Decidere in emergenza. Un webinar
Dal dilemma etico agli strumenti decisionali | Introduzione
L’introduzione più opportuna a questo «Dialoghi» di Moralia è rappresentata dal paragrafo dedicato a «Tutela della persona e scelte di sanità pubblica» presente nel documento ATISM Etica per un tempo inedito. Un manifesto, dopo COVID-19:
«La drammatica problematica della gestione delle risorse sanitarie si è imposta in questi giorni con un’urgenza senza precedenti nella storia recente del paese. Abbiamo compreso l’esigenza di bilanciare una prospettiva di cura «patient-centered» e una «group-centered»; da un dibattito talvolta frenetico è emersa l’indicazione etica di offrire a ogni paziente il massimo potenziale di cura disponibile, valutando tutte le variabili contestuali, secondo il principio di proporzionalità. Al di là dell’emergenza, andranno poi verificate argomentazioni e indicazioni normative: hanno interpretato adeguatamente la ricerca del bene possibile per il singolo? Hanno integrato l’esigenza di giustizia sociale nell’accesso alle risorse di sanità pubblica? E come valutare la forte disparità di scelte tra sistemi organizzativi regionali?»
I contributi qui ospitati sono stati presentati al webinar organizzato dall’ATISM su «Decidere in emergenza: salute e giustizia tra bene personale e bene comune» dello scorso 11 luglio, che ha inteso avviare una riflessione sugli interrogativi proposti nel Manifesto ATISM (l’intero evento si può rivedere nella registrazione).
Ciascuno dei relatori ha messo a fuoco un elemento per l’avvio dell’auspicata revisione argomentativa in merito alle decisioni cliniche (Massimo Reichlin) e alla complessa questione della giustizia sociale nella gestione della sanità, considerando le differenti modalità organizzative e gestionali della fase acuta della pandemia sia in ambito italiano (Enrico Larghero), sia nel vicino contesto tedesco ed austriaco (Martin Lintner). Il contributo proposto da Salvino Leone, vice presidente ATISM e moderatore del webinar, che apre i contributi qui ospitati, rappresenta un utile repertorio per collocare questi (e altri) problemi emersi nel quadro dello sviluppo della bioetica.
Protagonista del webinar è stato anche il filosofo Leopoldo Sandonà, il cui contributo ha ripreso e ampliato un suo testo proposto in precedenza su Moralia, con un significativo auspicio per lo sviluppo nel nostro paese dei comitati etici per la pratica clinica, da affiancare a quelli istituiti per la valutazione dei protocolli sperimentali, assai significativi per attuare, anche in situazioni emergenziali, una metodologia di decisione attenta a considerare tutti i fattori in gioco. Ancora Sandonà ha sottolineato l’importanza di una «bioetica globale» per considerare (il caso della pandemia è di rilievo) l’ampiezza planetaria delle emergenze sanitarie.
La natura sintetica dei contributi qui pubblicati è rivelatrice di un dibattito, per certi versi già sedimentato e per altri ancora da fare, sulla base degli elementi introdotti, pur in modo sintetico, nei contributi qui proposti. Un dibattito da riprendere non solo come «caso di studio», applicando tutto il rigore argomentativo necessario, ma anche ponendosi in ascolto delle esperienze e delle riflessioni maturate nei giorni duri dell’emergenza tra il personale sanitario, i pazienti e i loro familiari. Ancora una volta quanto agito si salda su quanto patito.
Da questo incrocio può scaturire una corrispettiva attenzione a delineare strumenti decisionali e istituzioni (come nel caso dei comitati etici), deputati a sostenere e chiarificare gli interrogativi etici via via emergenti.
Ancora, nella prospettiva di una bioetica globale, non si potrà più concentrare la riflessione sul pure imprescindibile bilanciamento orizzontale tra libertà individuale di autodeterminazione del paziente e dovere del medico di assicurare (e decidere con lui/lei) il bene possibile oggetto delle scelte cliniche, secondo il principio di proporzionalità, senza dare ulteriore profondità all’analisi etica in ossequio al criterio della giustizia sociale nell’equo accesso alle risorse sanitarie.
Pier Davide Guenzi è presidente dell’ATISM e insegna Teologia morale ed Etica sociale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
Salute e giustizia tra bene personale e bene comune
Come studiosi di morale abbiamo ritenuto opportuno porre l’accento su un aspetto, forse poco attenzionato dai media più interessati a fornire quotidianamente i numeri della pandemia. Si tratta delle problematiche di ordine decisionale che hanno riguardato fondamentalmente due aspetti: quelli di ordine socio-politico e quelli clinico-assistenziali. Non entrando nel merito dei primi, vorremmo riflettere insieme sui secondi anche per le argomentazioni che verranno prodotte e che vanno molto al di là della contingenza pandemica.
È superfluo ribadirlo: la pandemia ci ha colti di sorpresa, nonostante la prevedibilità della stessa dopo l’esplosione avvenuta in Cina. A tal proposito ricordo che, quando sentivo le prime notizie arrivare da Wuhan con la conseguente prospettiva di chiudere trasporti, negozi, attività produttive, dicevo che era impossibile perché non si poteva chiudere una città! Mi sarei ricreduto dopo poche settimane.
Il dramma delle vittime e del personale sanitario
La riflessione che cerchiamo di portare avanti col contributo di autorevoli studiosi riguarda le criticità decisionali in situazioni emergenziali. Soprattutto all’inizio medici, infermieri e amministrativi si sono trovati in qualche modo a improvvisare: non si conosceva bene il virus (e non lo conosce in modo approfondito neanche adesso) non si conoscevano i farmaci appropriati (anzi era stato persino confuso il meccanismo patogenetico e quindi la conseguente terapia); non si stimavano adeguatamente le modalità di trasmissione (senza adeguati dispositivi di protezione che molte direzioni sanitarie ritenevano superflue).
Sono quindi cominciati ad arrivare i numeri del contagio, ma soprattutto si sono cominciati a contare i decessi. Con questi sono insorte anche le criticità. Di fronte all’esubero (almeno iniziale) di candidati alla rianimazione e all’esiguo numero di posti in terapia intensiva si sono moltiplicate le unità di questo tipo riconvertendo reparti di degenza, con la conseguente impossibilità di ricovero per pazienti che ne avrebbero avuto bisogno. Molti di questi non potevano (perché non vi erano posti), né volevano (perché avevano paura del contagio), andare in ospedale.
Si è posto quindi il problema dei criteri di accesso. Non tutti potevano essere ricoverati, così come in guerra o in un disastro naturale non tutti possono essere assistiti.
Quali criteri utilizzare quindi? Quale triage? La priorità di accesso non funzionava, perché vi erano richieste multiple contemporaneamente. Si è fatta strada, quindi, l’ipotesi classicamente definita «utilitarista» di scartare gli anziani o le persone affette da gravi patologie invalidanti.
Questa drammatica decisione gravava in primo luogo sui degenti stessi, che si vedevano in qualche modo esclusi da una possibile risorsa terapeutica; ovviamente sui loro familiari, che subivano come «ingiustizia» questa esclusione; infine sui medici, che erano coinvolti in prima persona nella scelta, dovendo decidere per il sì o per il no.
Sui medici è gravato il peso di una decisione difficile e certamente non «oggettiva», in cui il peso della soggettività era determinante. In molte strutture ci si è rivolti al supporto di un Comitato etico, che però non poteva mai sostituirsi alla coscienza del medico o di ogni altro decisore direttamente coinvolto, come ad esempio la direzione amministrativa.
Sono stati elaborati criteri orientativi, linee-guida, raccomandazioni. Sono intervenute società scientifiche e il Comitato nazionale di bioetica. Ma anche in questo non è stata raggiunta un’univocità di pareri. Purtroppo, come ebbe a dire il card. Pappalardo ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa citando Tito Livio, «dum Romae consulitur Saguntum expugnatur», mentre a Roma si delibera, Sagunto viene espugnata.
L’etica colpita dal «tempo reale»
Indubbiamente nel webinar che proponiamo vi sono riflessioni e argomentazioni varie che nulla tolgono o toglieranno alla drammaticità delle scelte cliniche. In ogni caso la famosa «coscienza illuminata», tanto cara a noi teologi morali, non è solo evento sincronico ma diacronico. Non si realizza solo in una scelta attuale, ma anche nello strutturarsi temporale di una formazione che diventa bagaglio permanente, una sorta di epigenetica morale, se così possiamo definirla.
Nelle riflessioni che seguono troveremo una sintesi degli interventi di vari e autorevoli relatori che illustreranno il documento del Comitato nazionale per la bioetica, quello della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI), l’esperienza di altri paesi nonché alcune riflessioni fondative sui rapporti tra bioetica e aspetti scientifici e le relative implicanze etico-sociali.
Ma, vorrei dire con una frase un po’ abusata, «non finisce qui». Presto l’etica sarà nuovamente interpellata di fronte alla possibilità di un vaccino (speriamo, anche se dubitiamo, prossimo). Vi saranno i problemi dell’iter sperimentale, che non seguirà i classici canoni etici previsti dal Consiglio internazionale sull’armonizzazione dei requisiti tecnici per i prodotti medicinali per uso umano (ICH) per la sperimentazione dei farmaci, ma soprattutto i problemi della sua obbligatorietà.
Sarà per noi un’ulteriore occasione di confronto e di dialogo che non dovrà trovarci impreparati. Come sappiamo i tempi dell’etica non sono gli stessi della scienza. A quest’ultima basta che la distrazione di uno scienziato dimentichi una coltivazione batterica alla finestra e l’indomani, trovandola coperta di muffa, scopra la penicillina. E nel giro di una notte tutto cambia ma, al tempo stesso, tutto si consuma presto e la penicillina viene superata da altri antibiotici di sintesi.
L’etica di Aristotele invece matura lentamente, in tempi lunghi, ma ancor oggi facciamo riferimento a essa. Forse questa pandemia ha mutato anche i tempi dell’etica. Il «tempo reale» ha colpito anche la sua identità disciplinare. Non si può aspettare troppo per dibattere e trovare le più opportune soluzioni. Anche questo forse costituirà un effetto a lungo termine del coronavirus.
Salvino Leone, medico, è presidente dell’Istituto di studi bioetici Salvatore Privitera di Palermo. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.
La sanità in tempo di pandemia
Panta rei, tutto scorre; oggi più che mai si conferma attuale l’antico aforisma di Eraclito. Il rapido e tumultuoso divenire della storia ha subìto negli ultimi tempi una drammatica accelerazione.
Il COVID-19 ha messo in ginocchio uno sviluppo che sembrava inarrestabile, una globalizzazione che gradualmente stava prendendo il controllo del mondo. La pandemia che stiamo vivendo e subendo impone una riflessione profonda sul senso della vita e della morte.
Il virus con la sua carica dirompente e devastante ha spazzato via le nostre certezze effimere su cui abbiamo fondato fino a ieri la nostra esistenza. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, non più padroni, ma fluttuanti fuscelli in balìa degli eventi. La tempesta smaschera i nostri ego – ha affermato papa Francesco durante la preghiera straordinaria del 27 marzo – fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio.
Il virus corre più veloce delle istituzioni nazionali e sovranazionali. Le misure messe in atto hanno richiesto degli inevitabili tempi tecnici che, in particolare all’inizio, hanno permesso al COVID-19 di diffondersi più rapidamente. Le risposte dei singoli stati nei confronti della pandemia si sono rivelate eterogenee, e ciò in base alle condizioni socio-sanitarie di partenza di ogni singola nazione.
Unanimemente si è comunque provveduto all’isolamento sociale (sollevando questioni di tipo giuridico in tema di libertà individuali), quale unica forma fattibile in grado di prevenire il contagio. Tale atteggiamento, proposto e imposto, si è rivelato purtroppo l’unico possibile, almeno in tempi brevi, per ridurre i danni e la diffusione. L’Italia nel suo insieme, pur tra molteplici difficoltà, ha dimostrato di essere una democrazia consolidata nel quadro mondiale. Le strategie adottate a difesa dei cittadini e delle fasce deboli quali gli anziani sono state apprezzate a livello internazionale.
L’impatto dei tagli al Sistema sanitario nazionale
In tale contesto i provvedimenti del Sistema sanitario nazionale inevitabilmente si sono rivelati essere quelli della nostra società nel suo insieme, per lo stretto collegamento con la politica e l’economia.
A una prima disamina qualche ombra è emersa. In primis, l’Italia negli ultimi vent’anni ha attuato una strategia di pesanti tagli, volti alla riduzione sia degli ospedali sia dei servizi. La pandemia ha messo allo scoperto questa progressiva carenza strutturale, particolarmente nelle cosiddette «aree critiche», dove i posti letto per abitante sono di gran lunga inferiori rispetto molti altri paesi europei.
Inoltre la carenza di strumenti diagnostici per individuare i soggetti positivi, così come la mancanza di presidi di sicurezza a tutela del personale, costituiscono sicuramente un altro aspetto che deve indurre a riflettere sulla necessità di «alleggerire» una burocrazia autocefala, troppo spesso non a favore dei malati.
Anche la medicina, intesa come disciplina, al momento ha perso la sua battaglia. Un vaccino sperimentale e di provata efficacia non esiste ancora, e insieme non vi è una cura ufficialmente riconosciuta, ma esistono soltanto protocolli, talora divergenti, con l’aggravante di farmaci off label, cioè usati non secondo le indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco.
La letteratura scientifica, ampia, almeno per il momento non appare dirimente, così come l’epidemiologia dei dati. Si è ingenerata una certa confusione sia tra l’opinione pubblica sia tra gli addetti ai lavori, in quanto non tutti i pazienti positivi sviluppano la patologia. Chi manifesta sintomi non necessariamente si aggrava e non tutti evolvono in insufficienza respiratoria.
Responsabilità etica globale
Questioni bioetiche, ampiamente dibattute e ancora aperte, richiedono una riflessione su quali possano essere ritenute in tali contesti cure ordinarie e straordinarie, proporzionate e sproporzionate, quali siano i criteri di inclusione ed esclusione, ad esempio, per le terapie intensive. Sono stati oggetto di accesi dibattiti alcuni documenti, nei quali si sono usati come parametri di valutazione, quadri pluripatologici, l’età avanzata, l’aspettativa di vita. Una risposta univoca non è ovviamente possibile, ogni caso deve essere esaminato in quanto tale, tuttavia di fronte a risorse non infinite, un’equa allocazione rimane un problema aperto di giustizia sociale.
Se le istituzioni e la medicina hanno mostrato alcune incertezze, la risposta degli operatori sanitari si è dimostrata coraggiosa ed encomiabile. Sia chi era in prima linea, sia chi si trovava nelle retrovie, nessuno si è tirato indietro in questa vera e propria guerra contro un nemico invisibile. Molti si sono ammalati, altri sono morti.
La pandemia, pure nella sua tragicità, ha fatto vibrare le corde più profonde della solidarietà, della fratellanza in un progetto di bene comune. Curare e prendersi cura sono confluiti in un’unica mission, ribadendo, nella molteplicità dei ruoli e delle competenze, la centralità della persona. Il messaggio morale che emerge è chiaro e riguarda, al tempo stesso, ciascuno di noi e il contesto nel quale viviamo.
Individualmente, dobbiamo riprogettare le esistenze attraverso narrazioni in grado di superare le criticità contingenti, la caducità e la precarietà della condizione umana. Collettivamente, la società potrà superare la crisi e superarsi attraverso un passo ulteriore, ovvero una responsabilità etica globale.
Il nuovo ordine mondiale richiederà tutto ciò: una tensione sinergica di ciascuno e di tutti per costruire un futuro migliore, che accetti il progresso, ma che non eluda il limite.
Il termine resilienza indica la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. In psicologia indica la capacità di far fronte e superare episodi o eventi traumatici, volgere al positivo le difficoltà. Eugène Delacroix, uno dei maggiori esponenti del romanticismo francese, scriveva che l’avversità restituisce agli uomini tutte le virtù che la prosperità toglie loro. Guidato dalla fede e dalla pazienza, il credente affronta la nebbia, fiducioso che man mano che questa si dissolve potrà contemplare con uno sguardo nuovo il viaggio compiuto e l’insegnamento ricevuto.
Guardare oltre la pandemia significa anche questo, ovvero prendere atto di ciò che è avvenuto, metabolizzarlo, non abbattersi, ma trarre insegnamenti, anzi dare slancio, nuovi impulsi e stimoli, rifondando positivamente le nostre vite. L’obiettivo è quello di un’umanità consapevole della sua finitudine, ma che si dischiude all’infinito.
Enrico Larghero è direttore scientifico del master in Bioetica nella Sezione parallela di Torino della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
Una lettura del parere del Comitato nazionale per la bioetica
La pandemia di COVID-19 ci ha posto di fronte a una questione spesso ipotizzata nelle discussioni teoriche, ma che difficilmente si riscontra in condizioni ordinarie: l’idea cioè che si debbano razionare le risorse mediche, decidendo chi deve essere curato e chi no. L’aspetto inquietante è l’idea di una decisione a priori, ossia che ci siano criteri stabiliti che escludono qualcuno dai trattamenti.
Pur essendo in prima battuta in contrasto con la vocazione universalistica del Servizio sanitario nazionale, quest’idea non è necessariamente da respingere, nei limiti in cui non si basi su criteri iniqui o discriminatori. Può invece rendersi necessaria, anche a fronte del riconoscimento dell’eguale dignità di tutte le persone e dell’eguale diritto di tutti a ricevere tutte le cure necessarie.
Il punto infatti è che se mancano risorse per curare tutti, qualcuno comunque non sarà curato; e che questo avvenga sulla base del caso non è più accettabile rispetto al verificarsi sulla base di un criterio.
Si tratta invece di vedere se esista un criterio sensato per operare queste scelte; ma bisogna riconoscere che, anche in condizioni ordinarie, un qualche razionamento già avviene, sia pure in maniera implicita. Infatti, se ad esempio per fare una risonanza magnetica col Sistema sanitario nazionale ci vogliono sei mesi, è chiaro che qualcuno non avrà diagnosi e cura in tempi utili e magari morirà, o patirà seri danni, molto prima di quanto non sarebbe successo altrimenti.
Il criterio clinico
Nel suo documento relativo al triage in emergenza pandemica, il Comitato nazionale per la bioetica ricostruisce opportunamente il quadro costituzionale in cui si colloca il diritto alla salute e sottolinea giustamente la necessità di un’attenzione alle persone più vulnerabili, come gli anziani.
La sua proposta è di considerare «il criterio clinico come il più adeguato punto di riferimento, ritenendo ogni altro criterio di selezione (…) eticamente inaccettabile».
Criterio clinico significa scegliere in base al bisogno medico e alla sua urgenza; un criterio indubbiamente condivisibile, che però tende a trascurare il vero problema. Non ha torto Maurizio Mori, quando nota che quest’ultimo consiste nel chiedersi che fare proprio quando l’indicazione clinica è uguale per tutti, tutti potrebbero beneficiare del trattamento, ma le risorse sono insufficienti. Il problema drammatico, rispetto al quale il Comitato non dà indicazioni chiare, è appunto che fare a parità d’indicazione terapeutica. Qui – una volta ammesso che sesso, etnia, condizione e ruolo sociale, disabilità e responsabilità personale non sono criteri accettabili – si tratta soprattutto di decidere se devono giocare un ruolo i risultati che ci si possono attendere utilizzando certe risorse.
Non possiamo qui discutere dei sistemi che sono stati proposti per quantificare i risultati degli interventi sanitari; tuttavia un qualche indice che consenta di quantificare i benefici prodotti con l’intervento sembra doversi accettare, se si vuole dare un’indicazione nei casi più difficili.
In prima battuta è giusto richiamare il diritto all’uguale trattamento per tutti e il divieto di qualunque discriminazione operata su basi non medico-scientifiche; tuttavia, in seconda battuta, può rendersi necessario attribuire una priorità di trattamento a chi è in grado di beneficiare maggiormente, sia perché ha maggiori probabilità di sopravvivere, sia perché ha maggiori probabilità di avere una buona qualità di vita residua grazie al trattamento, sia perché ha un’attesa di vita maggiore a seguito del trattamento. Tutti e tre questi elementi implicano un qualche riferimento, diretto o indiretto, all’età dei pazienti.
Senza esclusioni a priori
A questo riguardo si può discutere la proposta del documento della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI), di porre un limite a priori di età per l’ammissione in terapia intensiva. È dubbio, infatti, che tutti i soggetti al di sopra di una certa soglia non siano in grado di beneficiare del trattamento e debbano essere sfavoriti in tutte le comparazioni con soggetti più giovani. Nondimeno, dove una comparazione è necessaria, può essere ragionevole attribuire una priorità a chi, anche per ragioni anagrafiche, è in grado di beneficiarne maggiormente. Si può ad esempio applicare una sorta di tasso di sconto agli interessi sanitari dei vari soggetti in rapporto alla loro età, senza tuttavia escludere a priori le persone più anziane.
Qualcosa di non molto diverso, d’altronde, dice tra le righe lo stesso Comitato nazionale per la bioetica quando, parlando del criterio di appropriatezza clinica, scrive che «Ferma restando la priorità del trattamento secondo il grado di urgenza, altri fattori sono ordinariamente oggetto di valutazione: gravità del quadro clinico in atto, comorbilità, quadro di terminalità a breve ecc. L’età, a sua volta, è un parametro che viene preso in considerazione in ragione della correlazione con la valutazione clinica attuale e prognostica».
Mentre enfatizza il rifiuto di ogni esclusione a priori, il Comitato riconosce dunque l’opportunità di attribuire priorità in base all’efficacia attesa del trattamento; fa però rientrare anche questa valutazione nel concetto, obiettivamente più rassicurante, dell’appropriatezza clinica.
Purtroppo la crisi che abbiamo attraversato ci ha posto di fronte a questioni terribili e forse vale la pena di essere espliciti nell’identificarle; sperando che non si debbano riproporre in futuro, ma essendo pronti ad affrontare quest’evenienza.
Massimo Reichlin è professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Etica della vita ed Etica teorica.
Com’è stata affrontata la crisi pandemica in Austria e in Germania
In Austria e in Germania la crisi da COVID-19 a livello del sistema sanitario è stata meno grave che in Italia. Sono state registrate meno infezioni e in molti casi si è verificato un decorso meno grave.
Ha avuto un impatto positivo il fatto che, anche se negli ultimi anni in tutti e due i paesi si sono avviati programmi di razionalizzazione nel campo del sistema sanitario, i numeri dei posti letto in terapia intensiva non sono stati razionati. Nel gennaio 2020 in Germania c’erano a disposizione 33,9 posti letto di terapia intensiva ogni 100.000 abitanti, in Austria 28,9, mentre in Italia solo 8,42.
Anche al culmine della crisi, né in Germania né in Austria le capacità di terapia intensiva sono state esaurite totalmente. In tal modo i due paesi sono stati in grado di accogliere pazienti con COVID-19 sia dall’Italia sia dalla Francia.
Tuttavia, allarmati soprattutto dalla grave situazione in Italia, e specialmente in Lombardia – situazione che ha suscitato grande commozione e cordoglio in entrambi i paesi – Austria e Germania hanno preso misure stringenti per evitare situazioni di dilemma etico-medico in cui non si potessero poter trattare tutti i pazienti in modo adeguato. Contemporaneamente sono state elaborate linee guida per aiutare la decisione nell’eventualità di scarsità di risorse nell’ambito della crisi da COVID-19.
Le riflessioni che seguono, senza analizzare separatamente i singoli documenti, fanno riferimento ai documenti del Consiglio etico nazionale tedesco, della Commissione di bioetica della cancelleria federale austriaca, dell’Associazione interdisciplinare di medicina intensiva e di emergenza (Germania) e del Gruppo di lavoro etica della Società austriaca di anestesiologia, rianimazione e medicina intensiva.
Responsabilità clinica e responsabilità sociale
Quali sono state le linee guida della discussione? In primo luogo si è sottolineata l’urgenza di evitare casi estremi di situazioni decisionali dilemmatiche a fronte di scarsità di risorse in ambito sanitario, o almeno di minimizzare gli effetti negativi con due approcci: l’assunzione di responsabilità clinica e di responsabilità sociale.
A livello della responsabilità clinica sono state rafforzate e stabilite immediatamente le capacità del sistema sanitario, per esempio tramite l’introduzione di un sistema completo per la registrazione e l’utilizzo ottimizzato delle capacità di terapia intensiva e un migliore collegamento in rete degli attori del sistema sanitario e con altri settori rilevanti della società.
A livello sociale si sono prese delle misure politiche – con un forte appello alla solidarietà e alla responsabilità dei singoli cittadini – per mantenere la curva delle infezioni piatta in modo di non sovraccaricare il sistema sanitario. Allo stesso momento si sono mantenuti tutti i servizi sanitari necessari per i pazienti di altre malattie, rimandando solo casi di malattia meno gravi e meno urgenti. Di fronte agli ospedali si sono costruite delle tende per il triage, per poter separare effettivamente i pazienti di COVID-19 dagli altri pazienti.
Le raccomandazioni di procedere nel caso di emergenza di scarsità di capacità di terapie intensive (situazione che, come già accennato, non si è avverata in nessuno dei due paesi) seguivano il principio fondamentale di salvare la maggior parte delle vite umane, ovvero di agire in modo che vi fossero meno morti evitabili.
I principi di riferimento
I seguenti aspetti sono stati sottolineati:
- La base costituzionale deve essere rispettata: ogni vita umana gode della stessa protezione.
- Per salvaguardare il principio di giustizia, ogni decisione da prendere deve essere concentrata sulla situazione clinica del singolo paziente.
- Una decisione di triage non dice nulla sul valore della vita, ma sul valore di una terapia in riferimento alla situazione concreta di salute di un paziente.
- L’indicazione dell’obiettivo terapeutico dal punto di vista medico deve essere controllata regolarmente sia prima del ricovero in un reparto di terapia intensiva, sia nel corso di un trattamento di terapia intensiva.
- La volontà del paziente deve essere verificata già prima del ricovero in terapia intensiva: sia l’obiettivo terapeutico sia la valutazione del trattamento devono essere concordati con il paziente.
- Età, malattie pregresse e disabilità non sono criteri legittimi per le decisioni di triage. Questi aspetti devono essere considerati caso per caso in relazione alla loro rilevanza per le prospettive di efficacia della terapia, che in caso di decisioni dilemmatiche a causa della scarsità di risorse mediche sono decisivi.
- Le prospettive di successo di una terapia si devono basare sulla probabilità che il paziente sopravviva alla malattia attuale con l’aiuto di una terapia intensiva. La probabilità di sopravvivenza a lungo termine e la qualità della vita invece non hanno alcun ruolo.
Martin M. Lintner, membro dell’ordine dei Servi di Maria, è docente di etica teologica presso lo Studio filosofico-teologico accademico di Bressanone. In italiano ha pubblicato, fra l’altro: La riscoperta dell’eros, EDB, Bologna 2015; Cinquant’anni di Humanæ vitæ, Queriniana, Brescia 2018; ed Etica animale. Una prospettiva cristiana (BTC 201), Queriniana 2020.