Solidali nella fragilità, uguali nella dignità
La pandemia di COVID-19 che si è abbattuta sull’umanità come un fulmine a ciel sereno, come una tempesta inaspettata e furiosa, ha messo il mondo in ginocchio e ha ricordato a tutti noi che siamo fragili e vulnerabili. E questa fragilità e vulnerabilità è propria di ogni uomo, dell’uomo di tutti i tempi, anche dell’uomo del terzo millennio.
La pandemia ha smascherato le false sicurezze in cui ci eravamo rinchiusi per difendere le nostre vite, e ci ha fatto toccare con mano la precarietà e la fragilità della vita, la vulnerabilità delle strutture e sovrastrutture, che faticosamente abbiamo messo in piedi nel corso degli anni, pensando che ci avrebbero garantito sicurezza, stabilità, salute.
Il COVID-19 ha messo tutti in una condizione di difficoltà inedita e drammatica, che ci ha trovati impreparati nel gestire il contenimento del contagio, che ha galoppato come un cavallo imbizzarrito in ogni angolo della terra. Questo virus, invisibile come il vento e veloce come la luce, è penetrato ovunque abbattendo muri, scavalcando frontiere, colmando fossati e si è diffuso rapidamente in tutto il mondo attraverso la rete dei trasporti, delle relazioni sociali, mettendo in discussione tutto in particolare il nostro modo di pensare, di vivere, di agire, di relazionarci.
La pandemia ha messo tutti in crisi e «da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori» (Francesco, Udienza generale, 26 agosto 2020).
Come recita il Manifesto ATISM, «se la violenza della pandemia ha evidenziato la vulnerabilità condivisa, va pure affermato che, uguali nella fragilità, lo siamo anche nella dignità. (…) La stessa pandemia ha evidenziato l’ambiguo intreccio tra processi di inclusione sociale e dinamiche di esclusione ed emarginazione» (Etica, per un tempo inedito).
Dalla parte dei più deboli e fragili
La situazione di emergenza sanitaria legata alla pandemia ha evidenziato l’ineguaglianza che regna nel mondo e ha penalizzato le persone sole e con gravi disabilità, i poveri, gli anziani, gli immigrati. La pandemia ha messo a dura prova i principi etici della solidarietà e della fraternità. Ma il principio di giustizia stabilisce che come tutti siamo uguali nella fragilità, così lo siamo anche nella dignità. Pertanto va garantito a tutti lo stesso rispetto umano, le stesse opportunità e possibilità di accesso alle cure.
La centralità della persona e il rispetto della sua dignità unica e inviolabile, il suo essere immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26) sono punti di riferimento imprescindibili per costruire una società fondata sulla giustizia e sull’amore, per promuovere un umanesimo integrale e trascendente.
«Se il virus dovesse nuovamente intensificarsi in un mondo ingiusto per i poveri e i più vulnerabili – ha detto papa Francesco – dobbiamo cambiare questo mondo. (…) Dobbiamo agire ora, per guarire le epidemie provocate da piccoli virus invisibili, e per guarire quelle provocate dalle grandi e visibili ingiustizie sociali. Propongo che ciò venga fatto a partire dall’amore di Dio, ponendo le periferie al centro e gli ultimi al primo posto» (Francesco, Udienza generale, 19 agosto 2020).
Prendendosene cura
«Una società sana è quella che si prende cura della salute di tutti» (Francesco, Udienza generale, 9 settembre 2020). «Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo» (Francesco, Udienza generale, 12 agosto 2020). Il prendersi cura per garantire la salute di tutti e di ciascuno fa crescere in umanità e richiede un grande senso di responsabilità, di corresponsabilità, di dedizione, di generosità, di amore.
Il messaggio cristiano, che è seme di speranza e lievito di fraternità, s’inserisce nella tragicità delle situazioni più dolorose per alimentare fiducia, speranza, amore e realizzare il maggior bene possibile per tutti, in particolare per le persone più fragili e vulnerabili.
Salvatore Cipressa è segretario nazionale dell’ATISM e insegna Teologia morale all’Istituto superiore di scienze religiose metropolitano «Don Tonino Bello» di Lecce e all’Istituto teologico calabro di Catanzaro.