Unioni civili, uno sguardo etico- teologico
Dall’11
maggio 2016 anche l’Italia come ultimo paese dell’Europa occidentale ha
deliberato una legge in materia di unioni civili per coppie sia etero- che
omosessuali. Una valutazione
etico-teologica delle unioni civili deve attuare una distinzione tra
legislazione civile, giudizio morale ed accompagnamento pastorale.
Il dovere di dare una legge
Il legislatore ha risposto con questa legge ad un dato di fatto, vale a dire l’aumento negli ultimi decenni delle coppie conviventi che non scelgono di compiere il passo definitivo del matrimonio civile e/o religioso. Se questo sviluppo appare da un lato deplorevole, dall’altro è necessario anche prenderne atto e trovare una regolamentazione a livello giuridico.
Il legislatore ha il dovere di dare un profilo giuridico alle formazioni sociali – anche quelle specifiche e particolari – basandosi sulla Costituzione e tutelando i diritti umani fondamentali, come p.es. quello al rispetto della «vita privata e familiare» di cui parla l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La CEDU (Corte europea per i diritti umani) nel luglio scorso ha condannato l’Italia proprio perché nella mancanza del riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso ha riconosciuto una violazione dell’articolo sopraccitato.
L’attuale legge risponde anche a questo giudizio della CEDU. Vede incluse non solo le convivenze omo-, ma anche quelle eterosessuali. Vengono regolati diritti e doveri come cognome, eredità, reversibilità della pensione, assistenza carceraria e ospedaliera, adozione.
Senza entrare in merito circa le differenze della regolamentazione giuridica riguardo alle coppie omo- ed eterosessuali, bisogna constatare che per le prime sono previste «unioni civili», che includono p.es. la reversibilità della pensione ma non l’adozione del figlio del partner, mentre le seconde sono riconosciute come «convivenze civili», con minori diritti e obblighi reciproci (p.es. nel campo dell’eredità), includendo però il diritto di adozione. In tutte e due le forme non è comunque previsto l’obbligo di fedeltà.
Una richiesta di non-discriminazione
Il riconoscimento dei diritti civili fa parte della richiesta di non-discriminazione: esso non rispecchia semplicemente il fatto che ormai la maggioranza degli italiani accetta le forme di convivenza non matrimoniali, ma anche la sensibilità crescente nei confronti di persone che in passato sono state spesso discriminate perché non contraevano matrimonio.
Riguardo alle persone omosessuali la Chiesa stessa ha ribadito ripetutamente che non devono essere soggette a discriminazioni: «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza» (Amoris laetitia 250).
In quest’ottica la legge attuale non è una sconfitta, ma piuttosto espressione di rispetto dei diritti civili individuali e del fatto che anche persone omosessuali hanno il desiderio e la ferma volontà di stabilire relazioni stabili e durature e di assumersi responsabilità e i rispettivi doveri nei confronti sia del partner sia della comunità civile.
Interrogativi etico-teologici
A livello teologico-etico si pongono certamente domande serie, come p.es. quella della relazione tra unioni e convivenze civili da un lato e la famiglia dall’altro. Bisogna chiedersi, in particolare, se il riconoscimento delle unioni e convivenze civili significhi un indebolimento del concetto di famiglia inteso dalla Costituzione italiana (art. 29–31), cioè della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, aperto alla procreazione e all’educazione dei figli.
Prima di tutto è doveroso constatare che, secondo la legge appena deliberata, i diritti e i doveri per le unioni e convivenze civili non sono uguali a quelli matrimoniali e che cioè non è avvenuta un’equiparazione al matrimonio. Viene tutelata la differenza fondamentale tra matrimonio e unioni e convivenze civili, anche se un certo avvicinamento in particolare delle unioni civili di coppie omosessuali al matrimonio non si può negare.
Pur non parlando di matrimonio, le unioni civili (dove tuttavia non vige l’obbligo di fedeltà) in molti ambiti sono regolamentate in modo analogo al matrimonio. Ribadendo con Amoris laetitia 251, che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia», il compito della Chiesa ora non dovrà essere quello di mettere in discussione la legge deliberata. Si tratterà piuttosto di rinforzare il matrimonio e la famiglia attraverso una politica familiare molto più attenta ai particolari bisogni di essi, come giustamente mons. Nunzio Galantino, il segretario della CEI, ha sottolineato in una sua prima reazione.
Per quel che riguarda una valutazione teologico-etica delle unioni e convivenze civili si deve riconoscere che esse non corrispondono all’insegnamento ecclesiale sul matrimonio. Tuttavia bisogna riconoscere ugualmente che anche in queste forme di unione e di convivenza le persone si possono impegnare a vivere e testimoniare valori cristiani come la fedeltà, la dedizione generosa e l’impegno cristiano.
In modo particolare per le convivenze eterosessuali si devono analizzare con attenzione i motivi ovvero gli ostacoli all’origine della decisione di non sposarsi. L’esortazione postsinodale Amoris laetitia offre un’ampia riflessione su questo aspetto (cf. p.es. nr. 131–132). Bisogna inoltre considerare «la situazione particolare di un matrimonio solo civile o, fatte salve le differenze, persino di una semplice convivenza in cui, “quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”» (Amoris laetitia 293).
Uno stile di discernimento
La stessa logica dello sguardo che apprezza i valori vissuti concretamente e che cerca di accompagnare una coppia verso una sempre maggiore umanizzazione del suo amore e della sua relazione personale in modo analogo vale anche per le unioni civili omosessuali.
Papa Francesco in Amoris laetitia sviluppa il metodo del discernimento personale e pastorale, dell’accompagnamento spirituale e pastorale e dell’integrazione. Ribadisce infatti che «si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» (Amoris laetitia 297; sottolineatura mia).
Anche se le unioni civili omosessuali non vengono nominate, indirettamente sono incluse, perché il papa si riferisce «a tutti, in qualunque situazione si trovino». Perciò mi sembra legittimo collegare queste persone anche al seguente compito pastorale: «[C] compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro sempre possibile con la forza dello Spirito Santo» (ibid.).
La legge sulle unioni e convivenze civili può essere letta nell’ottica del superamento di varie discriminazioni e della tutela dei diritti individuali civili. Tuttavia per la Chiesa rappresenta una grande sfida su come accompagnare queste persone, soprattutto quelle che coltivano il desiderio sincero di impegnarsi come cristiani e di confrontarsi seriamente con la dottrina ecclesiale.
Infine – anche indipendentemente dalla nuova legge – rimane il compito importante della Chiesa di ribadire e difendere i diritti e i bisogni particolari delle famiglie, costitute dai coniugi e dai loro figli.