I due Patti Globali dell’ONU
1. Origini di un’iniziativa internazionale sostenuta da papa Francesco
L’era delle migrazioni
Nel messaggio che papa Francesco ci consegna per la Giornata del migrante e del rifugiato il 14 gennaio 2018, ci fa capire quanto profonda sia la sua «preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà». Una preoccupazione consapevole riguardo la complessità delle dinamiche globali attuali e della mobilità umana. Infatti, al giorno d’oggi, i movimenti migratori hanno raggiunto dimensioni sconosciute nei secoli precedenti, agevolati in gran misura dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione e dei trasporti.
Anche se le cause non possono essere riconducibili ad una sola origine, è indiscutibile che ci sono fattori che le causano o le acuiscono come i conflitti violenti in diverse zone del pianeta, il cambio climatico, la povertà estrema, l’insicurezza alimentare, la mancanza di un lavoro decente, le disuguaglianze, le discriminazioni, le violazioni e gli abusi dei diritti umani tra gli altri. Sono sempre più usuali flussi cospicui e di massa di profughi e di migranti irregolari che spesso si trovano in condizioni di grande vulnerabilità.
Più che mai, questi fenomeni sono presenti nella nostra vita e purtroppo la comunità internazionale nel suo insieme non riesce a trovare soluzioni alle numerose ragioni per le quali tante persone intraprendono viaggi pericolosi in cerca di sicurezza e dignità. Molti dei cosiddetti paesi del Nord del mondo sono preoccupati quasi esclusivamente nel fermare i flussi in arrivo nei loro territori, e per l’impatto che essi possono avere nelle rispettive società, piuttosto che debellare le cause profonde di tali migrazioni.
La comunità internazionale si attiva
In questo scenario e di fronte a una situazione sempre più caotica, gli stati sono arrivati alla conclusione della necessità che, in modo condiviso e consensuale, devono assumere una maggior responsabilità riguardo ai rifugiati e migranti ma anche verso le società di accoglienza. In questa direzione va l’adozione della New York Declaration for Refugees and Migrants da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in occasione del Summit sui rifugiati e i migranti del 19 settembre 2016.
Essa costituisce una presa di posizione rilevante da parte della comunità internazionale in merito ai principali temi giuridici legati ai fenomeni migratori contemporanei ed è il primo passo di un processo negoziale finalizzato all’elaborazione di un Global Compact on Refugees e di un Global Compact for safe, orderly and regular migration nel 2018.
Cos’è la Dichiarazione di New York (2016)?
Si tratta di un documento che segna un passaggio importante in ambito internazionale ed un contributo al cambiamento del paradigma sulle migrazioni degli ultimi decenni e trova collegamento con l’Agenda 2030 sugli Obiettivi di Sviluppo. In essa si fa riferimento alla responsabilità di facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e alla mobilità delle persone anche attraverso politiche migratorie programmate e ben gestite. Si esortano gli stati a riconoscere l’apporto dei migranti e rifugiati per lo sviluppo sociale e la garanzia che il loro benessere sia un tassello fondamentale dei progetti di sviluppo.
La Dichiarazione di New York sancisce che i migranti irregolari e i rifugiati abbiano bisogno di tutela e assistenza, della necessità che non siano discriminati e marginalizzati e che siano sempre rispettati i loro diritti e dignità. Essa si pronuncia in favore della lotta contro lo sfruttamento, il razzismo, l’intolleranza e la xenofobia, il salvataggio delle persone in fuga e la garanzia di mettere in atto procedure di frontiera eque ed in linea con il diritto internazionale.
Punti di forza e debolezza della Dichiarazione di New York (2016)
Purtroppo la Dichiarazione è difficilmente applicabile poiché è molto complesso distinguere le diverse categorie di migranti tra i flussi misti come sono quelli attuali. Essi sono composti da una parte da profughi in senso stretto, ma anche da altri tipi di migranti che si possono definire forzati. Persone che fuggono da luoghi esenti di opportunità alla ricerca di lavoro o persone che hanno potenzialmente diritto a qualche forma di protezione internazionale, minori non accompagnati e separati dalle famiglie, vittime di traffico e tratta per fini di sfruttamento sessuale e lavorativo.
La Dichiarazione inoltre, non ha carattere vincolante. Infatti, molte ONG e la società civile l’hanno criticata perché non stipola azioni specifiche né soluzioni pratiche per i rifugiati da attuare fin da subito, dovendo aspettare due anni prima della definizione dei Global Compact. Tanto meno assume un impegno preciso per il reinsediamento in luoghi sicuri dei 24 milioni di profughi nel mondo, che per altro si trovano circa nel 86% dei casi, in paesi a basso reddito.
Ciò nonostante, la Dichiarazione ha messo in moto un processo molto ricco e di grande fermento per la considerevole partecipazione da parte di vari attori della vita sociale che in diversi incontri e riunioni stano definendo le proprie posizioni e proposte verso i Global Compact. Nei Patti Globali comunque, non si dovrebbero formulare nuovi impegni giuridici ma piuttosto garantire l’applicazione degli obblighi di diritto umanitario internazionale, di diritti umani, dei rifugiati e del lavoro che gli stati hanno già sottoscritto e che si trovano nelle Risoluzioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite e dell’ Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR). Si dovrebbe stabilire tuttavia, una cornice giuridica onnicomprensiva e una serie di principi concernenti le migrazioni – anche forzate – in tutti i loro aspetti.
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2. Esiste la volontà politica per fare un passo in avanti nel 2018?
Il cammino verso i Global Compacts (2018): le proposte della Chiesa e delle ONG
Nel processo avviato dalla Dichiarazione di New York, le ONG chiedono che la società civile sia maggiormente ascoltata e formulando già, proposte che vanno principalmente nella direzione di salvare vite umane, di proteggere in maniera adeguata tutti i flussi indipendentemente dal loro status giuridico e di ampliare i meccanismi per la regolarizzazione dei migranti. Mettono l’accento anche sulla necessità di rivedere le politiche migratorie per dare maggiori garanzie ai migranti e rifugiati di accesso al lavoro, all’inclusione, alla giustizia, all’educazione e alla protezione nei paesi di origine, transito, accoglienza e nelle frontiere con un’attenzione particolare per donne, bambini e popolazioni più esposte a rischi. Allo stesso tempo fanno pressione perché gli stati si impegnino a garantire il diritto di ritorno oppure quello di non ritorno.
La Chiesa di papa Francesco dal canto suo, ha stabilito un documento con 20 punti di azione e 20 punti di azione pastorali per i Patti Globali, denso di umanità e consapevole delle ingiustizie che ci sono dietro ai movimenti migratori, come ha evidenziato il pontefice in numerose occasioni. In questo documento il papa attraverso il Dicastero propone delle azioni concrete articolate attorno ai quattro verbi presenti nel Messaggio del giorno del migrante e rifugiato:
da una parte, richiama i diversi attori sociali a considerare, analizzare, completare e approfondire le proprie proposte concrete nel dialogo già avviato dalla Dichiarazione di New York. Da un’altra parte, chiede alle diverse Conferenze episcopali di scegliere i punti più rilevanti per la loro situazione nazionale per poi esporli ai rappresentati dei governi dei loro Paesi, responsabili dei negoziati dei Patti globali nel 2018.
Come procedono i negoziati sui Patti Globali?
I due Global Compact sono una grande occasione perché gli stati collaborino e cooperino tra di loro. Purtroppo i movimenti di popolazioni, specialmente quelli massici, destano resistenze in molte società per le numerose informazioni strumentalizzate e per la manipolazione di alcuni settori politici che spesso li usano come capro espiatorio per nascondere la loro incapacità a trovare soluzioni ai diversi problemi sociali.
Nell’arco del 2017 alcuni paesi, specialmente quelli del Sud del mondo, hanno partecipato a incontri a livello regionale producendo documenti e prese di posizioni da portare nei negoziati del 2018, dimostrando una volontà politica e di impegno verso una nuova proposta più equa e umana. Sfortunatamente non tutti gli stati hanno posizioni di apertura, infatti, non è un caso che il giorno prima dell’incontro preparatorio deciso dall’ONU a Puerto Vallarta in Messico il 6 dicembre, gli Stati Uniti d’America abbiano deciso di abbandonare il processo adducendo incongruenze con la loro politica migratoria. Anche se i Patti non avranno una natura coercitiva e obbligante per gli stati, è vero che essi manifestano l’opinione della maggioranza e sono l’inizio per la consolidazione del diritto internazionale e della cornice giuridica onnicomprensiva in materia migratoria. L’uscita dai Patti degli Stati Uniti – uno dei maggiori Paesi di immigrazione nel mondo – mette a rischio la garanzia dell’applicazione nel loro vasto territorio, degli impegni e obblighi sanciti dal diritto umanitario internazionale, dagli stessi diritti umani fondamentali, così come dai diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Questo comportamento evidenzia una visione ottusa che non riconosce nelle migrazioni un fenomeno globale e che richiede pertanto, una risposta a carattere multilaterale e non nazionale.
I Patti Globali e l’Europa
I paesi europei dimostrano da parte loro, confusione nelle loro posizioni e una totale assenza di lungimiranza; dalla firma della Dichiarazione di New York non hanno modificato il loro atteggiamento e sembrano non aver adottato nemmeno in parte alcune delle sue raccomandazioni. Infatti, sono sempre più frequenti atti d’intolleranza, di discriminazione verso i migranti e la costruzione di muri e varchi per fermare i flussi. Dopo la grande crisi dei rifugiati del 2015, i paesi dell’Unione che non hanno una vera politica migratoria comune, hanno stabilito in grande fretta nell’Agenda europea per le migrazioni, una politica sempre più restrittiva basata sul controllo delle frontiere esterne e sulla disincentivazione della migrazione irregolare attraverso meccanismi di rimpatrio e respingimenti, realizzati frequentemente senza rispettare gli standard internazionali sul diritto di asilo.
Ad oggi in Europa, la gestione delle migrazioni si basa sulla securitizzazione, e anche se sono stati definiti alcuni criteri per accogliere e per la distribuzione tra i paesi dell’Unione di alcuni profughi in arrivo, hanno di fatto detenuto migliaia di persone costringendole a vivere in condizioni inumane. Inoltre, l’Unione ha focalizzato i propri sforzi principalmente nel fermare i flussi in arrivo dai paesi confinanti anche attraverso accordi di cooperazione internazionale come quello tanto contestato con la Turchia nel 2016 e quello con la Libia nel 2017. Accordi che delegano l’obbligo di ospitare i profughi nei paesi più poveri con un costo enorme per le persone ospitate in termini di dignità. In particolare l’accordo con la Libia ha suscitato indignazione a livello mondiale perché protagonista dei più atroci e inaccettabili abusi e violazioni dei diritti fondamentali e inalienabili dei migranti, profughi e richiedenti asilo. Anche se in parte ha rallentato i flussi, ovviamente non ha risolto il problema del traffico e della tratta, né tanto meno quello delle cause degli esodi. Ci sono evidenze chiare che le reti di trafficanti si stiano riorganizzando per allestire nuove rotte in quelle aree ancora poco controllate.
Perseverare nella speranza
I due Global Compacts sono un’opportunità notevole per adottare finalmente un approccio ispirato sui diritti, ma essendo un negoziato tra gli stati su un tema tanto politicizzato e controverso, si ipotizza che i suoi risultati non saranno pari alle aspettative di chi si batte da anni per politiche più giuste. Sappiamo comunque che questo è solo il primo gradino di una scala in salita; l’auspicio è che si raggiungano almeno alcuni dei punti essenziali come quello dell’apertura di canali umanitari per migrare in modo regolare e sicuro, l’accesso ai migranti e profughi a un lavoro decente e la garanzia dell’applicazione delle misure di protezione, specialmente per le categorie più vulnerabili.