Sanremo: applaudire ai disvalori
Quello che fa più pensare dell'ultima edizione di Sanremo è proprio l’applauso al disvalore, cioè il non percepire la negatività di quanto presentato.
Ho esitato a lungo prima di scrivere questo post, perché tanto e troppo è stato già detto sui social, ma mi è sembrato giusto non lasciare «senza voce», da parte nostra (o mia), quanto abbiamo visto e ascoltato. Quantomeno mi è sembrato opportuno farlo sotto una specifica angolazione, forse poco osservata dai media.
Non so se i cantanti, gli attori, i conduttori, i lavoratori dello spettacolo allo stato attuale siano ancora privi di un codice di deontologia professionale (ai sensi dell’art. 2 della Legge 14 gennaio 2013, che non prevede un codice deontologico per le cosiddette «professioni non organizzate», nelle quali rientrano quelle degli artisti), ma sono tenuti a «garantire il rispetto delle regole deontologiche» (comma 1) e all’«osservanza dei principi deontologici» (comma 2) contenuti nello stesso articolo.
Credo che proprio su questi punti occorreva una maggiore vigilanza e controllo sia da parte del conduttore (per quanto spesso colto di sorpresa), sia da parte dei preposti organi di vigilanza, viceversa non si comprende che cosa ci stiano a fare. Vedremo cosa succederà a posteriori.
L'escalation degli eccessi
Certo tante delle cose a cui abbiamo assistito sono eccessi, trovate o squallide espressioni artistiche, un po’ tante a dire il vero. L’exploit psicopatologico di Blanco (mal giustificato dal conduttore, che gli ha addirittura proposto di ripetere il brano). Il nude look di Chiara Ferragni (se lo apprezzi sei maschilista, se lo critichi sei moralista, in ogni caso bisogna spiegarlo al bambino o alla nonna che lo guarda). L’insulso monologo pseudo-comico di Angelo Duro (anche Paolo Villaggio, col suo noto «chi viene a voi adesso» ha iniziato la sua carriera aggredendo gli spettatori ma con ben altro stile e vis comica). Il bacio trasgressivo di Rosa Chemical a Fedez (che non ha nulla a che vedere con l’omosessualità e il rispetto per le persone omosessuali, che condividiamo) ma ha solo una voluta, auteoreferenziale e pubblicitaria volontà di trasgressione. Il monologo con la culla vuota della pur brava e simpatica Chiara Francini, che tanto richiamava la Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. E infine, nuovamente, l’onnipresente Ferragni con un ciondolo un po’ kitsch, che pochi hanno notato trattarsi in realtà della trasposizione iconica di un utero con tanto di tube e ovuli, come rivendicazione della libertà di aborto.
Ma il punto, a mio avviso, più criticabile in questo panorama (ci sarebbero altre cose ma ve le risparmio) riguarda l’immancabile applauso che ognuna di queste esibizioni ha comportato. Certamente guidato dai direttori di sala, come avviene in questi casi, ma spesso spontaneo o quantomeno assai partecipato. Basta guardare i replay (se una visione non fosse già bastata) per rendersene conto.
In un certo senso, come ho titolato questo post, quello che fa più pensare è proprio l’applauso al disvalore, cioè il non percepire la negatività (ovviamente di vario grado ed espressione) di quanto presentato. I valori, lo sappiamo bene, non hanno colore politico, religioso, etnico, sessuale. Sono valori e basta: sono oggettivi e universali, a differenza della storicità inculturata delle norme e della soggettiva decisionalità della coscienza.
Applaudire significa condividere (come diremmo nel linguaggio dei social pigiando il relativo simbolo), significa aver perso la capacità di discernimento anche per paura di essere tacciati come bigotti o moralisti. Questo costringe in qualche modo l’etica a condannare la disvalorietà di certo agire, snaturando la propria vocazione «alta» che è proprio quella dell’additare valori più che di reprimerne il mancato rispetto.
Un’occasione come quella, sia pur leggera e «nazional-popolare (ma neanche tanto visto la dimensione internazionale che ha assunto), del Festival di Sanremo forse dovrebbe ricondurci a questo. D’altra parte una prospettiva di autentica «etica narrativa» non può non farci includere anche la musica e il suo messaggio, nonché i testi che veicola, in un orizzonte etico oltre che ludico.
Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.