To cure or to care? That is the question!
Sono davanti agli occhi di tutti le impressionanti immagini di quanto accaduto all’ospedale di Nola tra il 7 e l’8 gennaio scorso. Pazienti stesi a terra e curati sul pavimento per mancanza di posti letto. In due giorni si sono presentati al pronto soccorso del nosocomio nolano circa 265 persone, un centinaio in più rispetto alla media.
Sono davanti agli occhi di tutti le impressionanti immagini di quanto accaduto all’ospedale di Nola tra il 7 e l’8 gennaio scorso. Pazienti stesi a terra e curati sul pavimento per mancanza di posti letto. In due giorni si sono presentati al pronto soccorso del nosocomio nolano circa 265 persone, un centinaio in più rispetto alla media.
Tra queste sono rimbalzate sui media le foto di due donne stese sul pavimento mentre un operatore del 118, inginocchiato, cercava di prestare soccorso a una delle due, in arresto cardiocircolatorio. Le fotografie imbarazzanti hanno costretto il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, a disporre un’ispezione dei NAS e hanno scatenato le ire del governatore De Luca che ha minacciato il licenziamento dei responsabili del pronto soccorso e del direttore sanitario.
Quest’ultimo, in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «Quelle foto non sono belle da vedere, lo so. Ma cosa dovevamo fare? Abbiamo preferito curare in quel modo le due donne che tutti hanno visto piuttosto che non dare loro assistenza». Ulteriore sdegno hanno suscitato alcuni servizi dei telegiornali nazionali nei quali venivano mostrati dal personale medico interi reparti, con letti e attrezzature di nuova generazione, impossibili da utilizzare per la mancanza delle autorizzazioni necessarie.
Un sistema sanitario nazionale al tracollo…
Al di là delle giuste polemiche, il caso dell’ospedale di Nola ci richiama a valutare due questioni in stretta connessione tra loro: l’allocazione delle risorse sanitarie e la priorità del to care sul to cure.
In Italia, a seguito della legge n. 833 del 1978 con la quale veniva istituito il Servizio sanitario nazionale, basato su una visione solidaristica delle prestazioni sanitarie, si sono susseguite una serie di riforme della sanità pubblica che hanno condotto dapprima a una riorganizzazione in senso aziendalistico (DL 517/93) per poi procedere, con la riforma del titolo V della costituzione nel 2001, all’attribuzione alle regioni di tutte le funzioni organizzative e di programmazione del servizio sanitario.
Il risultato, come dimostrano i fatti di Nola, ha causato una profonda frammentazione e una sconcertante disomogeneità dei servizi a seconda della ricchezza o della povertà delle singole regioni. Risulterebbe, quindi, quanto mai urgente ristabilire un sistema di equità in base al quale lo Stato possa intervenire distribuendo le risorse fondamentali a garantire a chiunque la possibilità di accedere a ogni tipo di cura, senza dover necessariamente rivolgersi a ospedali privati o a quelli delle regioni più sviluppate.
Etica e medicina, non solo questione di “cura”
In secondo luogo e in conseguenza di quanto scritto finora, diventa sempre più chiara l’esigenza di una svolta nell’etica medica. L’output della professione medica non potrà essere solo quello di individuare le terapie giuste (to cure), ma di creare le condizioni per il benessere globale di ogni individuo, da qualunque patologia egli sia affetto (to care).
È vero! Le due donne sono state “guarite”, ma di certo non sono state “curate”. Auspichiamo che quanto accaduto a Nola possa servire a favorire una riappropriazione sociale del sistema sanitario e a una sua conversione da azienda delle cure a tempio della cura.