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Moralia Blog

Samaritanus bonus: al centro la cura

Nel post precedente abbiamo provato a dare uno sguardo d’insieme al documento, cercando di evidenziarne con serena valutazione i pregi e le possibili criticità.

Cercando adesso di approfondirne alcuni aspetti vorrei soffermarmi su quello che in ultima analisi risulta essere l’oggetto proprio del documento, cioè gli interventi relativi alle fasi «terminali» dell’esistenza.

In realtà negli intenti degli estensori la pretesa era molto più ampia, ambiziosa e del tutto condivisibile, cioè parlare della «cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita» di cui eutanasia, accanimento terapeutico, suicidio assistito non sono che specifiche problematiche, per quanto di grande rilievo etico. La lettera voleva in realtà spostare l’attenzione sulla persona che soffre nelle fasi ultime della sua vita terrena e di come il criterio della vicinanza a essa sia la vera chiave risolutiva dei suddetti problemi. Il vero centro del documento è proprio questo.

In realtà se diamo una rapida scorsa alle voci che troviamo su Internet, sia quelle dei cosiddetti «siti cattolici» sia le altre di matrice non cattolica, vediamo che la maggior parte di articoli sono incentrati sulla proibizione dell’eutanasia. In quelli meno informati si dice che la Chiesa si è formalmente e definitivamente espressa su tale condanna (cosa che aveva già fatto da tempo, come san Giovanni Paolo II ricorda nell’Evangelium vitae e com’è già affermato nel Catechismo della Chiesa cattolica).

Tutto questo è spia di un fenomeno che, forse, come credenti e teologi morali dovremmo investigare più accuratamente, cioè una sorta di «bisogno di condanna» che appaga l’animo. È come se l’affermare o il ribadire che un comportamento non è moralmente lecito ci desse una sorta di sicurezza, di garanzia morale. Purtroppo il più delle volte, o quantomeno in molte situazioni, si tratta di un ragionamento a tavolino per cui se pienamente coinvolti dal problema la nostra scelta (con piena legittimazione in foro interno) è ben diversa da quella che avevamo sostenuto.

Richieste di senso

Ma c’è un altro aspetto che sfugge. Il mondo ecclesiale spesso è un po’ sordo alla straordinaria testimonianza di papa Francesco che, spesso improvvisando, richiama sempre la necessità di coniugare il rigore morale con la misericordia. Lo ha fatto più spesso con l’aborto, attirando su di sé l’accusa di essere poco sensibile moralmente al problema rispetto ai suoi predecessori.

A mio avviso Samaritanus bonus risente del suo atteggiamento, ed evidenzia come il centro del problema non sia la richiesta di morte, ma la richiesta di senso. L’eutanasia non nasce dalla cultura edonista o individualista ma dalla solitudine, anche della comunità ecclesiale che condanna ma spesso fa poco per risolvere umanamente il problema nella prossimità con la persona che soffre. In questa prospettiva la condanna di chi fa ricorso all’eutanasia ricade su tutti noi che non abbiamo saputo evitarla (come in altri ambiti non abbiamo saputo evitare l’aborto).

Quanto all’accanimento terapeutico (la cui esclusione è un «obbligo morale») Iura et bona faceva un elenco delle condizioni che potrebbero costituire elemento di non proporzionalità delle cure. Samaritanus bonus forse è più preoccupato di evidenziare cosa non sia accanimento terapeutico, mentre sarebbe stato opportuno una maggior approfondimento di quali condizioni lo costituiscono.

Nonostante tutto l’eutanasia è richiesta e praticata da pochi, l’accanimento terapeutico da quasi tutti noi. Basti guardare i comodini dei nostri anziani, ricolmi di rimedi pressoché inutili, le braccia scheletriche sulle quali ci accaniamo a eseguire prelievi, i cucchiai usati come grimaldelli per aprirne la bocca con l’invito di «sforzarsi» a mangiare.

La vita da non sopprimere certamente può costituire in una gerarchia ontologica dei valori un valore prioritario, ma non si può trascurare (e il documento lo fa affiorare in più parti) che il dovere è quello di prolungare la vita, non l’agonia. In tal senso anche una maggiore riflessione sulla dignità della morte poteva essere opportuna. Il cristianesimo non è religione che aggancia e incatena alla terra ma slancio, dopo la morte, verso una diversa e permanente condizione dell’esistenza.

 

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell'ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.

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