Ripartire: il coraggio e la prudenza
È tempo di ripartenza: mentre i dati dei contagi e dei decessi relativi al coronavirus si mantengono fortunatamente su bassi livelli (pur con alcune oscillazioni preoccupanti), si riflette sui passi necessari per la ripartenza di un paese che ha pagato – e continua a pagare – duramente il necessario periodo di lockdown.
Lo hanno pagato in primo luogo i contagiati dal virus, e in particolare le vittime: troppe, e alcune probabilmente evitabili. Lo ha pagato però anche l’economia, colpita da un calo del PIL che getta ombre inquietanti sul futuro; lo ha pagato il mondo della scuola e della cultura, costretto a forme a esso poco consone; lo ha pagato la vita civile, ristretta ad appuntamenti on-line; lo ha pagato il mondo ecclesiale, che ha vissuto con fatica le restrizioni alle possibilità di contatto, di incontro e di celebrazione; lo hanno pagato – più di altri – bambini e giovani, costretti a un’esistenza assai poco consonante con le loro esigenze.
È tempo, dunque, di ripartire con coraggio, anche accettando qualche meditato rischio, per ridare fiato a tante realtà che si sono trovate sotto stress. Il Manifesto di etica promosso dall’ATISM e comparso nelle scorse settimane su Moralia offre spunti importanti per ripensare il vissuto dei mesi del lockdown, ma anche questa fase pone interrogativi morali propri e specifici, che meritano di essere esplicitati.
Cercare la via
Usciamo da un’etica dell’emergenza per passare a un altro regime, ma quale? quali sono le sue coordinate? Davvero in questa fase si tratta di trovare una via che contemperi le precauzioni che restano necessarie e l’esigenza di ritrovare spazi vivibili per tante attività.
Non può essere, dunque, ancora un’etica della normalità ritrovata, ma piuttosto un’etica della transizione, un’etica che vive nell’intreccio di speranza e prudenza. Bastano del resto a ricordarcelo i dati relativi a contagi e morti provenienti da tante aree del pianeta, in cui le misure assunte non sembrano per ora dimostrarsi adeguate al contenimento della pandemia. Il dolore per le vittime e per le sofferenze di molti è anche ammonimento per una minaccia dalla quale non possiamo sentirci definitivamente liberi, in una fase della storia dell’umanità in cui la globalizzazione crea collegamenti e legami su vasta scala, rendendo più difficile delimitare contatti e contagi.
Affidati
Restiamo, dunque, affidati alla reciproca cura, al rispetto che siamo chiamati a esercitare in tanti piccoli gesti (igiene, uso della mascherina, mantenimento delle distanze), ora, per fortuna, richiestici in forme meno esigenti di quanto non fosse in precedenza.
Abbiamo toccato con mano in questi mesi la nostra reciproca dipendenza, il mutuo affidamento: molti gesti servivano a tutelare in primo luogo altri rispetto alla possibilità di contagio da parte nostra – e solo indirettamente la nostra salute.
Abbiamo toccato con mano cosa possa significare bene comune, nel momento in cui spesso ci siamo trovati a poter contribuire alla nostra personale sicurezza solo attraverso pratiche sociali orientate in primo luogo proprio alla cura d’altri.
Restiamo affidati alle scelte delle autorità, chiamate a trovare una via media che limiti i danni all’economia e alla vita sociale, ma garantisca al contempo una saggia precauzione nei confronti del virus. Non contribuiscono certo a tale delicata opera di discernimento le fake news che distorcono quanto vissuto in questi mesi, sottovalutando il peso di tante morti o insinuando sospetti di improbabili complotti: la rete – risorsa certo assolutamente preziosa in questi mesi – continua al contempo a essere luogo di diffusione di informazioni distorcenti.
Abbiamo invece toccato con mano il ruolo strategico dell’informazione e della competenza in una situazione per molti aspetti senza precedenti.
Un’altra normalità
Anche per questo la ripartenza da progettare non può essere mero ritorno allo status quo ante, quasi tale normalità fosse soddisfacente.
Lo vediamo, ad esempio, nel dibattito sulla futura riapertura delle scuole: pur nell’incertezza degli scenari della pandemia, è chiaro che una vita scolastica didatticamente e umanamente soddisfacente e al contempo sicura dal punto di vista sanitario richiederà cambiamenti drastici e soprattutto investimenti importanti nel comparto istruzione. Questo, però, significa andare decisamente in controtendenza rispetto a quel trend degli ultimi decenni che ha avuto nella riforma Gelmini la sua fase più drammatica.
Lo vediamo, ancora, per il nostro rapporto con l’ambiente: se questa pandemia è stata anche uno dei frutti indesiderati dell’antropocene e di modalità di presenza umana ormai insostenibili, è chiaro che occorre cambiare decisamente rotta, nel segno della decarbonizzazione, dell’economia circolare, della cura per la terra.
Tutto è connesso: la prospettiva dell’ecologia integrale ci ricorda che c’è un bene comune ambientale, da tutelare in modo lungimirante, per tutelare al contempo la salute di tutti/e e di ognuno/a.
Davvero la transizione deve essere a un’altra normalità: altra negli atteggiamenti verso chi ci è vicino, altra nelle logiche sociali, altra nella lungimiranza competente. Essenziale, dunque, in quest’ambito anche la vigilanza di una riflessione etica, capace di attingere alla tradizione morale dell’umanità per accompagnarci in questo tempo inedito.
Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.