Un'etica della memoria, contro la violenza
Ogni riflessione etica è figlia del suo tempo. Se ci lasciassimo pervadere dall’oblio correremmo il rischio di dimenticare ogni dramma, realizzando una fuga da noi stessi e lasciando prevalere l’indifferenza verso ciò che è per noi costitutivo.
L’uomo in realtà comprende qualcosa di sé quando si fa compagno del suo simile nella storia, soprattutto se segnata dalla sofferenza. La possibilità di ripetersi significa che l’interiorità dell’uomo, ovvero la sua coscienza, se non pone un vaglio critico che richiami il passato, soprattutto quando negativo, può essere di nuovo sedotta e oscurata.
La memoria viva della storia costituisce un patrimonio culturale, etico e morale da difendere e valorizzare perché manifesta un tratto essenziale dell’essere umano. Il ricordarsi conduce la coscienza di ogni persona, e della comunità umana, a essere consapevole che il presente e il futuro non possono essere vissuti senza interpellare il passato.
Né dimenticanza, né nostalgia
Tuttavia sarebbe errato considerare il contributo della memoria come un’imposizione che frena, se non addirittura impedisce, la realizzazione del nuovo. Recuperare il passato significa assumere criteri valutativi per poter orientare positivamente l’impegno della libertà.
La coscienza è orientata al futuro e ciò che sarà domani non può proclamare l’estinzione della memoria storica per dar corpo a un avvenire denso di un ottimismo privo di radici. L’atteggiamento estintivo della memoria non agevola il viaggio verso il futuro, anzi diventa elemento di instabilità perché ha il potere di scagliare l’uomo in stati di totale disorientamento. Una fuga nel futuro dimentica del passato dove può portare? Disprezzo della memoria e nostalgie seducenti sono, in questa circostanza, atteggiamenti fortemente affini.
La memoria della storia si dimostra il presupposto fondamentale per procedere verso una maggior pienezza di esistenza significativa, la quale non può essere consapevolmente avviata contro o senza la considerazione del già vissuto.
Occasioni di rinascita
Quanto detto implica il dovere di ac-cogliere, in un ricordo veritativo, curato e custodito, il significato sostanziale del passato, individuale e dell’umanità, affinché possa rimanere dischiusa la scelta di un orizzonte assoluto dell’esistenza e sia così possibile l’integrazione di nuovi progetti creativi e non distruttivi. Questo profilo considera quindi contraddittori sia l’atteggiamento di rimozione del passato, il non voler ricordare, sia quello di restaurazione quale riproduzione tel quel del passato stesso.
L’annuncio della memoria della storia è proteiforme: non solo orienta ma trasforma il tempo, mostrando la distanza critica che esiste verso ogni progettualità totalizzante e irreversibile che sgancia l’uomo dall’avventura quotidiana. L’uomo è soggetto nella storia; rimarrà sempre segnato dalla caducità, dalla sofferenza, dalla colpa, dall’insuccesso.
In alcuni periodi, addirittura, saranno presenti solitudine, individualismo, disimpegno, non partecipazione e astensione; contemporaneamente però la memoria della storia continuerà a tramandargli esiti e speranze i quali, testimoniando occasioni di rinascita e di redenzione, tenderanno a rimuovere gli ostacoli che, in ogni inizio verso un’esistenza migliore, si manifesteranno sotto forma di fantasmi remoti.
Memoria, solidarietà, fraternità
Se l’uomo smarrisce la memoria si sente minacciato (J. B. Metz, Memoria passionis, 2009). Quando constatiamo, purtroppo ancora, il ripetersi di atrocità del passato è segno che abbiamo perduto la memoria delle sofferenze che i nostri predecessori hanno subito. Che cosa dobbiamo necessariamente trovare o ritrovare?
Nel nostro tempo di pluralistica globalizzazione, per costruire una pacifica convivenza – come ha ricordato anche Francesco nel messaggio per la celebrazione della 53a giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2020 – dobbiamo condurre un «cammino di ascolto basato sulla memoria, sulla solidarietà e sulla fraternità».
Per costruire una convivenza civile tra soggetti diversi, i quali sappiano dire di no a ogni forma di violenza, dobbiamo ritrovare un’etica della memoria basata su un’antropologia inclusiva e includente. Ogni individuo non può essere ricondotto a un uomo astratto, neutro e per di più generico. Siamo portatori di storie, di memorie e di identità diverse; dimenticare questa anamnesi, in ultima analisi, è dimenticare l’uomo stesso.
Giovanni Angelo Lodigiani è docente di Etica teologica all’Istituto superiore di scienze religiose S. Agostino (Crema, Cremona, Lodi, Pavia, Vigevano) e di Giustizia riparativa e mediazione penale all’Università degli studi dell’Insubria Como, Varese.