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Moralia Dialoghi

La scienza e la sapienza. Intervista a mons. Claudio Giuliodori

Con uno sguardo "privilegiato" sui giovani che si stanno per affacciare sul mondo del lavoro, mons. Caludio Goiliodori è assistente ecclesiastico generale dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Lo abbiamo intervistato in merito alle questioni antropologiche che oggigiorno segnano più profondamente il vissuto dei giovani.

– Eccellenza, dal 2013 lei è assistente ecclesiastico generale dell’Università cattolica del Sacro Cuore e ha quindi uno sguardo particolare – e in qualche modo «privilegiato» – sui giovani, specie quelli che si stanno per affacciare sul mondo del lavoro e generare il nostro futuro tessuto sociale. Quali sono, a suo avviso, le questioni antropologiche che segnano più profondamente il vissuto dei giovani? E di conseguenza: quali sono gli ambiti in cui ritiene che la riflessione teologica-morale debba investire?

«Un primo elemento può essere colto nella difficoltà che i giovani sperimentano nel vivere in modo unitario e integrale l’esperienza umana. In modo particolare diventa sempre più problematico il rapporto con il corpo, riflesso di una difficoltà nel definire la propria identità personale.

La Chiesa si trova impreparata ad affrontare una simile modificazione della percezione del corpo, dell’affettività e della sessualità e di tutte scelte pratiche e gli stili di vita che ne conseguono all’interno dell’esperienza giovanile. Ma proprio nell’orizzonte del discernimento vocazionale appare fondamentale ritornare a offrire ai giovani una visione armoniosa e gioiosa della corporeità e della sessualità.

Un secondo fattore di criticità sostanziale che intacca il quadro antropologico di fondo è la perdita della dimensione trascendente dell’esistenza.

I giovani, presi nel vortice di un ambiente sempre più mediatizzato e in continua trasformazione, in cui tutto si consuma nell’immediato presente senza estensione né di passato né di futuro, rischiano soprattutto di perdere l’apertura alla dimensione trascendente della vita, che è l’orizzonte entro cui s’iscrive l’esperienza spirituale e la stessa visione di fede.

Ma nonostante la confusione e la dispersione che si registra nel vissuto giovanile, non si può affermare che la secolarizzazione abbia preso il sopravvento. Da analisi più approfondite del rapporto dei giovani con la fede, di carattere qualitativo e non solo quantitativo, si vede che sono venute meno le forme tradizionali della religiosità, ma non è scomparsa la ricerca spirituale, che anzi per certi versi è divenuta più profonda e genuina. Non è tuttavia certamente facile intercettare una domanda di spiritualità così diversa e fluida rispetto al passato.

Un terzo aspetto che è importante evidenziare riguarda il modo di relazionarsi dei giovani con lo scenario sociale e culturale del nostro tempo: vengono evidenziati come snodi critici dell’esperienza giovanile i nuovi processi conoscitivi e di ricerca della verità, le modificazioni apportate a tutti i livelli dalla realtà digitale, la difficoltà a sentirsi parte e a partecipare ai processi sociali e politici, lo smarrimento di fronte alla miriade di modelli e proposte di vita, la speranza e la necessità di andare oltre la secolarizzazione.

In modo particolare vale la pena di registrare che la difficoltà sul piano delle scelte personali e della definizione dell’orizzonte valoriale si ripercuote non solo sul vissuto personale, contrassegnato da varie forme di disagio esistenziale, ma anche sul versante dell’impegno sociale e culturale. I giovani, chiusi nel loro mondo spesso artificioso e dissociato dalla realtà, fanno fatica oggi a sentirsi protagonisti della vita sociale e culturale. Si ritrovano spesso a essere vittime, ma anche artefici della cultura dello scarto».

La questione del linguaggio condiviso

– Ha parlato di scenario culturale e sociale. L’Università cattolica (nelle sue differenti sedi), pur non essendo l’unica realtà accademica in Italia, ricopre un ruolo assai importante nella formazione delle generazioni presenti e future, relativamente agli aspetti emblematici enucleati sopra. Ricordo per inciso ai lettori di Moralia, che tutti gli studenti di tale Università – oltre agli esami del proprio corso di laurea – devono sostenere alcuni esami di teologia. Qual è l’idea di cultura, di società, di fede, di educazione… che tale impostazione implica?

«È necessario, ovviamente con modalità e linguaggi innovativi, mantenere la capacità di costruire visioni d’insieme e mappe concettuali che possano aiutare a superare l’attuale separazione tra teologia e saperi e la stessa frammentazione delle conoscenze scientifiche, sempre più a rischio babele.

Si colloca del resto in tale orizzonte anche il lavoro avviato in questi ultimi anni con la revisione della stessa articolazione tematica dei corsi di teologia che vengono erogati in Università cattolica a tutti gli studenti, un corso per ciascun anno nella triennale mentre per la magistrale si propone un seminario collegato con le materie del corso di laurea. Siamo consapevoli che ritrovare ed elaborare un linguaggio condiviso è una grande impresa. Richiederà molto tempo e il superamento di criticità ben stratificate.

S’intende così rispondere nel miglior modo possibile alle istanze della costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae, che chiede di inserire la teologia in modo ampio e significativo nel curriculum formativo degli studenti perché “la teologia – si afferma al n. 19 – svolge un ruolo particolarmente importante nella ricerca di una sintesi del sapere, come anche nel dialogo tra fede e ragione”. Rispetto a queste finalità, l’organicità della proposta formativa in ambito teologico attualmente offerta dal nostro ateneo sembra essere tra le più qualificate e significative anche rispetto a quanto avviene generalmente nelle altre università cattoliche.

L’obiettivo dei nostri lavori è quello di fare un passo avanti nel contesto del rapporto tra teologia e saperi, in particolare sul versante dei linguaggi e dei concetti. Non basta infatti interrogarsi sull’imprescindibile necessità di un reciproco riconoscimento e di un dialogo reale e costruttivo, dimensioni che abbiamo scandagliato sotto diversi profili negli anni scorsi.

Appare fondamentale approfondire la questione del linguaggio, inteso nella sua dimensione fondativa e istitutiva del sapere, come reale possibilità di individuare, a partire dal logos umano-divino originario, una piattaforma concettuale condivisa che consenta, almeno sulle grandi questioni di fondo, di progredire nella costruzione di un sapere aperto, amante della verità, capace di contribuire al bene e allo sviluppo dell’umanità.

Non è più sufficiente accontentarsi di un formale rispetto che lascia ciascun sapere nel suo alveo, favorendo la crescente frammentazione delle conoscenze con il conseguente rischio di ideologizzazioni di singoli aspetti o segmenti del sapere.

Né si può pensare che la teologia – così come la fede rispetto alla ragione – sia più libera e possa trarre giovamento da una separazione che rappresenta una delle cifre caratterizzanti della modernità. I percorsi che si sono sviluppati alla luce di questo processo, al di là di rigide – quanto semplicistiche – posizioni di uno scientismo che ci auguriamo ormai in via di esaurimento, non hanno certo aiutato né le scienze né la teologia».

Dire la scienza con parole di sapienza

– Nei giorni scorsi (10-13 settembre) si è tenuto a Caravaggio l’annuale Seminario di studio dei docenti di teologia e degli assistenti pastorali, dal titolo: «Le parole dei saggi fanno gustare la scienza» (Pr 15,2). Dire la scienza con parole di sapienza». Perché questo titolo e quali gli obiettivi di questo incontro?

«La strada del dialogo su cui stiamo camminando, se da una parte appare ineludibile, dall’altra pone alla teologia e alla ricerca scientifica nuovi e urgenti interrogativi, a cui dobbiamo assieme tentare di rispondere.

Mi sembra questo il senso che assume per noi l’espressione “Dire la scienza con parole di sapienza”, cioè cercare le vie, i linguaggi, i contenuti che anche grazie all’apporto della teologia, consentano alle varie scienze di non perdere di vista la centralità dell’uomo, la sua dignità e responsabilità, le sfide e i compiti epocali che lo interpellano in questo nostro tempo.

Nel discorso rivolto all’Associazione dei teologi italiani, il 29 dicembre scorso, in occasione del 50° di fondazione, il santo padre indicava anche alcune questioni di stringente attualità con cui la teologia assieme alle altre scienze deve misurarsi: “Come quella della crisi ecologica, dello sviluppo delle neuroscienze o delle tecniche che possono modificare l’uomo; come quella delle sempre più grandi disuguaglianze sociali o delle migrazioni di interi popoli; come quella del relativismo teorico ma anche di quello pratico”.

La scienza teologica è sempre stata dalla Chiesa considerata una dimensione imprescindibile per un progetto accademico ed educativo che vuole formare donne e uomini capaci di contribuire con la loro levatura intellettuale, le loro capacità professionali e una spiccata sensibilità spirituale ed etica al bene comune dell’umanità e alla missione della Chiesa.

Cercando e sperimentando con coraggio nuove modalità di dialogo e collaborazione, la teologia – e quindi anche la teologia morale! – non può sottrarsi al compito di essere fermento d’interazione e unificazione tra i vari saperi».

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