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Moralia Blog

Scrittura e creazione: se cambia lo sguardo

Mi è capitato in mano, quasi per caso, in questi giorni festivi un testo di un importante biblista come Giuseppe Barbaglio (1934-2007), dal titolo suggestivo: Il mondo di cui Dio non si è pentito (EDB 2010).

Si tratta in effetti di una raccolta postuma di alcuni dei numerosi scritti che nel corso della sua lunga esistenza teologica egli ha dedicato alla «mondanità del mondo», per usare un’espressione a lui cara, ma in effetti risalente a Johann Baptist Metz (1928-2019).

Materiali suggestivi, ma … è stato per me abbastanza sconcertante tornare a confrontarmi con testi che avevo in parte letto all’epoca della loro prima pubblicazione, apprezzandoli, ma per parecchi dei quali adesso ho avvertito una forte distanza.  

Il mondo di cui Dio non si è pentito

È stato, in particolare, il caso del saggio che porta lo stesso titolo del volume in cui è inserito, originariamente pubblicato sulla rivista Bozze nel 1987. In esso Barbaglio articola la propria riflessione in alcuni passaggi tesi a qualificare la prospettiva cristiana sul mondo: sdivinizzazione, desacralizzazione, deritualizzazione, relativizzazione (al regno di Dio veniente).

L’intenzione – del tutto condivisibile – è quella di dispiegare una prospettiva etico-sociale lontana da una comprensione statica del mondo, da un naturalismo che vorrebbe conferire immediata valenza normativa alla fattualità del reale, per collocarsi invece in uno spazio carico di progettualità politica innovatrice e di liberante speranza. Un’intenzione condivisibile, dicevamo, ma alla quale corrisponde un processo argomentativo decisamente parziale. 

A Barbaglio interessa sottolineare come la Scrittura non parli del mondo come realtà divina, caratterizzata da strutture immutabili, cui l’uomo dovrebbe rispettosamente attenersi: «non è realtà numinosa, fascinosa, intoccabile».

Neppure è «mare infinito in cui è dolce naufragare come eroi romantici e sognatori, né grande utero materno nelle cui acque dolci rifugiarsi». Per questo la fede creazionistica della Bibbia – radicalmente desacralizzante, disincantata – fonda una «radicale laicità e mondanità del mondo», una «costitutiva e strutturale creaturalità», un’«autonomia totale dagli dei e dai signori». 

Facile condividere i referenti polemici dell’argomentazione; la frase precedente, con cui prende avvio tale linea discorsiva, evidenzia, però, la parzialità di una prospettiva:

«Indubbiamente per la fede biblica la natura è cosa, soltanto cosa, sia quando è bella, splendente e madre, sia quando si presenta all’uomo come matrigna».

Ontologia

C’è purtroppo, sottesa a questa linea discorsiva, un’ontologia parziale, in cui all’unica signoria divina sulla storia e sulla creazione corrisponde l’unica agency umana nella storia… il resto non può che essere detto cosa, realtà «libera per l’uomo e la sua azione, disponibile ai suoi interventi».

C’è qui evidentemente un problema di precomprensione nella lettura del testo: l’approccio sembra corrispondere più a un orizzonte moderno e cartesiano che a una prospettiva effettivamente adeguata alla ricchezza della Scrittura biblica. Manca completamente una comprensione della specificità del vivente – umano e non umano –; manca la contemplazione della sua bellezza e della benedizione a esso rivolta; manca la lode che nei salmi esso rivolge al suo creatore; manca la percezione della rete di relazioni che lo sostiene. 

Manca anche la percezione di una terza modalità in cui ci si presenta oggi la natura, quella di una sorella sofferente e maltrattata, che geme per la violenza cui è sottoposta (secondo l’indicazione del n. 2 dell’enciclica Laudato si’).

Certo quest’ultimo dato è più comprensibile, vista la data di stesura del testo, posta in una fase in cui la percezione della questione ecologica era assai poco diffusa in Italia. Impossibile però non ricordare che già in quegli anni Jürgen Moltmann – per molti aspetti profondamente vicino a Metz – esplorava attentamente la complessità di una dottrina ecologica della creazione, in cui la percezione di una sofferenza del creato già costituiva un’armonica qualificante. 

Un mutamento

Insomma, tornare a incontrare tale testo mi ha consentito di misurare una volta di più l’ampiezza di un mutamento di approccio che – grazie al contributo di molti teologi e teologhe, delle diverse confessioni cristiane – ha segnato in profondità i decenni che ci separano dalla sua pubblicazione e che ha trovato nell’enciclica Laudato si’ un approdo importante. 

È stata anche l’occasione per riflettere sulla profonda interazione tra lo sguardo che rivolgiamo alla Scrittura e il contesto da cui provengono le domande che le rivolgiamo.

Anche in questo campo l’esperienza del popolo di Dio – in questo caso, anzi, forse dell’umanità tutta – aiuta a far riemergere dimensioni della sapienza biblica in precedenza rimaste sotto traccia, facendoci crescere nella comprensione della realtà di Dio e della sua creazione tanto amata. Facendoci pure crescere sul piano etico, disegnando orizzonti più adeguati per una comprensione del nostro agire e del nostro ricercare entro la mondanità del mondo. 

Tag Teologia

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