Tutto subito. I frutti acerbi della gratificazione digitale
Continua la Quaresima, e ci dà l’occasione di riflettere sulla rapidità digitale e una delle sue conseguenze, che tanto influenza l’antropologia contemporanea: la gratificazione immediata.
Non esiste desiderio che non sia oggi a portata di clic o informazione che in poche frazioni di secondo non giunga sui nostri schermi. Il presente digitale ha anche, apparentemente, eliminato le «sudate carte» di un tempo, non solo perché ha eliminato la carta, ma anche perché sembra aver eliminato il sudore, la fatica.
Oggi apprendere, anche la complessità, sembra a portata di tutorial di facile accesso e ancora più facile fruibilità.
La velocità non è un bene assoluto
Tutto questo che cosa determina nelle nostre vite? Maggiore accessibilità, ma minore accuratezza e latente mediocrità; veloce fruibilità, ma minore capacità di analisi e di sintesi; enormi possibilità potenziali, ma minore pazienza e capacità di attesa.
A ciò dobbiamo aggiungere che ciò che ci aspettiamo dalle macchine e dai sistemi, sempre di più lo riversiamo sulle persone, su noi stessi e sugli altri. Dobbiamo essere veloci, accurati, precisi e gratuiti. Ma questo non è possibile; ed è bene, perché la velocità non è un bene assoluto.
La velocità di un sistema computazionale, e la sua fruibilità a costi sempre più risibili, stanno cancellando la nostra capacità di stare nella realtà con i tempi necessari affinché la realtà stessa venga a maturazione. Viviamo di frutti acerbi, replicando lo schema del peccato originale. Sono piemontese, e la mia terra mi ha insegnato che il buon vino ha bisogno di tutto il tempo necessario, ed è tanto, tanto quanto la bontà che si va cercando. Tempo, dedizione, impegno, attese, fallimenti.
La questione di fondo su cui si gioca educativamente tutta la questione è in buona parte la gratificazione. Essa va a braccetto dalla notte dei tempi con la velocità e, come aveva intuito Freud, ci porta velocemente – se non ben governata – alla morte psichica.
Educati a essere nuovamente liberi
La rivoluzione digitale ci impone di ritornare a parlare di questo argomento ed educare le nuove generazioni e noi stessi a essere davvero liberi, liberandoci dall’istinto del subito, digitalmente rivestito di buono e di bello perché legato all’efficienza e all’efficacia.
È necessario rompere l’inganno e la catena che lega attrazione, azione e abitudine che diventa vizio e dipendenza, ma occorre fare leva non solamente sulla volontà, che diventa facile preda dell’orgoglio o più frequentemente del fallimento.
La teologia dei tre giorni ci educa all’attesa della risurrezione, il sabato santo a rendere il silenzio non uno spazio vuoto, ma uno spazio in cui prendendo coscienza del vuoto ci si apre all’evento che restituisce senso a tutto. Non si tratta dunque di rifiutare, ma di assumere un percorso ascetico che ci faccia prendere coscienza della nostra fame, del nostro bisogno di identità e riconoscimento, del nostro desiderio di guardare ed essere guardati per poi discernere nella libertà cosa tutto questo significhi per noi.
Come la Quaresima ha significato in vista della Pasqua, così nell’affrontare la rapidità digitale diventa centrale porre la domanda sul termine finale: rapidi per cosa, rapidi per chi, rapidi perché? La rapidità, alla fine, a chi giova? Per quale ragione mi dovrebbe giovare?
Riflettere sulle ragioni, non dando per scontato che esse ci siano e siano buone, è il primo passo di un cammino ascetico che ci permette di recuperare i tempi di Dio nei tempi digitali, toccare il tutto nel frammento e proprio perché tutto, goderselo sino in fondo.
Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, autore di Per una pastorale universitaria (2016), Elogio della generosità (2018) e Incarnazione digitale (2019).