Salute e giustizia tra bene personale e bene comune
Come studiosi di morale abbiamo ritenuto opportuno porre l’accento su un aspetto, forse poco attenzionato dai media più interessati a fornire quotidianamente i numeri della pandemia. Si tratta delle problematiche di ordine decisionale che hanno riguardato fondamentalmente due aspetti: quelli di ordine socio-politico e quelli clinico-assistenziali. Non entrando nel merito dei primi, vorremmo riflettere insieme sui secondi anche per le argomentazioni che verranno prodotte e che vanno molto al di là della contingenza pandemica.
È superfluo ribadirlo: la pandemia ci ha colti di sorpresa, nonostante la prevedibilità della stessa dopo l’esplosione avvenuta in Cina. A tal proposito ricordo che, quando sentivo le prime notizie arrivare da Wuhan con la conseguente prospettiva di chiudere trasporti, negozi, attività produttive, dicevo che era impossibile perché non si poteva chiudere una città! Mi sarei ricreduto dopo poche settimane.
Il dramma delle vittime e del personale sanitario
La riflessione che cerchiamo di portare avanti col contributo di autorevoli studiosi riguarda le criticità decisionali in situazioni emergenziali. Soprattutto all’inizio medici, infermieri e amministrativi si sono trovati in qualche modo a improvvisare: non si conosceva bene il virus (e non lo conosce in modo approfondito neanche adesso) non si conoscevano i farmaci appropriati (anzi era stato persino confuso il meccanismo patogenetico e quindi la conseguente terapia); non si stimavano adeguatamente le modalità di trasmissione (senza adeguati dispositivi di protezione che molte direzioni sanitarie ritenevano superflue).
Sono quindi cominciati ad arrivare i numeri del contagio, ma soprattutto si sono cominciati a contare i decessi. Con questi sono insorte anche le criticità. Di fronte all’esubero (almeno iniziale) di candidati alla rianimazione e all’esiguo numero di posti in terapia intensiva si sono moltiplicate le unità di questo tipo riconvertendo reparti di degenza, con la conseguente impossibilità di ricovero per pazienti che ne avrebbero avuto bisogno. Molti di questi non potevano (perché non vi erano posti), né volevano (perché avevano paura del contagio), andare in ospedale.
Si è posto quindi il problema dei criteri di accesso. Non tutti potevano essere ricoverati, così come in guerra o in un disastro naturale non tutti possono essere assistiti.
Quali criteri utilizzare quindi? Quale triage? La priorità di accesso non funzionava, perché vi erano richieste multiple contemporaneamente. Si è fatta strada, quindi, l’ipotesi classicamente definita «utilitarista» di scartare gli anziani o le persone affette da gravi patologie invalidanti.
Questa drammatica decisione gravava in primo luogo sui degenti stessi, che si vedevano in qualche modo esclusi da una possibile risorsa terapeutica; ovviamente sui loro familiari, che subivano come «ingiustizia» questa esclusione; infine sui medici, che erano coinvolti in prima persona nella scelta, dovendo decidere per il sì o per il no.
Sui medici è gravato il peso di una decisione difficile e certamente non «oggettiva», in cui il peso della soggettività era determinante. In molte strutture ci si è rivolti al supporto di un Comitato etico, che però non poteva mai sostituirsi alla coscienza del medico o di ogni altro decisore direttamente coinvolto, come ad esempio la direzione amministrativa.
Sono stati elaborati criteri orientativi, linee-guida, raccomandazioni. Sono intervenute società scientifiche e il Comitato nazionale di bioetica. Ma anche in questo non è stata raggiunta un’univocità di pareri. Purtroppo, come ebbe a dire il card. Pappalardo ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa citando Tito Livio, «dum Romae consulitur Saguntum expugnatur», mentre a Roma si delibera, Sagunto viene espugnata.
L’etica colpita dal «tempo reale»
Indubbiamente nel webinar che proponiamo vi sono riflessioni e argomentazioni varie che nulla tolgono o toglieranno alla drammaticità delle scelte cliniche. In ogni caso la famosa «coscienza illuminata», tanto cara a noi teologi morali, non è solo evento sincronico ma diacronico. Non si realizza solo in una scelta attuale, ma anche nello strutturarsi temporale di una formazione che diventa bagaglio permanente, una sorta di epigenetica morale, se così possiamo definirla.
Nelle riflessioni che seguono troveremo una sintesi degli interventi di vari e autorevoli relatori che illustreranno il documento del Comitato nazionale per la bioetica, quello della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI), l’esperienza di altri paesi nonché alcune riflessioni fondative sui rapporti tra bioetica e aspetti scientifici e le relative implicanze etico-sociali.
Ma, vorrei dire con una frase un po’ abusata, «non finisce qui». Presto l’etica sarà nuovamente interpellata di fronte alla possibilità di un vaccino (speriamo, anche se dubitiamo, prossimo). Vi saranno i problemi dell’iter sperimentale, che non seguirà i classici canoni etici previsti dal Consiglio internazionale sull’armonizzazione dei requisiti tecnici per i prodotti medicinali per uso umano (ICH) per la sperimentazione dei farmaci, ma soprattutto i problemi della sua obbligatorietà.
Sarà per noi un’ulteriore occasione di confronto e di dialogo che non dovrà trovarci impreparati. Come sappiamo i tempi dell’etica non sono gli stessi della scienza. A quest’ultima basta che la distrazione di uno scienziato dimentichi una coltivazione batterica alla finestra e l’indomani, trovandola coperta di muffa, scopra la penicillina. E nel giro di una notte tutto cambia ma, al tempo stesso, tutto si consuma presto e la penicillina viene superata da altri antibiotici di sintesi.
L’etica di Aristotele invece matura lentamente, in tempi lunghi, ma ancor oggi facciamo riferimento a essa. Forse questa pandemia ha mutato anche i tempi dell’etica. Il «tempo reale» ha colpito anche la sua identità disciplinare. Non si può aspettare troppo per dibattere e trovare le più opportune soluzioni. Anche questo forse costituirà un effetto a lungo termine del coronavirus.
Salvino Leone, medico, è presidente dell’Istituto di studi bioetici Salvatore Privitera di Palermo. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.