Violenza sulle donne: la cronaca, i dati, l’etica
Loredana (41 anni), Sara (18 anni), Virginia (44 anni) e altre due donne di cui non si sa il nome, rispettivamente di 47 e di 30 anni, sono le ultime cinque vittime di femminicidio. Cinque in soli nove giorni. Una mattanza perpetrata in due casi dal marito, negli altri dall’ex marito, dal compagno e (con ogni probabilità) dall’ex partner! Come se non bastasse, due degli assassini si sono tolti a loro volta la vita. Ma le vittime certe di questi terribili episodi sono almeno altre due, e cioè due figlie giovanissime – una di soli 8 anni! – ferite a morte nella psiche e nell’anima, per sempre. Perché? Si trovavano a casa nel momento dell’orrore. Tutto qui.
Quasi per una sorta di inquietante coincidenza, solo una settimana fa, il 5 giugno scorso, l’Istat ha pubblicato i risultati dell’ultima ricerca sulla sicurezza delle donne. Il quadro tracciato tenendo conto anche del sommerso è sconcertante: in Italia, le donne che hanno subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale sono 6 milioni 788 mila (!), il 31,5% della popolazione femminile tra i 16 e i 70 anni. A questo e a molti altri dati, tuttavia, ne aggiungerei almeno altri due: le donne che hanno subìto violenze sessuali prima dei 16 anni sono il 10,6%; le vittime di stalking 3 milioni 466 mila.
Ancora: è vero che negli ultimi cinque anni le violenze fisiche o sessuali sono diminuite del 2%, a testimonianza del fatto che molte donne hanno imparato a prevenire e a contrastare la violenza. Ciononostante, «lo zoccolo duro della violenza» tende persino ad aumentare: il numero degli stupri e dei tentati stupri è rimasto invariato, mentre il rischio di subirli raddoppia nel caso di donne affette da malattia o da disabilità (sic!); al contempo, è cresciuta sia la percentuale di donne che temono di perdere la vita (+15,7%) sia quella dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre (+0,9%).
Sin qui la cronaca e i dati. In prospettiva etica, invece, direi così: se a capo di gesti e di rituali dal sempre più elevato tasso di crudeltà e di disprezzo delle donne – malate e disabili comprese, ripetiamolo – troviamo sempre degli uomini, bisogna avere il coraggio di dire e di ammettere ciò su cui troppo spesso si continua a tacere, e cioè che il problema è essenzialmente nostro, di noi uomini. Ed esige quel serissimo lavoro di carattere soprattutto “culturale” che francamente si stenta a vedere. Guardando in “casa nostra”, persino il documento finale del recente Sinodo sulla famiglia, apprezzabile sotto molti punti di vista, si mostra troppo debole sul versante della violenza contro le donne, limitandosi a ricordare che «non vanno dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie» (n. 8).
L’ampiezza, la pervasività, la gravità del fenomeno invocano ben altro investimento di energie culturali e pedagogiche a tutti i livelli, almeno alla pari di quanto si sta dicendo, scrivendo e facendo in tema di gender. D’accordo: lì, il nemico, vero o presunto che sia, è più chiaramente circoscrivibile e oggettivabile nelle idee e nelle pratiche degli “altri”. Qui, sul terreno della cultura androcentrica e maschilista, siamo tirati tutti in ballo. E questo, senz’altro, spaventa.