Il backstage del Sinodo. Intervista a p. Giacomo Costa sj
A colloquio con padre Giacomo Costa sj che, assieme a don Rossano Sala, è stato nominato segretario speciale dell’imminente Sinodo dei vescovi. Gli abbiamo chiesto quale sarà secondo lui la posta in gioco di questo appuntamento ecclesiale.
– Padre Costa, assieme a don Rossano Sala lei è stato nominato segretario speciale dell’imminente Sinodo dei vescovi, sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», che inizia il prossimo mercoledì 3 ottobre in Vaticano. Qual è secondo lei la posta in gioco di questo appuntamento ecclesiale (ma non solo)?
«L’attenzione dei media e le risonanze nell’opinione pubblica, sia intra che extra ecclesiali, paiono inferiori a quelle stimolate dal precedente Sinodo sulla famiglia. Tuttavia la posta in gioco del prossimo Sinodo non è affatto secondaria, specialmente in ottica di lungo periodo.
Questo Sinodo infatti stimola ad affrontare, nei contesti attuali, la questione dei rapporti tra le generazioni, ripensando il presente in modo che lasci spazio al futuro. Qualsiasi organizzazione che non riesca a farlo è condannata a perdere progressivamente di significato, riducendo via via la propria capacità d’incidere sulla realtà.
La Chiesa non può permetterselo, non solo e non tanto per garantirsi un futuro come istituzione, ma perché ne va della trasmissione del messaggio evangelico che rappresenta la sua ragion d’essere, o, in altri termini, la sua vocazione profonda».
Il coinvolgimento dei giovani
– Non si giunge a un appuntamento così importante senza un lungo e articolato percorso preparatorio. C’è un aspetto che vorrebbe mettere in luce, a livello sia di metodo sia di attenzioni, aspetti, stile?
«Va sottolineata l’articolazione del percorso di preparazione del Sinodo, ispirata a criteri di inclusione e partecipazione senza precedenti.
Il consueto Documento preparatorio, pubblicato a gennaio 2017, era infatti accompagnato da un questionario, cui tutte le conferenze episcopali del mondo erano invitate a rispondere. Un Seminario internazionale a settembre 2017 ha permesso di raccogliere l’opinione di esperti di varie discipline teologiche e sociologiche.
Intanto una consultazione on-line offriva ai giovani di tutto il mondo la possibilità di prendere la parola in prima persona: oltre 100.000 lo hanno completato. Infine – e questa è una novità assoluta – dal 19 al 24 marzo scorso 300 giovani di tutto il mondo (non tutti cattolici e non tutti credenti) sono stati invitati a Roma per prendere parte alla Riunione pre-sinodale.
Il Documento finale da loro prodotto, integrando anche gli interventi degli oltre 15.000 giovani che hanno partecipato ai lavori attraverso i social network, è stato consegnato al papa e rappresenta una delle fonti principali dell’Instrumentum laboris.
Questa dinamica ha reso la preparazione al Sinodo un processo di reale incontro e ascolto tra generazioni. Come aveva espressamente chiesto papa Francesco, sono state sperimentate nuove modalità perché i giovani potessero far sentire la propria voce “senza filtri” ed essere presi sul serio.
Se il Sinodo rimane ufficialmente “dei vescovi”, proprio per il loro ruolo di pastori, non può però non diventare un evento che coinvolge tutta la Chiesa. L’evoluzione non è ancora terminata, il format dell’Assemblea di ottobre resta in larga parte quello tradizionale, ma la direzione imboccata è molto chiara, ed è riassumibile con l’espressione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco: “avviare processi possibili” più che “occupare spazi” e cercare di “ottenere risultati immediati” (n. 224s).
Resta comunque molto da imparare su come far partecipare i fedeli, come coinvolgere gli esperti, come valorizzare adeguatamente le diverse prospettive sociali e culturali in tutte le fasi del cammino. Si tratta per la Chiesa di imparare ad ascoltare: soprattutto quando ci si muove a livello globale, trovare modalità concrete, adeguate, sostenibili è tutt’altro che scontato e c’è ancora molta strada da fare, ma essere già riusciti a fare qualche passo è stato ed è comunque appassionante!».
Che cosa vuol dire discernimento
– Tutto questo lavoro preparatorio ha consentito di mettere maggiormente a fuoco gli obiettivi?
«Indubbiamente! Provo qui a formularne tre, che evidentemente si articolano tra di loro.
Il primo assume il bisogno dei giovani, da loro espresso con grande forza, di trovare figure capaci di accompagnarli nell’identificazione della strada originale di ciascuno verso la pienezza della vita. Compito del Sinodo capire in che modo e con quali mezzi la Chiesa può attivarsi per darvi una risposta. Questo richiederà inevitabilmente alle comunità ecclesiali di mettersi in discussione, di intraprendere un “cammino di conversione” (cf. Instrumentum laboris, terza parte).
Ecco quindi il secondo obiettivo del Sinodo, che riguarda il rinnovamento della Chiesa perché la sua identità profonda risulti decodificabile anche dal mondo giovanile, con linguaggi che essi comprendano. Raggiungere questi due obiettivi richiederà poi alla Chiesa universale e poi a quelle locali di prendere decisioni, di individuare mezzi e strumenti e una direzione di marcia.
Il terzo obiettivo del Sinodo e del processo che l’Assemblea di ottobre metterà in moto non può che essere dunque una crescita nella capacità di “discernimento” da parte delle comunità ecclesiali».
– Ha pronunciato la parola «discernimento», che impregna tutto il magistero di Francesco e prima ancora la spiritualità ignaziana. Lei stesso, p. Costa, è gesuita. Ma «discernimento» è termine (processo, paradigma, concetto…) che coinvolge anche la riflessione teologica-morale e quindi noi tutti scrittori e lettori di Moralia. Ci potrebbe, per cortesia, dire una parola in tal senso, anche in relazione al lavoro fin qui compiuto?
«L’ambito in cui si colloca il discernimento è quello dell’opzione tra le alternative a cui la vita pone dinnanzi, in condizioni d’incertezza e in presenza di spinte interiori contrastanti.
Attiene innanzitutto alle scelte fondamentali sullo stato di vita (matrimonio, sacerdozio e vita religiosa), sul corso di studi o sulla professione o su un impegno di servizio, ad esempio in politica. Ma può riguardare anche decisioni più ordinarie (gestione del tempo, scelte di consumo e di investimento, opzioni elettorali ecc.), che determinano quello che oggi è chiamato “stile di vita”.
Nel discernimento siamo di fatto chiamati a riconoscere la voce dello Spirito, tra le tante che nel mondo si fanno udire, e a decidere di seguirla; quindi è sia un atto puntuale, che si compie con riferimento a una scelta concreta, sia anche un atteggiamento di attenzione che si snoda nel tempo e accompagna l’intera esistenza.
Non è quindi una tecnica per prendere decisioni ma un esercizio della coscienza, fondato sulla convinzione di fede che la vita in pienezza è un dono offerto a ogni uomo e ogni donna. Questa dinamica riguarda ciascuna persona, ma interpella anche i gruppi, le organizzazioni e le istituzioni, a partire da quelle ecclesiali: anche a loro lo Spirito affida una missione, la cui realizzazione richiede un continuo discernimento.
L’Instrumentum laboris è strutturato in tre parti, seguendo i passi tipici di un processo di discernimento (riconoscere, interpretare, scegliere) e offrendo una base all’articolazione dei lavori dell’Assemblea: ogni settimana di lavoro sarà focalizzata su una delle tre parti. Questo è lo stile sinodale che interpella direttamente anche la riflessione teologico-morale.
La prima parte (Riconoscere) chiede di mettersi di fronte alla realtà non per un’analisi sociologica, ma con lo sguardo del discepolo, scrutando le orme e le tracce del passaggio del Signore con un atteggiamento di apertura e misericordia, evitando pregiudizi e demonizzazioni.
Per chi ha a cuore i giovani e desidera accompagnarli verso la vita in pienezza, è imprescindibile conoscere le realtà che essi vivono, a partire da quelle più dolorose come la guerra, il carcere o l’emarginazione. Ugualmente è necessario lasciarsi interpellare dalle loro inquietudini, anche quando mettono in questione le prassi della Chiesa (per esempio la vivacità della liturgia o il ruolo della donna) o riguardano questioni complesse come la sessualità.
Altrettanto importante è prendere consapevolezza dei punti di forza della presenza della Chiesa nel mondo giovanile, e delle sue debolezze, a partire dalla scarsa familiarità con la cultura digitale.
La seconda parte dell’Instrumentum laboris (Interpretare) non fornisce un’interpretazione già pronta della realtà, ma offre alcuni strumenti per una lettura più approfondita. Metto in evidenza in particolare uno dei quattro termini o chiavi di lettura, strettamente collegato al discernimento: l’accompagnamento.
È un servizio che i giovani chiedono con forza, segnalando di sentirsi soli di fronte a un mondo complicato. Il servizio dell’accompagnamento chiama in causa chi si trova a svolgere il compito di guida spirituale e ha quindi bisogno di una formazione adeguata, ma non solo. Riguarda molte altre figure che incontrano i giovani nei diversi ambiti in cui si svolge la loro vita (genitori, psicologi, insegnanti, formatori, educatori, allenatori e in fondo la comunità cristiana nel suo insieme…).
I giovani stessi segnalano le qualità che deve possedere un buon accompagnatore: deve aver fatto i conti con le proprie fragilità ed essere testimone di fiducia e speranza, e non un giudice severo o qualcuno che cerca di imporre modelli precostituiti. Accompagnare richiede allora di assumere un rischio, di uscire dalla propria posizione, permettendo a chi è accompagnato di accedere a quella originalità che il Creatore gli ha donato, e non di replicare passivamente un modello.
La terza parte dell’Instrumentum laboris (Scegliere) invita la Chiesa intera a compiere delle scelte di cambiamento all’interno di un orizzonte di vitalità spirituale. La prospettiva è quella integrale tracciata dal magistero di papa Francesco, capace di articolare le diverse dimensioni dell’essere umano, la cura della casa comune, la sollecitudine contro ogni emarginazione, la collaborazione e il dialogo come metodo per la costruzione del popolo di Dio e la promozione del bene comune. Questa prospettiva si salda con la suggestione dell’essere Chiesa in uscita, senza arroccamenti e preoccupazioni di occupare il centro.
Un lavoro che la Chiesa fa per sé e per tutti
– Quali sono, secondo lei e allo stato attuale dei lavori, le urgenze e le attenzioni che la riflessione teologico-morale dovrebbe tenere particolarmente presenti?
«Prendere sul serio i giovani, la loro cultura, le loro esigenze, le loro risorse e le loro fragilità mette di fronte alla necessità del cambiamento, così da aprirsi alla novità di cui queste generazioni sono portatrici.
In essa – la Chiesa ne è consapevole per fede – è all’opera lo Spirito che fa in questo modo sentire il proprio appello. Non è peraltro solo la Chiesa a doversi misurare con le difficoltà della comunicazione tra generazioni, che la rapidità dei processi di cambiamento socio-culturale rende estranee nel giro di pochi anni.
Il processo sinodale in corso ci dice però che la Chiesa ha quanto meno la consapevolezza del problema e il desiderio di trattarlo seriamente. Provare ad affrontare la questione non solo in chiave diagnostica, ma lasciando emergere, attraverso un serio lavoro di ascolto e d’interpretazione condiviso, concreti itinerari di cambiamento per costruire una rinnovata solidarietà tra le generazioni, è la posta in gioco del prossimo Sinodo. Lo è anche per la riflessione teologico-morale, attraverso cui la Chiesa svolge nei confronti dell’insieme della società il servizio di indicare una priorità che non può essere disattesa.
Questo per quanto riguarda lo stile. Se invece la domanda è sugli ambiti più urgenti, direi che tutti sono ugualmente urgenti.
Per citarne solo due: il primo ambito si radica nell’attenzione all’inclusione delle differenze e riguarda soprattutto le tematiche del genere, della sessualità e dell’affettività: molte posizioni sono percepite come astratte, slegate dell’esperienza concreta, aprioristiche o autoritarie, e non sufficientemente attente alla tutela delle differenze.
Con un’intensità ben maggiore, lo stesso discorso vale per le questioni legate alla disuguaglianza e all’ingiustizia sociale, a partire dal ruolo della donna nella società e nella Chiesa, e per quelle ambientali (che includono il tema della giustizia tra le generazioni): i giovani hanno il loro modo di affrontarle, il loro lessico e le loro categorie per riflettere e le loro modalità per impegnarsi, spesso assai lontani da quelli delle generazioni precedenti.
La sfida del Sinodo – e che in qualche modo rilancio anche agli scrittori e ai lettori di Moralia – è proprio quella di scoprire all’interno della tradizione spirituale e teologica della Chiesa quelle ricchezze che possano consentirle di sintonizzarsi anche con la mentalità di questa epoca, così da poter continuare a mostrare la rilevanza e la vitalità del messaggio evangelico per ogni generazione e l’impegno etico personale e comunitario».