Volo Germanwings: i perché che non troviamo, nonostante le neuroscienze
I media di tutto il mondo in questi giorni raccontano e interpretano i tragici fatti del volo 9525 di Germanwings, schiantatosi sulle montagne francesi mentre volava verso Düsseldorf, con 150 vittime. Sempre più prende corpo l’ipotesi del suicidio del copilota Andreas Lubitz.
Questa ipotesi sembra talmente assurda e irreale da lasciare basiti, fino a stentare a crederci. L’incredulità si genera dal non voler cedere all’idea che lo stato di sofferenza e prostrazione psichico di un uomo possa cancellare ogni evidenza del valore e della preziosità della propria e altrui vita, fino ad arrivare a tanto. Dietro a molti interventi dei giornalisti e nell’infinita scia di commenti che affollano i social network echeggia una sola grande domanda: “Perché? Com’è stato possibile?”.
In una società che conosce i funzionamenti dell’uomo e del suo cervello, mai come in precedenza rimane ancora un mistero l’annodarsi tra libertà, responsabilità, capacità umana di sognare e compiere gesta epiche e la fragilità che l’uomo rivela a se stesso.
Qualcuno cerca spiegazioni con passati studi sui suicidi aerei, con studi psichiatrici o con le neuroscienze.
Le risposte della scienza e della medicina sono univoche: neanche in una popolazione così selezionata come sono i piloti è possibile predire o escludere il rischio di suicidio.
L’ex presidente della Società italiana di psichiatria Claudio Mencacci, intervistato, dice di non essere sorpreso per l’ipotesi di un gesto estremo del copilota: in alcuni casi, commenta lo psichiatra, “si entra in una sorta di tunnel dove la morte è l’unico pensiero di fuga. […] Tutto il resto, compreso il senso di responsabilità per la vita degli altri, si annulla”. Lo psichiatra non si dichiara neppure sorpreso per la circostanza che ha condotto a una vera e propria strage, data la scelta dell’uomo di suicidarsi in volo con l’aereo carico: “Basti pensare a quanto accade nelle persone che decidono di morire lasciando aperto il rubinetto del gas: sanno bene – conclude – che un’esplosione potrà uccidere molte altre persone, ma questo pensiero è annullato dalla determinazione di morire per uscire dal tunnel nel quale si sentono”.
Da un punto di vista teologico-morale questo episodio ci mette di fronte a quella consapevolezza biblica che anima la nostra autocoscienza umana e credente: l’uomo, creatura tanto amata dal suo Creatore, è carne e spirito, fragilità e grandezza, fattualità e trascendenza. Dio si ricorda di lui e se ne prende cura, però la grandezza di cui Dio lo fa capace è impastata in una fragilità enorme.
Tutto questo non spiega il perché, non cancella la sofferenza, ma pone la storia di cui siamo testimoni nella prospettiva di poter essere trasfigurata, per Grazia, divenendo, comunque, storia di salvezza.