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Moralia Blog

Sesso vs genere: un dibattito che sfida la morale sessuale cristiana

Per capire il senso e la durezza del dibattito tra «sesso» e «genere» occorre definirne i termini.

Per sesso s’intende il corpo con le sue strutture cromosomica, gonadica, ormonale e anatomica; per genere, invece, l’insieme di rappresentazioni, immagini, rivestimenti culturali che avvolgono il corpo sessuato in un dato contesto storico.

Il rapporto fra il proprio corpo e l’insieme di mediazioni culturali per significarlo è all’origine del senso di sé o identità di genere e del modo in cui essa si manifesta nello spazio pubblico (ruolo di genere). Sesso è, allora, la materia organica; genere il modo di portarla a significato perché abbia un senso personale e sociale.

L’irriducibile corpo

Così posta la questione, ci si potrebbe chiedere il motivo di tanti dibattiti. In fondo, nonostante i ricorrenti dualismi, è evidente che, nel momento in cui l’essere umano acquista la consapevolezza del proprio corpo (sessuato), esso diventa una tela di relazioni, un tessuto di linguaggio, un luogo simbolico.

Il problema sorge, però, quando ci si domanda in quale rapporto stiano sesso e genere; quale sia il ruolo dei condizionamenti culturali e il peso delle pressioni sociali nel definire il proprio corpo; quanto ci si possa allontanare dalle cornici condivise e come il corpo, mediato da altri sguardi, possa dirsi mio. È proprio in questo spazio, fra il dato sessuato e il modo di dargli significato, che si annidano tutte le questioni.

A un estremo, ci si imbatte nel rischio di surdeterminare il sesso-materia, rendendolo predittivo dei comportamenti del singolo, come se bastasse avere degli attributi femminili per essere degli agenti di cura o degli attributi maschili per godere della capacità di penetrazione speculativa: è questo il campo dei noti – ma oramai sfibrati – stereotipi di genere, schemi rigidi per cui, dato un corpo (di uomo o di donna), se ne possono dedurre una serie di proprietà, preferenze, orientamenti. Ma se così fosse, il corpo sessuato sarebbe un corpo animale, pre-formato e privo del soffio della libertà.

All’estremo opposto, il rischio è di assorbire il corpo sessuato nel linguaggio, consegnandolo alle strutture di potere che gettano la loro ombra sulla coscienza e l’inconscio collettivo. Il dato corporeo diventa così ininfluente, essendo l’esito di una costruzione performativa.

Questo significa che non sono un corpo né ho un corpo, ma faccio il mio corpo attraverso la ripetizione di comportamenti stilizzati e reiterati fino a convincersi che si è quell’uomo o quella donna. Se così fosse, il corpo non avrebbe nessun vissuto da significare, nessuna sintassi relazionale da decifrare: che cosa ci dicono la sessualità maschile e quella femminile? come si stampa il vissuto della gestazione nel corpo-parola della donna e in quello di ogni essere che viene al mondo? Non ci sono risposte possibili se il corpo è sempre e solo un corpo parlato (da altri), stretto fra i rapporti di potere e la loro inevitabile consunzione.

Il dialogo sia sincero

La durezza del dibattito è chiaramente legata al fatto che sono in gioco tanto le questioni più intime della vita personale quanto i fondamenti dell’ordine sociale. Che cos’è maschile? Che cosa femminile? Che ne è di chi non si riconosce né nell’uno né nell’altro sesso e/o genere?

Non di rado ci troviamo fra l’inerzia di risposte apparentemente scontate su femminilità e maschilità e l’imperativo culturale dell’indifferenziato come catalizzatore della cultura di massa.

Quali forme di unione sessuale sono simbolicamente riconosciute e possono essere giuridicamente normate? Anche in questo caso si oscilla tra chi nega valore ai legami omosessuali, rendendo difficile o impossibile per le persone che li vivono trovare le parole per dirsi e un posto nel mondo, e chi rilegge l’eterosessualità come un prodotto del patriarcato e sostituisce al legame genitoriale l’accesso alla tecnologia riproduttiva, usata certamente anche da coppie eterosessuali.

Di fronte al polarizzarsi del dibattito – e al suo scomposto acuirsi, a colpi di sospetti reciproci e odi incrociati –, a mio parere, la vera sfida è il lavoro di tessitura fra le istanze, accogliendo la parte di vero che le anima: da un lato, gli studi di genere avvertono che ci sono condizionamenti storici di cui non ci rendiamo conto e nei quali rischiamo di smarrirci; che ci sono desideri e unioni omosessuali che chiedono di essere guardati senza terrore e senza retorica.

Dall’altro occorre portare a parola la differenza sessuale come grembo di tutte le differenze, perché non venga resa simbolicamente nulla e non sia oscurata l’alleanza della donna e dell’uomo, nella genitorialità come altrove.

Resta, per ogni essere umano che viene al mondo, il compito faticoso e sorprendente di percorrere il cammino fra corpo ricevuto e libero senso di sé, nella tessitura ininterrotta – intima e relazionale – di biologia, cultura, legami e infinito desiderio dell’Alterità.

 

Susy Zanardo è professoressa associata di Filosofia morale presso l’Università europea di Roma e docente incaricata presso il Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia. Ha scritto Il legame del dono, Vita e pensiero, Milano 2007; Gender, Città nuova, Roma 2016.

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