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Moralia Dialoghi

Il politico tra carisma e istituzione: “con” e “oltre” Max Weber

L’articolazione politica del binomio carisma-istituzione guida quasi immediatamente il pensiero alle modalità di legittimazione del potere e alla sua descrizione attraverso “tipi ideali” proposta da Max Weber. Figure certamente isolabili sotto il profilo descrittivo della scienza, ma diversamente intrecciate nelle espressioni concrete individuabili nella storia umana.

È ancora necessario pensare “con” Weber alla tensione carismatica e istituzionale, soprattutto per quegli elementi in grado di interpretare attuali tendenze operanti sul nostro scenario politico-culturale, ma anche andare “oltre” l’autorevole filosofo tedesco. Tra l’altro il suo pensiero è ancora tutto raccolto nella forma moderna dello stato nazionale, basata sulla ricerca del potere per l’esercizio legittimo della forza nei limiti di un territorio e di un popolo. Tale quadro politico è trasceso dalla contemporanea globalizzazione, che ha spogliato lo stato «di gran parte della sua sovranità un tempo onnicomprensiva, “totale”, posto dinanzi a una situazione “senza alternative” molto più spesso di quanto non sia libero di scegliere le proprie politiche e pressato da forze esterne anziché dalle preferenze democraticamente espresse dei suoi cittadini» (Z. Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Roma-Bari 2003, XIV).

Oltre la legittimazione della forza: l’autorevolezza delle persone

Secondo Weber, la legittimazione del potere si esprime attraverso tre principali modalità presenti nella storia umana [cfr. La politica come professione (1919), in Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1948, pp. 49-50]:

– l’“autorità del costume”, cioè la tradizione consuetudinaria, radicata sul carattere sacro delle istituzioni;

– l’autorità della “legalità” «in forza della fede nella validità della norma di legge e della “competenza” obiettiva fondata su regole razionalmente formulate», cioè l’istituzione, con le sue funzioni e i suoi rappresentanti;

– l’“autorità del dono di grazia (Gnadengabe)”, cioè il carisma personale espresso dal leader sulla base di un’intima “vocazione” (Beruf) e il riconoscimento da parte dei suoi seguaci.

Certamente, per quanto concerne la politica, la prima forma risulta radicalmente superata nel trapasso dalla società di ancien regime allo stato moderno basato sul sistema delle istituzioni democratiche e della modalità elettiva dei suoi capi.

Tuttavia, ponendosi già “oltre” la lezione weberiana, il livello tradizionale, spogliato dall’aura “sacrale”, potrebbe richiamare l’orientamento degli uomini alla socialità e alla sua organizzazione politica, insufficiente però a determinare le ragioni obiettive che presiedono al governo della vita della moltitudine.

Il secondo livello, carismatico, nel rispetto costituzionale e parlamentare, indica la figura del leader partitico che “aspira” al potere di governo. La terza, tipica dello “stato moderno”, inquadra l’ordinamento entro il quale circoscrivere e orientare il patto civile, per conferire concretezza e progettualità al legame sociale attraverso l’esercizio del potere legittimo. In questa prospettiva l’assetto delle istituzioni e la personalità propria di chi è chiamato all’esercizio del governo non si pongono in alternativa, ma sono chiamate a interagire, alla luce di un legame, alla base della vita pubblica, più profondo rispetto al patto stabilito e di un’efficace azione determinata da fini storici obiettivi e condivisi.

Accanto al rigoroso rispetto dell’assetto costituzionale, occorre coltivare quelle che Weber individua come qualità “sommamente decisive” per l’uomo politico, in ragione di quella “autorevolezza” personale, che è la matrice di senso su cui iscrivere lo stesso riconoscimento dell’autorità e del potere. Tali qualità sono individuate nella «passione, senso di responsabilità, lungimiranza».

La prima impone una dedizione appassionata (e trasparente) alla causa (Sache). La seconda istituisce il politico come soggetto accreditato per dare azione a tale causa. La lungimiranza, specifica virtù del politico, esprime la «capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore», creando un opportuno spazio di distanza riflessiva in vista di una migliore attitudine valutativa e operativa. «La politica – ricordava Weber nel 1919 – si fa col cervello e non con altre parti del corpo o con altre facoltà dell’anima. E tuttavia la dedizione alla politica, se questa non deve essere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, può nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente “si agitano a vuoto”, è solo possibile attraverso l’attitudine alla distanza in tutti i sensi della parola» (ivi, 101-102).

Oltre l’opposizione: un’etica politica di principi e responsabilità

Quale dunque l’ethos della politica intesa come dedizione alla causa? Qui entra in gioco la celebre distinzione weberiana tra “convinzione” personale e “responsabilità” civile-politica. Con essa si riformula il binomio tra dimensione carismatica, che impone l’obbedienza della persona a principi assoluti, e dimensione istituzionale, che impone di rispondere alle e delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni.

È noto come, in sede di teoria etica normativa, i due modelli siano stati assunti come oppositivi e, inoltre, più a monte, postulino una necessaria distinzione tra razionalità etica e razionalità politica. Tuttavia Weber fa notare che l’etica della “convinzione” (Gesinnungsethik) non coincide con la mancanza di assunzione di responsabilità, né l’etica della “responsabilità” (Verantwortungsethik) con un’azione motivata unicamente dall’efficienza del risultato obiettivo. Non esiste a livello esistenziale un agire in base a principi che non sappia tenere conto anche degli effetti, né un agire fortemente attento agli effetti prodotti che, tuttavia, non possa prescindere da una base valoriale personale. Dopo aver mostrato la separazione concettuale, Weber opera cioè la loro ricomposizione esistenziale: «L’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono assolutamente antitetiche ma si completano a vicenda, e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la vocazione alla politica» (ivi, 119).

Weber gioca sul termine Beruf che, in tedesco, include la doppia semantica “professionale” e “vocazionale”. L’esercizio professionale, secondo le norme istituzionali, ha bisogno di verificare le proprie azioni sulle conseguenze positive o negative, mentre l’idea carismatica della vocazione alla politica si sviluppa anche partire da principi cui il singolo conferisce un’adesione personale.

Oltre il populismo e la rigidità istituzionale: l’oscillazione polare di carisma e istituzione

Sin qui la lezione weberiana. Ma l’oltrepassamento richiesto dall’attuale condizione della politica sembra postulare la ricomposizione di carisma e istituzione, quasi nel senso dato da Guardini, di “opposizioni polari” più che realtà antitetiche. In tale ambito risulta possibile il pensiero e l’azione politica secondo il suo orientamento intenzionale (e convinto) al bene comune. Questa oscillazione contribuisce a rimettere in assetto ciò che di ciascuno di questi elementi risulta destabilizzante. Sul versante del carisma, la preoccupante declinazione populistica dell’esercizio politico; sull’altro, la necessaria capacità progettuale da innestare nelle istituzioni in vista di una migliore (e non solo efficiente o efficace) possibilità operativa delle stesse e un più chiaro orientamento lungimirante.

In questa prospettiva, l’«oltre Max Weber» si pone nell’evidente ridimensionamento (o svuotamento) del peso ideologico dei partiti del dopo-guerra, progressivamente impostosi in Italia già alla fine degli anni Ottanta. A tale processo ha corrisposto l’emergere di forze politiche e, soprattutto, di figure di leadership (o aspiranti a essa) fortemente caratterizzate da tratti populistici. Una forma di politica tinta di spinte demagogiche, retoricamente persuasive e fortemente carezzanti la sensibilità “emozionale” dell’elettorato. Essa sembra essere l’ultima evoluzione di una concezione che esalta la dinamica carismatica come portatrice di una specifica “vocazione” per lo svecchiamento dell’apparato statale (e degli stessi partiti “tradizionali”) in vista delle riforme improcrastinabili per la vita civile e pubblica, in talune espressioni non senza forzare le stesse regole istituzionali.

Oltre la polarità carisma-istituzione: la cittadinanza

La ricomposizione di carisma e istituzione trova il suo orizzonte di riferimento in un humus di più convinta cittadinanza, che coinvolga chi governa e chi è governato. Su di esso si coltiva la personalità e il carisma di chi ambisce alla guida della comunità politica, ma individua anche un preciso impegno condiviso da parte di tutte le forze politiche democratiche. L’impulso carismatico, inserito nel quadro istituzionale, necessita pertanto di un più chiaro orientamento da una prospettiva centrata sull’autorità politica e sull’esercizio del potere come “assicurativo” del bene comune per i consociati, a una concezione più “partecipativa” del bene comune, cioè implicante il coinvolgimento di tutte le espressioni della società, che ne danno ricchezza umana e possibilità di futuro, con la promozione di soggettività politicamente attive.

Il carisma politico oggi richiesto è certamente la capacità di trovare risposte innovative, ma anche la valorizzazione e la circolazione di dinamiche virtuose, già presenti nel tessuto civile, che facciano da stimolo alle stesse istituzioni per individuare pratiche comuni di vita attente al bene di tutti e di ciascuno.

L’uscita dalla stagnazione (che non è solo economica, ma anche politica) richiede, pertanto, la “professionalità carismatica” del politico per “saper fare” ciò che si richiede nel momento. E questo tuttavia attraverso più limpidi processi di inclusione delle ricchezze di pensiero e di azione presenti nella società civile; attraverso la capacità di integrare, in una forma di sussidiarietà virtuosa improntata alla più costruttiva solidarietà, quanto è già in atto per la rigenerazione del legame sociale. Ma anche, fuggendo la tentazione efficientistica del decisionismo a corto respiro, attraverso un lavoro lungimirante per abilitare e far crescere nuove competenze e modalità partecipative.

Entro la tradizione cristiana

Tale oscillazione di energia costruttiva lungo la polarità carisma-istituzione può far tesoro del pensiero di ispirazione cristiana, attento, più che al “saper fare”, al “saper essere”. Sul versante dell’istituzione, ricordando che la “politica” rappresenta, nel campo del bene comune, quello che la “prudenza”, come virtù, suggerisce per le decisioni individuali secondo il criterio del bene, qui e ora, possibile e doveroso (cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 47, a. 10). E richiamando, accanto alla prudenza, la forza testimoniale della parresia, che non solo sa intuire il nuovo, ma riconosce come atteggiamento del politico la disponibilità a portare il peso (e le conseguenze) della propria azione, anche pagandone personalmente il prezzo. E che sa esprimere la propria forza di novità nell’umile e rispettosa attenzione alla parola dell’altro, nella convinzione che solo in questo modo potrà esigere dall’altro (anche l’avversario politico) altrettanta franchezza e rispetto della verità.

A tale compito di (ri)generazione del legame sociale può ancora servire la lezione del “vecchio” Max Weber: «La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento allo stesso tempo. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l'impossibile» (Il lavoro intellettuale come professione, 120-121).

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