La via del discernimento: etica in prospettiva ecumenica
Il dibattito sui temi etici nel movimento ecumenico sembra ancora dominato dal conflitto delle interpretazioni e, quindi, dalla percezione che viviamo in un corpo moralmente diviso.1 Esso contiene, però, anche alcune felici novità, come la ripresa del dialogo sui temi etici, dopo una lunga stagione di silenzio.2 Dai documenti che sono stati prodotti attorno al Giubileo della Riforma3 viene, infatti, un nuovo impulso a una visione non conflittuale della testimonianza comune che i cristiani possono rendere all'Evangelo. Questo complesso movimento si sposa felicemente, d’altra parte, con il doppio percorso sinodale della Chiesa cattolica, che ha avuto il suo vertice nella pubblicazione dell'esortazione post-sinodale Amoris laetitia, e con il dibattito sulla sua recezione ampiamente in corso.
Un termine sembra risuonare frequentemente in questo indiretto dibattito: discernimento. Potrà essere quella del discernimento una via per la ripresa del dialogo sui temi etici nel movimento ecumenico? Per una ripresa che superi la - pur necessaria - metodologia della comparazione e vada verso l'individuazione di un paradigma che guidi verso una forma di comunione morale, che si situi nell'orizzonte di un consenso differenziato e differenziante e di una diversità riconciliata?
Alcune tesi
Proviamo a esprimerci attraverso alcune tesi sintetiche:
- La gerarchia delle verità morali, una volta definito il ruolo dell'etica nell'architettura dell'economia cristiana, invita a mettere la prassi del discernimento al primo posto della vita morale, come luogo della concreta possibile risposta alla chiamata di Dio a una vita secondo l'Evangelo. "Il primo e imprescindibile dovere morale del cristiano è il discernimento della volontà di Dio. Tale sforzo di discernimento come attività personale responsabile, e quindi come scelta pienamente umana, è già risposta positiva alla chiamata fondamentale e unica di Dio: implica infatti accettazione nella fede, volontà di sequela".5
- La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione ha fatto definitiva chiarezza sulla posizione dell'etica rispetto all'architettura dell'economia cristiana (potremmo dire, nella gerarchia delle verità cristiane). È chiaro che essa è frutto della giustificazione per fede di cui rappresenta la realizzazione pratica, senza costituire, di per sé, una forma meritoria di acquisizione della stessa giustificazione.4
- La prassi del discernimento è diffusa nelle tradizioni cristiane, sia in quella protestante, con l'accentuazione del carattere vincolante ma concreto del comandamento di Dio,6 sia in quella ortodossa, con l'ampia applicazione dell'oikonomia alle norme morali delle tradizione, così da far loro raggiungere lo scopo di salvaguardare il bene delle anime, sia in quella cattolica nella forma dell'epikeia, come possibilità di adattare la norma morale alla specificità della situazione unica e irripetibile da cui essa è chiamata in causa. Lo evidenzia Amoris laetitia:
È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. [...] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. [...] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare». È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione (Amoris laetitia, n. 304).
- Se la prassi del discernimento è così diffusa nelle tradizioni cristiane, perché non è emersa fino a ora come paradigma per un dialogo sui temi etici? Si tratta di verificare la possibilità di un cambiamento della prospettiva rispetto alla stessa immagine dell'etica, finora legata a uno schema deduttivo, che prevedeva l'elaborazione di una descrizione fondamentale\generale, per poi precedere a un'applicazione pratica dei principi e delle norme. Tale prassi, dal punto di vista ecumenico, risulta paralizzante, perché al consenso, sia pure differenziato, sulla prospettiva fondamentale non fa corrispondere, poi, un eguale consenso nella determinazione delle indicazioni morali concrete, con l'effetto di produrre una sorta di corto-circuito, che rende di fatto inutile anche il consenso sulle prospettive fondamentali.
- Il modello dei discernimento pastorale proposto nell'Amoris laetitia7 tende in un certo senso a rovesciare il percorso etico deduttivo e, senza rinunciare al valore di riferimento delle norme morali, a porre al centro del giudizio morale la determinazione della norma morale prossima in situazione. È un'operazione di taglio ermeneutico che invita a cercare il bene possibile a partire dalla sintesi fra la dimensione delle norme e dei valori e quello della concreta vicenda delle persone. La norma morale prossima concreta diviene quindi un atto creativo che rinvia, al di là di se stessa, a un orizzonte teologico e personalistico, fortemente connotato in termini dinamici.
- In questa prospettiva la dimensione normativa acquisisce il ruolo proprio di orizzonte di senso del vissuto etico, ma non determina più in modo assoluto e astratto la vita morale concreta, né il livello di comunione ecclesiale sui temi etici.
“Le leggi morali sono la cartografia di una lunga storia di esperienze. In altre parole le leggi morali non sono che l'espressione concettuale del già realizzato; e pertanto il loro valore è di essere norma direttiva, secondo cui si deve camminare. Le norme morali, infatti, non fanno che veicolare risposte già date a situazioni disumanizzanti e superate dalla coscienza umana. Per questa ragione noi non possiamo accordare nessun valore di realtà alle norme morali astratte come tali. Del resto sono incapaci di rivolgerci un invito”.8
- È possibile anche a questo livello, oltre che a livello dottrinale, riconoscere un consenso differenziato rispetto alla pratica del discernimento e ai suoi possibili esiti concreti, che costituisca il punto di partenza per una ripresa del dialogo ecumenico sui temi etici. Esso dovrebbe, quindi, assumere la metodologia propria del discernimento, per ricercare se, e fino a che punto, le Chiese possono giungere a riconoscere nelle diverse forme di discernimento etico e nella pluralità dei giudizi morali forme legittime di pluralismo morale, che non contraddicono il riconoscimento di un comune fondamento dell'etica cristiana, pur esso da esplicitare continuamente nel dialogo ecumenico.
- Si tratta, cioè, di riconoscere, ancor prima della correttezza delle scelte morali operate dai singoli e dalle comunità, la presenza di una comune volontà di verità morale e di obbedienza al comandamento di Dio nelle procedure di discernimento che le diverse comunioni ecclesiali operano, in coerenza con la propria storia e i propri contesti vitali.
[1] M. Root - J.J. Buckley, The Morally Divided Body. Ethical Disagreement and the Disunity of the Church, Cascade, Eugene (OR) 2012.
[2] Anglican-Roman Catholic Theological Consultation in the U.S.A., Ecclesiology and Moral Discernment: Seeking a Unified Moral Witness (2014); Commission Faith and Order, Moral Discernment in the Churches. A Study Document (Faith and Order Paper No. 215). Wcc Publications, Geneva 2015.
[3] Commissione luterana - cattolica romana sull’unità, Dal conflitto alla comunione, in Il Regno – Supplemento 2013, n. 11; Chiesa evangelica tedesca, Giustificazione e libertà. 500 anni di Riforma 2017, in Il Regno – Documenti 2015, n. 4, pp. 11-38; Dichiarazione congiunta in occasione della Commemorazione Congiunta cattolico-luterana della Riforma, Lund, 31 ottobre 2016, http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/10/31/0783/01757.html#ita .
[4] “Insieme confessiamo che le buone opere — una vita cristiana nella fede nella speranza e nell’amore — sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti. Quando il giustificato vive in Cristo e agisce nella grazia che ha ricevuto, egli dà, secondo un modo di esprimersi biblico, dei buoni frutti. Tale conseguenza della giustificazione è per il cristiano anche un dovere da assolvere, in quanto egli lotta contro il peccato durante tutta la sua vita; per questo motivo Gesù e gli scritti apostolici esortano i cristiani a compiere opere d’amore” (DCG, n. 37)
[5] P. Piva, L'evento della salvezza fondamento dell'etica ecumenica, EMP, Padova, 260.
[6] “Il discepolo è chiamato a discernere, nella responsabilità, la parola esigente che Dio gli rivolge, qui ed ora. […] Entrando, mediante tale azione, nelle contraddizioni della realtà, come Cristo vi è entrato, il discepolo affronta il rischio del discernimento: il comandamento di Dio dev'essere cercato, non può essere sempre e solo constatato, e tale ricerca può essere soggetta ad errori” (F. Ferrario, Il futuro della Riforma, Claudiana, Torino, 2016, 154s).
[7] V. Il posto del discernimento in “Amoris Laetitia”, in Spadaro – Cameli, La sfida del discernimento in «Amoris Laetitia», in La civiltà cattolica 3985 (2016), 3-5.
[8] Piva, L'evento della salvezza..., 258.