Suicidio assistito: dal referendum bocciato alla legge in esame
Com’è ormai noto, la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità del referendum sul suicidio assistito. Prima di valutare sul piano etico tale decisione vorrei fare due premesse di carattere metodologico. In altre parole, prima di entrare nel merito vorrei parlare del metodo.
L’istituto del referendum
Innanzitutto provo sempre un certo disagio di fronte all’istituto del referendum, non tanto per la sua legittimità – che è fuori discussione –, né per la sua necessità – che in alcuni (a mio avviso limitatissimi) casi è indubbia –, ma per una modalità di ricorso a esso che di fatto sfiducia e sorpassa la rappresentatività parlamentare, il perno del sistema di gestione democratica dello stato.
Interpellare direttamente i cittadini per svariati e parziali quesiti significa di fatto invalidare l’azione dei parlamentari. In futuro, poi, diminuendo il loro numero e quindi la diversificazione della base elettorale, questo istituto di democrazia diretta potrebbe diventare più frequente, e per ciò stesso abusato.
In secondo luogo, al di là della chiarificazione mediatica che se ne sarebbe fatta se fosse stato approvato, mi chiedo cosa ne capisca l’uomo comune, il cittadino medio nella cui categoria anch’io mi includo, di un quesito così posto:«Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) approvato con R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da 6 a 15 anni”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole “Si applicano”?», senza conoscere il testo integrale dell’articolo.
Questo recita:
«Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’art. 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso: 1. Contro una persona minore degli anni 18; 2. Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3. Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2]».
Le motivazioni della Corte
Il 2 marzo è stata pubblicata la Sentenza 50/2022 della Corte costituzionale che motiva l’inammissibilità del quesito referendario. Nella motivazione viene spiegato che il quesito referendario – mediante l’abrogazione di frammenti lessicali dell’art. 579 CP e la conseguente saldatura dei brani linguistici rimanenti – avrebbe reso penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di «consenso invalido» previsti dal terzo comma dello stesso art. 579, quindi ben oltre i casi nei quali la fine della vita è voluta dal consenziente prigioniero del suo corpo a causa di malattia irreversibile, di dolori e di condizioni psicofisiche non più tollerabili.
Una normativa come quella dell’art. 579 CP quindi secondo la Corte costituzionale può essere modificata e sostituita dal legislatore, ma non puramente e semplicemente abrogata con un referendum, senza che ne risulti compromesso il livello minimo di tutela della vita umana richiesto dalla Costituzione.
Si tratta di un’affermazione importante della quale non si potrà non tener conto di fronte alla discussione parlamentare relativa alla legge sul suicidio assistito.
In realtà era stata proprio la Corte costituzionale a sollecitare il dibattito nel 2019 a proposito della morte di DJ Fabo, affermando che, fatte salve alcune condizioni, non è punibile l’assistenza al suicidio, cioè la volontà di una persona che permette a un’altra di suicidarsi.
Tali condizioni sono:
– presenza di una patologia irreversibile,
– se la patologia irreversibile provoca sofferenze fisiche o anche solamente psicologiche per lei intollerabili,
– se la persona è pienamente capace di decidere liberamente e consapevolmente,
– e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.
L’ultimo punto è quello maggiormente meritevole di attenzione in quanto, secondo una rigorosa applicazione etico-normativa sia del Codice di deontologia professionale sia della dichiarazione Iura et bona della Congregazione per la dottrina della fede (1980), la sospensione di procedure ritenute onerose (non solo economicamente) e sproporzionate sarebbe di fatto lecita.
Tutto si gioca quindi sull’esatta natura e comprensione dei termini: eutanasia, suicidio assistito, trattamenti di sostegno vitale ecc.
E, forse, proprio una più corretta comprensione dei termini farebbe cadere remore, ostacoli, pregiudizi, anche se non potrebbe mai costituire un «omicidio del consenziente», neppure a determinate condizioni.
Non si tratta di una semplice questione semantica. Spesso provoco i miei allievi chiedendo loro se è accettabile la richiesta di essere uccisi (in qualche modo una variante del suicidio assistito), e ovviamente mi rispondono di no. Ma poi aggiungo: e se a chiederlo è Massimiliano Kolbe? Non voglio ricadere della querelle sull’etica della situazione, ma certamente le circostanze (come ci insegna la morale tradizionale) possono cambiare la natura dell’atto.
Ed è a questo che nei prossimi dibattiti, sui quali avremo modo di tornare, dovremo essere attenti.
Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.