Integrare: offrire la cittadinanza all’altro nel contesto geopolitico e religioso di oggi
In controtendenza rispetto ai seminatori di paura papa Francesco legge la condizione dei tanti migranti e rifugiati come opportunità per costruire una società più solidale. Ne offre anche una lettura di fede scorgendo nelle migrazioni un’occasione di incontro con Gesù Cristo «il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca». Nel Messaggio per la giornata della Pace 2018 viene delineato un percorso in quattro verbi: accogliere, proteggere, accompagnare, integrare. «L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati».
Ambiguità e significati di un termine
L’uso delle parole riguardo ai migranti e agli stranieri è un campo delicato, spesso infido, che nasconde precomprensioni e ambiguità: anche il verbo integrare non si sottrae a possibili sviamenti. Fa infatti riferimento a “integro”, termine che denota qualcosa di compiuto, completo in se stesso, non frantumato. Evoca il divenire parte di un tutto in cui l’accento sta sull’aspetto di compattezza senza variazioni e differenze.
Integrare, in riferimento ai migranti poveri, rischia di recare in sé la precomprensione implicita che lo straniero debba essere assimilato ad una società di cui si presuppone un’identità fissata e immutabile. Lo straniero è posto così di fronte all’obbligo di adeguamento in una condizione di inferiorità. L’esigenza di integrazione può celare la pretesa di negarne l’alterità e i diritti fondamentali.
Per questo nel Messaggio il riferimento all’integrare è completato da una precisazione: non si tratta di assimilazione, piuttosto di un faticoso processo di cui si sottolinea il tratto della reciprocità. Parlando di arricchimento interculturale l’accento va sulla relazione. In contrasto con le pretese di uniformare l’altro a sé, proprie di un’attitudine imperialista e tipicamente europea, integrare indica che la sfida fondamentale sta nel dare valore alla presenza dell’altro nell’incontro, nello scambio interculturale. Per questo le migrazioni costituiscono un’opportunità. Non sono le differenze che costituiscono una minaccia alla convivenza ma la mancanza di dialogo e di scelte politiche tese a favorire il riconoscimento di dignità e l’incontro.
Stranieri residenti: per una cittadinanza solidale
Solo se si attua un’effettiva interazione, un agire insieme, si può costruire una società più solidale, in cui siano promossi i legami tra le persone, quel convivere che è partecipare ad una casa comune. Integrare apre allora a compiti inediti di trasformazione e ripensamento dei rapporti di convivenza oltre ristretti confini. Esprime l’esigenza di intendere in modo nuovo la cittadinanza comune. Questa può la condizione in cui tutti si scoprono insieme stranieri perché uniti nella medesima umanità.
Accogliere non è allora una concessione elargita all’ospite per assimilarlo o sfruttarlo ma percorso che attraversa la vita in apertura all’incontro. La presenza dell’altro non è minaccia all’integrità di culture e identità che possono fiorire solamente nei rapporti e nello scambio. È evento di reciproca responsabilità e fecondazione: tutti in modi diversi sono chiamati ad un cammino di ascolto reciproco, di cambiamento e di novità nella progettazione del vivere sociale.
Nel tempo della paura
Tuttavia oggi parlare di integrazione è difficile nel quadro di un contesto malato, che vede diffondersi una percezione delle migrazioni come pericolo. I migranti dai mondi della miseria sono identificati come causa di mali sociali e capro espiatorio delle difficoltà economiche dei paesi ricchi del mondo.
Il fenomeno è stato affrontato nella legislazione dei paesi di arrivo per lo più come questione di sicurezza e di difesa delle frontiere e non quale processo strutturale da comprendere nelle sue cause — che coinvolgono la responsabilità dei paesi del Nord del mondo — da orientare con scelte di saggezza politica e di sguardo al futuro. Integrare richiama alla concretezza di percorsi che conducono dalla condizione di ospiti al riconoscimento come cittadini.
La concretezza di un percorso
Integrare implica un processo da considerare nella complessità e nella durata. Pone l’esigenza di un ripensamento delle forme della vita sociale. Non è un movimento a senso unico ma provoca ad un cambiamento reciproco nella relazione. Richiede tempo e la capacità di piccoli passi di fronte a problematiche diverse che richiedono competenze e continuità di attenzione.
L’impegno in vista dell’integrazione è permanente, non è limitato, va oltre il tempo dell’emergenza, del soccorso. Integrare è questione di incontro di volti. Rinvia a pensare che nei volti dei migranti sono presenti progetti di vita, sogni di emancipazione, desiderio di riconoscimento, soprattutto ricerca di condizioni di vita dignitose per sé e per i propri figli.
È un dato verificabile che i processi di integrazione incontrano esiti positivi laddove si attua un incontro diretto, opportunità di vincere pregiudizi e stereotipi nell’ascolto. Integrare in primo luogo è opera di una paziente opera di vicinanza e di educazione all’incontro. E questo si attua a livello locale dando importanza alle città come luoghi dove si rendono possibili relazioni di riconoscimento, primo antidoto anche alle derive possibili nello sfruttamento e nella criminalità.
Un percorso di scelte concrete in un contesto di disagio
Integrare è processo di scelte concrete. I processi dell’integrazione riguardano i fondamentali momenti del vivere. La casa, il lavoro, la sanità, l’istruzione, l’esperienza religiosa, i diritti sociali sono gli ambiti in cui possono declinarsi politiche di integrazione dallo sguardo lungo. Non sono percorsi facili da attuare, soprattutto nel quadro di un sistema economico dominante che produce povertà ed esclusione e in cui trova spazio la contrapposizione dei poveri: chi è schiacciato dal sistema economico che riduce il lavoro a merce e le persone a schiavi e consumatori non dovrebbe vedere la propria lotta per la dignità e equità contrapposta alla lotta di chi emigra alla ricerca di pane e dignità. Sono due movimenti che esprimono il disagio di un sistema ingiusto che richiede modi alternativi di intendere il lavoro e l’economia e creatività nell’attuarli.
Integrare è impegno in cui rendere i soggetti quali primi responsabili offrendo sostegno nei percorsi di vita. L’aiuto nel reperimento di alloggi, nell’inserimento lavorativo, l’accompagnamento nell’apprendimento della lingua, primo passo fondamentale per comunicare, e nell’istruzione per formare competenze, la cura per coltivare la fede, sono esiti di scelte con progettualità politica, che ponga attenzione alle persone e fiducia. Ad un’opera culturale ad ampio raggio promotrice responsabilità, devono corrispondere scelte politiche che ai diversi livelli siano in grado di investire energie e risorse nel promuovere collaborazioni con le diverse presenze del tessuto sociale. In tal senso sarebbero auspicabili politiche nazionali e sovranazionali con una progettualità ad ampio respiro che siano incentivo ai livelli locali per promuovere creatività e collaborazioni nuove, per pensare a modalità alternative di lavoro in un orizzonte solidale.
Segno dei tempi
Per i credenti le migrazioni sono un segno dei tempi che costituisce una chiamata di Dio all’interno di complessi movimenti storici, a scorgere vie per accogliere e testimoniare il Vangelo in questo tempo.
Il passo biblico «amate dunque lo straniero perché anche voi foste stranieri nella terra d’Egitto» (Dt 10,18) citato nel Messaggio, rinvia alla condizione di essere stranieri come propria di Israele. Lo straniero che giunge nel paese è ricordo di una condizione comune ed apre la consapevolezza di essere stranieri residenti nel tempo e sulla terra. Perciò provoca a scelte nell’orizzonte della solidarietà. Lo straniero che giunge iscrive all’interno della comunità un vuoto che è memoria dell’essere stranieri nel cammino dell’esistenza umana. L’incontro con l’altro è luogo teologico di un comunicarsi del Dio Altro che sconvolge le chiusure dei pensieri umani. In questo senso integrare è verbo che parla di cammino in cui aprirsi alla ricerca di Dio e accogliere la sua chiamata a non ridurre la vita alle dimensioni idolatriche dell’avere e del consumare, aprendola invece all’ospitalità come luogo di una visita feconda.
Nella visita di Maria a Elisabetta si può trovare racchiuso il percorso di uno stile: la vita può essere intesa come ospitalità data e ricevuta, in un farsi concreto della cura per l’altro che giunge a scorgere la nascita di una novità racchiusa nella promessa di Dio e nell’incontro. Maria che si reca a visitare Elisabetta intraprende un cammino concreto di incontro e di servizio prolungato. Riconosce, lei per prima visitata, la chiamata ad alzarsi e andare aprendosi al dono dell’ospitalità. L’incontro con l’altro è sempre scoperta che siamo stranieri a noi stessi e insieme in un cammino di ospiti nell’esistenza.
Per approfondire:
C. Monge, Stranieri con Dio. L’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, ed. Terra Santa, Milano 2013.
D. Di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2017
A. Cortesi, S.Nerozzi, Migrazioni, segni dei tempi. Economia, diritti, politiche locali, ed. Nerbini Firenze 2010.
A. Cortesi, S.Nerozzi, Migrazioni incontro con l’altro. Identità, alterità, accoglienza, ed. Nerbini, Firenze 2013.
A. Cortesi, Islam, popoli in movimento, democrazia. Mediterraneo mare di confini, ed. Nerbini Firenze 2015.
A. Cortesi, C. Monge, Sulle sponde del Mediterraneo. Geopolitica, guerre, religioni, ed. Nerbini Firenze 2017.