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Moralia Blog

Un’idea di Europa e il francescanesimo

Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno.

In occasione dei 60 anni della firma dei Trattati di Roma, istitutivi della Comunità economica europea e della Comunità europea dell’energia atomica, papa Francesco, nel rivolgersi ai capi di stato e di governo, pone una domanda ben precisa: «Qual è allora l’ermeneutica, la chiave interpretativa con la quale possiamo leggere le difficoltà del presente e trovare risposte per il futuro?». E’ una domanda che, da quando fu rivolta (il 24 marzo 2017), interpella tutti noi.

E chissà che non possa rintracciarsi proprio nel francescanesimo – d’altronde la suggestione arriva da un pontefice che ha scelto il nome di Francesco - una chiave interpretativa per comprendere le difficoltà e le attese del Vecchio Continente? Non si dimentichi che la crisi vissuta oggi dall’Europa è anche, e soprattutto, una crisi di identità valoriale che si compone, poi, a livello istituzionale. Non a caso papa Francesco chiede di ripartire dai seguenti valori: «la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro». Valori e idee che si ritrovano nel nuovo stile di stare nel mondo e nella Chiesa proposto da Francesco d’Assisi.

L’alternatività all’impero

Come sottolinea il teologo Hans Kung nel suo libro Cristianesimo. Essenza e storia (2015), Francesco d’Assisi nella Chiesa rappresenta l’alternativa all’impero. Rinuncia, infatti, al “mondo”, alla famiglia, alla ricchezza e alla carriera spinto dall’appello che gli era stato rivolto dal Crocifisso (1206): la «riedificazione della Chiesa decaduta». E’ da qui che, per il giovane figlio di un mercante di tessuti di Assisi, inizia la sequela di Cristo nella povertà e nella predicazione itinerante. Tre i punti principali del nuovo ideale francescano: la povertà, l’umiltà e la semplicità.

Nel 1209 con undici frati minori Francesco si reca a Roma, in udienza da Innocenzo III, per ottenere l’approvazione ecclesiastica di questa forma di vita comunitaria, le cui principali caratteristiche sono: vita apostolica, predicazione della penitenza, povertà individuale e collettiva radicale, obbedienza reciproca, lavoro manuale ed elemosina per guadagnarsi il necessario per il sostentamento. Il messaggio evangelico è ora vissuto non in correlatione cum Christo ma in imitazione Christi.

Davanti ad Innocenzo Francesco è l’alternativa a un mondo secolare e a una Chiesa ormai corrotti da quel potere che si fa ingiustizia, sopraffazione, prevaricazione, prepotenza e – anche – violenza. Quando, invece, la dimensione francescana del potere è lo stilema evangelico del servizio. Sine glossa, per davvero. Tant’è vero che nella Regola non bollata del 1221 si legge: «E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori. E l’uno lavi i piedi all’altro» (FF, 23).

Quell’Europa nata pellegrinando…

Vogliamo accennare ad una seconda ragione – una ragione geo-politica – per la quale il francescanesimo rappresenta una chiave ermeneutica fondamentale nella narrativa europea: è il carattere della mendicità e, quindi, della pellegrinazione. Papa Wojtyla nell’Atto europeistico del 1982 a Santiago de Compostela riprende il pensiero di Goethe, che affermava: «l’Europa è nata pellegrinando e la sua lingua è il cristianesimo».

La categoria del pellegrino diventa, qui, fondamentale nella comprensione della coscienza collettiva dell’essere Europa. I francescani introducono un nuovo rapporto con la società: se la tradizione monastica andava dal mondo verso il chiostro, i francescani invertono questo movimento e vanno dal chiostro verso il mondo.

«…discernere le strade della speranza»

La nostra proposta, insomma, è quella di guardare al francescanesimo come ad un’importante chiave ermeneutica per la comprensione del presente e del futuro dell’Europa. Il pensiero francescano, da questo punto di vista, può davvero rappresentare l’alternativa all’Europa della tecnocrazia, nella realizzazione di un’unione sovranazionale più solidale e fraterna, senza esclusi e accogliente per le future generazioni.

Ciò ovviamente chiama in causa l’etica dei nostri governanti e del loro rapporto con la gestione del potere politico. Sembra che per papa Francesco il buon governante sia colui che sa – come egli stesso afferma - «discernere le strade della speranza». In questa affermazione, Bergoglio introduce un principio fondamentale, per l’avvio di una rinnovata riflessione sull’etica pubblica dei soggetti che detengono il potere. Cioè: il discernimento gesuitico, centrale negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, è il metodo per praticare la speranza francescana.

Tale principio deve orientare coloro i quali si mettono a servizio della cosa pubblica. D’altro canto, si tratta dello stesso ideale che ha animato i Padri fondatori europei: Robert Schuman, Konrad Adenaur e Alcide De Gasperi. Da Schuman, in particolare, arriva anche la testimonianza di una scelta di celibato per la politica, convinto com’era che «per essere in grado di compiere il proprio compito … l’uomo politico non debba caricarsi della responsabilità di accudire una famiglia». E – sia chiaro - non si discute, in questo caso, sulla scelta stessa del celibato, ma piuttosto sulle motivazioni che l’hanno orientata.

Ecco: l’Europa di oggi ha bisogno di questa politica. Una politica che sappia, nel discernimento, osare quella speranza vissuta da Francesco d’Assisi. E fare, di questa speranza, un modello di alternatività.

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