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Moralia Dialoghi

La divulgazione è una virtù. Riconnettere la ricerca con la vita delle comunità

L'avvento di Internet è stato salutato come l'apertura di una stagione in cui ognuno avrebbe avuto la possibilità di cercare e diffondere conoscenze e informazioni, di collegarsi con il mondo, di prendere pubblicamente la parola senza dover passare attraverso i media mainstream – cosa impossibile per il comune cittadino. Sembrava uno strumento, quindi, che avrebbe fatto crescere la democrazia, dando a tutti – gruppi, minoranze, singoli cittadini – la possibilità di prendere “pubblicamente” la parola e di mettere in circolo i propri contenuti.

Ci si è accorti presto che si trattava di un’illusione: era il 2002 quando Hans Magnus Enzensberger scriveva: «Mentre i pionieri del web avevano in mente, nel loro idealismo elettronico, un medium libero dal potere e senza costi, il capitale, nella sua divina indifferenza, vide ben presto le possibilità di utilizzazione che la rete informatica gli offriva. Da una parte si trattava del controllo economico della circolazione dei dati, dall’altra della commercializzazione dei contenuti. Da allora l’inquinamento della rete è aumentato costantemente grazie alla pubblicità.

Anche sul fronte dell’utilizzo, la globalizzazione mostra il rovescio della medaglia. Su migliaia di Homepages trionfano individualismo eccessivo e dissidenza. Non c’è nicchia, microambiente, minoranza che non trovi rifugio nella rete. La pubblicazione, nell’era gutenberghiana privilegio di pochi, diventa un diritto umano elettronico. Al tempo stesso Internet è un eldorado per criminali, intriganti, impostori, terroristi, maniaci sessuali, neonazi e folli…» (Hans Magnus Enzensberger, “I santoni dell’era digitale”, in La Repubblica, 13 marzo 2002, 42).

Camere dell’eco

Enzensberger si riferiva alla cosiddetta blogosfera, non ai social, che sono stati il passaggio successivo e hanno messo in mano a ogni cittadino un potere immenso: quello di pubblicare, condividere, dare visibilità ai contenuti propri o delle persone con cui si va d’accordo. E si è presto capito, che questo potere i cittadini non sapevano gestirlo. Anzi non avevano neppure consapevolezza del fatto che di potere si tratta.

Non mi riferisco solo al proliferare di fake news e di discorsi di odio – tema a cui è dedicato il messaggio del papa per la Giornata mondiale della comunicazione sociale di quest’anno – ma più in generale al fatto che la comunicazione via Internet ci illude di metterci in contatto con tutti, mentre in realtà ci rinchiude in quelle che vengono definite “camere dell’eco”, per cui vediamo i contenuti dei nostri amici e di chi la pensa come noi e non ci confrontiamo con chi la pensa diversamente.

Il meccanismo è duplice. Da un lato vi sono su degli algoritmi, che registrano i nostri dati (il caso Facebook è solo il più clamoroso, ma anche Google e tutti gli altri grandi operatori ricavano i nostri dati ogni volta che ci colleghiamo a internet) e ci segnalano non solo pubblicità personalizzate, ma anche i post e i contenuti che ritengono interessanti per noi, in base ai dati che hanno raccolto. Due persone che inseriscano in un motore di ricerca le stesse parole chiave, otterranno quindi risultati diversi in base alle ricerche precedenti. Facebook e Twitter ci mostrano i post degli “amici” non in sequenza cronologica, ma in base a quelli che ritengono siano i nostri interessi. Così dopo un po’ ci troviamo avvolti in “bolle filtro” e ci convinciamo che tutti la pensano come noi.

Dall’altro lato vi è il meccanismo delle echo chamber («camere dell’eco»): ogni volta che apriamo un profilo su un social network, tendiamo a cercare i nostri amici, o le persone che ci interessano. E perché ci interessano? Perché condividono i nostri interessi. Ciò che facciamo noi rafforza ciò che fanno gli algoritmi, e il risultato è che i social diventano strumenti non di dialogo, ma di rafforzamento delle nostre idee. E dei nostri pregiudizi.

Disintermediazione

A questi meccanismi si affiancano quelli legati alla cosiddetta disintermediazione. Le forme tradizionali della trasmissione della conoscenza – dalla scuola, all’informazione professionale, a quella che passa attraverso le istituzioni in generale – non ottengono più la fiducia dei cittadini. Si preferisce credere alle teorie complottiste (non è vero che c’è stato lo sbarco sulla luna; le torri Gemelli le hanno distrutte gli americani; il Titanic l’hanno affondato i Gesuiti; papa Francesco ha fatto proibire Halloween; il tumore si cura con acqua, limone e bicarbonato…) prese per vere proprio perché non vengono da fonti istituzionali, e quindi libere dalla volontà manipolatoria di chi “sta al potere”. Questo fa sì che la comunicazione diffusa sia sempre più ridondante, ma povera di contenuti, e traccia un solco profondo tra chi elabora la conoscenza e chi invece preferisce aggrapparsi alle semplificazioni del complottismo e delle bufale.

Nello spazio ecclesiale

Anche l'impegno per la riforma della Chiesa di papa Francesco, rischia di essere gravemente ostacolato da questi meccanismi. Alcuni gruppi di cattolici conservatori e soprattutto contrari alla riforma, tutto questo l’hanno capito benissimo. Sono attivissimi in internet e sui social, dove hanno una visibilità sproporzionata al loro reale peso numerico. Mario Adinolfi, del Popolo della Famiglia, a causa del linguaggio, diciamo così, irruente, che piace molto al popolo che lo segue in rete, è stato più volte sospeso da Facebook, che riteneva i suoi post offensivi. Lui si è adeguato al linguaggio e all’atteggiamento diffuso sul social più importante, ma personalmente non credo sia questa la strada.

Un ambiente da abitare

Nonostante tutto quello che abbiamo detto, Internet rappresenta un progresso per la nostra società, e comunque, anche volessimo non possiamo più farne a meno. È un ambiente da abitare, né più né meno di quelli “fisici”. Tutti gli ultimi messaggi dei papi, a partire da Benedetto XVI, lo ribadiscono: internet ci permette di diffondere in nostri contenuti, di dare testimonianza, soprattutto di incontrare altre persone, che altrimenti non incontreremmo mai. È un luogo da evangelizzare e nello stesso tempo un luogo dove evangelizzare.

Oggi abitare Internet – con tutta la fatica di cercare un linguaggio semplice e breve, con cui ogni volta sembra di banalizzare concetti complessi, ma indispensabile per farsi leggere – significa mettersi in gioco, rendersi disponibili: non si tratta solo di pubblicare, ma anche di ascoltare, accettando eventualmente di essere contestati. Rompere le camere dell'eco e in generale le barriere tra cultura "alta" e "incultura" diffusa, riconnettendo il sapere con la vita delle persone e delle comunità, è oggi una mission, che riguarda chiunque abbia a cuore il futuro della Chiesa e, più in generale, della nostra società. Perché «Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace» (Francesco, messaggio per la Giornata mondiale della comunicazione 2018).

 

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