» dei terreni che da Dio furono date in custodia a tutto il genere umano. Ad un altro livello, le città, e poi le nazioni, hanno segnato i confini del «loro» territorio. Non c’è dubbio che le separazioni tra campi e tra paesi abbiano una certa utilità. Il problema è quando vengono assolutizzati questi confini, quando si trasformano in abissi che servono per escludere e marginalizzare i più vulnerabili.
È la stessa mentalità del dominio assoluto sulla terra che sta dietro alla crisi ecologica — la devastazione dei boschi, l’inquinamento delle acque, la resistenza ad ogni tentativo di regolamentare e ridurre l’uso dei combustibili fossili e i gas a effetto serra — e alla crisi umanitaria dei migranti forzati. Viviamo in una era dove più dell’80% dei rifugiati nel mondo vivono nell’indigenza nei paesi più poveri, perché i paesi «sviluppati» hanno sbarrato la loro strada, lasciandoli morire nei mari e nei deserti, o in preda ai trafficanti.
Ma è il colmo del cinismo sdegnarsi dei delitti di chi fa il traffico e la tratta degli esseri umano, quando nessuna ambasciata attraverso vie ordinarie concederebbe un visto per un paese ricco, per una richiesta d’asilo quando nel tuo paese cadono le bombe e la gente cerca di sterminare la tua famiglia (e ricordiamo che ogni rifugiato ha questo diritto, di recarsi in un paese sicuro e fare tale richiesta: ci siamo impegnati legalmente a garantire tale diritto dopo che negli anni Trenta erano stati respinti o uccisi migliaia e milioni di ebrei. Non si tratta di carità, ma di semplice decenza umana, e di rispetto per i trattati che abbiamo firmato).
Un continente come l’Europa (che negli anni della miseria, verso la fine della Seconda guerra mondiale, seppe accogliere e gestire più di 12 milioni di sfollati) oggi si crede incapace di accogliere 1,5 milioni di profughi siriani, quando il Libano e la Giordania (paesi con 4,5 e 6,4 milioni di abitanti, rispettivamente) ne accolgono molti di più. Sicuramente sono reali alcuni dei problemi e delle paure che esperimentano le comunità che accolgono gli stranieri, specialmente perché anche nelle nostre città e nei paesi ricchi ci sono confini e baratri tra i quartieri ricchi e quelli poveri, e la gran parte dei migranti forzati si ritrova a vivere, guarda caso, in quelli poveri.
Ma dov’è finita la solidarietà? Siamo veramente una sola terra? Come dice papa Francesco, «oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS 49).
3. Gli sfollati ambientali
Abbiamo parlato della mentalità dominatrice, che crea confini escludenti per poter possedere, spremere e sfruttare la terra in modo. La creazione extra-umana e i migranti forzati sono quelli su cui ricadono gli effetti nefasti di questa mentalità, e si ritrovano riuniti in questa triste esperienza. Ma c’è un altro collegamento tra queste due realtà. Oltre i rifugiati «DOC» — quelli che rientrano negli stretti criteri della Convenzione di Ginevra del 1951 — ci sono tante persone che si sentono obbligate, a causa di una moltitudine di fattori, a lasciare le loro terre e i loro paesi perché non riescono più a dare una vita degna alle loro famiglie in quei luoghi.
Molti di questi fattori sono collegati intimamente ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, e allo sfruttamento eccessivo dei boschi (deforestazione), dei terreni agricoli (desertificazione, riduzione di fertilità dei campi a causa della crescente salinità dei fiumi) o delle riserve ittiche (collasso della pesca in alcune parti del mondo).
Esistono quindi gli sfollati (per cause principalmente) ambientali, o le migrazioni (principalmente) eco-indotte. Ci sono milioni di persone che si spostano verso le città (nei loro paesi, o nei paesi vicini) per trovare lavoro e riparo, a causa del degrado lento e costante dell’ambiente che da generazioni gli dava da mangiare, o a causa dell’improvvisa devastazione provocata da inondazioni, uragani e altre catastrofi naturali intensificati dai cambiamenti climatici antropogenici.
LS se ne parla ai nn. 25, 134 e 175. E nel n. 51, il papa parla addirittura del «debito ecologico», soprattutto tra il Nord e il Sud. Molti dei migranti «economici» che si spostano da città in città, nell’Africa o in America Latina o in Asia, fino ad arrivare (in pochi) ad un paese ricco, sono anche le vittime del degrado ambientale legati a stili di vita e di consumo che noi possiamo permetterci solo a scapito di altri.
Il papa insiste più volte che non ci sono soluzioni facili o precostituite per risolvere la crisi ecologica (cf. LS 20, 60, 200). Non ci sono neanche soluzioni facili ed immediate alla crisi umanitaria dei migranti forzati e degli sfollati ambientali. Ma forse serve ricordarsi che, al di là di tutte le separazioni e i confini che abbiamo inventato, e che sono utili, Dio ha creato una sola terra.
Come parola di pace
Sarebbe assolutamente fuori strada chi pensasse alla pace come all’esatto contrario della guerra. Non basta infatti la semplice assenza di operazioni belliche o di un conflitto armato per poter definire una condizione di pace. Essa investe piuttosto tutte le dimensioni dell’esistenza e, secondo il migliore dei suoi significati, traduce lo Shalom ebraico come «pienezza».
1. Nel solco di una lunga storia
Per questa ragione l’enciclica sulla «cura della casa comune» ne coglie l’essenza, al punto che si potrebbe dire che la pace costituisce la vera ed intima filigrana di tutta la riflessione in essa proposta. D’altra parte il concilio Vaticano II aveva riscattato la stessa riflessione sulla pace da secoli di contraffazioni, restituendola alla migliore tradizione profetica: «La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia» (Is 32,7).[1]
A dar seguito alla riflessione conciliare, poi, non vi è soltanto la riflessione magisteriale - espressa soprattutto nei quasi 50 anni di messaggi per la Giornata mondiale della Pace - ma anche il contributo del movimento ecumenico. Ricordiamo in tal senso il processo avviato con la prima Assemblea ecumenica europea di Basilea del 1989 convocata, per volontà congiunta del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) e della Conferenza delle Chiese europee (CEC/KEK), non a caso su pace, giustizia e salvaguardia del creato.
Un legame inscindibile che don Tonino Bello da presidente di Pax Christi seppe intuire e proporre: «L’utero che partorisce la guerra è sempre gravido, diceva Brecht. E i suoi parti sono trigemini, dal momento che, oltre alla guerra e all’ingiustizia, si porta dentro anche il mostro ecologico. Isaia le aveva intuite prima di noi queste articolazioni, quando annunciava la discesa dello Spirito che avrebbe trasformato il deserto in giardino, all’interno del quale sarebbe fiorito l’albero della giustizia, sui cui rami sarebbe spuntato il frutto della pace. "In noi sarà infuso uno Spirito dall’alto. Allora il deserto diventerà un giardino...e la giustizia regnerà nel giardino...e frutto della giustizia sarà la pace" (32,15-17) ».[2]
2. Un’enciclica di pace
In questo senso la Laudato si’ rappresenta una riflessione articolata, organica, matura ed autorevole di questo percorso. Tant’è che sin dalle sue prime battute prende spunto dall’enciclica Pacem in terris del santoPapa Giovanni XXIII «con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace».[3] Peraltro come in quella enciclica Giovanni XXIII si rivolgeva non solo al mondo cattolico, ma a tutti gli uomini di buona volontà, anche in questaFrancesco indirizza la propria riflessione «a ogni persona che abita questo pianeta».[4] Il riferimento diventa poi ancora più chiaro ed esplicito nel momento in cui si spiega che non si tratta di un’enciclica “verde” ma di un approccio integrale che sarebbe falsato e incompleto senza una visione che comprenda il grido dei poveri insieme a quello della terra.[5]
Una visione che pertanto non può che essere ambientale, economica e sociale [6] che è chiamata a rispondere allo stesso disegno di Dio che è un progetto di pace, bellezza e pienezza.[7] Il riferimento alla riflessione conciliare e post-conciliare sulla pace si fa ancora più esplicito nella sezione IV del capitolo VI, che reca il titolo quanto mai significativo diGioia e Pace: qui la pace diventa il nome più pregnante e significativo di uno stile di vita alternativo, che il credente e la persona rispettosa del creato sono chiamati a vivere.
É proprio in questo contesto di una visione nuova e piena che papa Francesco enuncia come in una formula la sua definizione di pace che supera e allarga lo stretto orizzonte che la vede come mera assenza di guerra,[8] pur senza nascondere tutte le tragiche connessioni che esistono tra conflitto armato e ambiente soprattutto nella ricerca, produzione e impiego di armi nucleari, batteriologiche e chimiche.[9] Così come non trascura di sottolineare a più riprese quanto l’accaparramento delle materie prime, il controllo delle fonti energetiche e in particolare dell’acqua, diventerà sempre più una delle principali cause di conflitto del pianeta.
3. Per il sogno di Dio
Insomma si può concludere che la Laudato si’, con un’analisi accuratissima e indicazioni preziose, non soltanto pone in evidenza l’intima relazione tra pace (nella sua accezione migliore) e preservazione dell’ambiente, ma evidenzia con sovrabbondanza di argomentazioni scientifiche, bibliche, teologiche, politiche, economiche come non sia più possibile discutere separatamente le questioni che riguardano pace, giustizia e salvaguardia del creato. Esse costituiscono la trama e l’ordito di un unico tessuto che è chiamato sempre di più a rispondere al sogno di Dio.
In questa risposta, anche nel senso più strettamente etimologico, vi è la responsabilità di ciascuno e delle comunità a ogni livello.
[1] Paolo VI, cost. past. Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 8.12.1965, n.78.
[2] Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia, Molfetta 1989.
[3] Francesco, lett. enc. Laudato si’ sulla cura della casa comune, 24.5.2015, n.3.
[4] Ivi.
[5] «Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (ivi, 49).
[6] Cf. ivi, 138-142.
[7] «Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza» (ivi, 53).
[8] «D’altra parte, nessuna persona può maturare in una felice sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione della pace, che è molto più dell’assenza di guerra. La pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita» (ivi, 225).
[9] Cf. Ivi, 57 e 104.