m
Moralia Blog

Ricordando Giannino Piana

Con questo post invitiamo i lettori a condividere con tutti i ricordi – personali, professionali, accademici… – legati a Giannino Piana, per mantenerne viva la memoria. Le esperienze possono essere inserite tra i commenti o inviate alla Segreteria dell’ATISM (segreteria.atism@gmail.com). Sarà cura della Redazione di Moralia raccogliere il materiale ricevuto, in vista di un’eventuale pubblicazione. 

 

Certamente sono in molti, in queste ultime settimane, ad aver ricordato in qualche testimonianza scritta o, semplicemente, nel proprio cuore la figura di Giannino Piana. L’ho fatto anch’io e, sollecitato dal nostro presidente, vorrei condividere con voi queste poche righe che possano fare da traino ad altri che vorranno manifestare il proprio ricordo.

Ho conosciuto Giannino Piana negli anni Ottanta, quando frequentavo un Istituto di scienze religiose prima di passare all’Università lateranense. È stato il mio primo «maestro» di teologia morale, anzi non esito a dire quello che mi fatto scoprire cosa fosse veramente la teologia morale, facendomene innamorare. Poco più che venticinquenne, ne avevo una concezione molto diversa, assai più vicina al moralismo che alla vera e propria riflessione teologica.

Un maestro

Posso dire senz’altro che ha sconvolto il mio modo di pensarla. Ho seguito con lui vari corsi e sostenuto diversi esami. Ricordo anche le splendide lezioni che non tutti hanno avuto il piacere di apprezzare, avendolo ascoltato in importanti ma occasionali interventi congressuali o conoscendolo solo dai suoi scritti. Ma seguire un corso sistematico è altro, soprattutto quando i corsi sono tre e ti vengono date le basi della morale fondamentale, sessuale e sociale.

Dal rapporto top-down del docente è scaturito poi quello dell’amico, dal «lei» si è passati al «tu», dalla didattica alla collaborazione. Mi aveva subito chiesto di partecipare alla stesura del Nuovo dizionario di teologia morale, che poi per diverse ragioni non andò in porto, mentre io ho avuto il piacere di averlo come prefatore di alcune mie successive pubblicazioni.

Il suo modo di presentare la teologia morale era sempre limpido, lineare, profondo ma comprensibile non solo agli addetti ai lavori o agli studenti ma a tutti. Questo era anche il «successo» dei suoi interventi pubblici. Aveva una grande capacità (ed è questo che ha trasmesso soprattutto) di vivere e presentare la circolarità ermeneutica della disciplina. Partiva dalla fenomenologia, facendo apprezzare la dimensione incarnata della teologia morale, o quello che un altro mio maestro di teologia mi aveva insegnato, cioè che «le parole si usano con le date».

Per far bene teologia morale bisogna conoscere il mondo dei giovani, la vita delle famiglie, i problemi del lavoro, le tensioni politiche, i conflitti sociali e così via. Poi, trattandosi di una disciplina teologica, occorreva interpellare la parola di Dio, mai in modo fondamentalista ma sempre con intelligente ermeneutica come quella, peraltro, che insegnava nell’approccio ai testi del magistero.

La mediazione della filosofia

Questo dava serenità a noi studenti di fronte ad alcuni assunti che potevano apparirci angusti o problematici soprattutto in ambito di morale sessuale. E poi c’era quello che non esiterei a definire il suo capolavoro di ricercatore e didatta, cioè la mediazione filosofica. Non c’era assunto biblico o magisteriale che non fosse poi riletto e riproposto alla luce delle categorie filosofiche nelle quali si muoveva in modo vivo, dinamico, mai aridamente didascalico. Il tutto, alla fine, sfociava nell’ambito spirituale e pastorale.

L’insegnamento moral-teologico, così, si apriva a una dimensione esperienziale ad extra (sul piano pastorale), proponendo le più opportune soluzioni operative a cui pervenire, e ad intra (sul piano spirituale), incamminandosi lungo le vie del perfezionamento interiore.

Troppo «avanzato»

Ritenuto, qualche volta persino con sospetto, troppo moderno o «avanzato», in qualche modo oserei direi persino secolarizzato, mi capitava spesso in quegli anni lontano di coglierlo da solo in chiesa in preghiera, in una meditazione solitaria che poi era anche premessa del suo insegnamento.

E mi piace anche ricordare come la sua «bella testa», come ameremmo dire oggi, che si esprimeva anche nel tenere le lezioni di un intero corso senza avere mai tra le mani una scaletta o un semplice appunto. La sua interiore ruminatio della materia lo portava esprimere tutto con naturalezza e semplicità, come se fosse una chiacchierata tra amici.

Certo con lui scompare un maestro, anche se ci resta la sua copiosa produzione, ma scompare anche uno stile di fare teologia, che mi auguro possa essere raccolto e perpetuato. 

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020; Che fatica! Le virtù nel lavoro quotidiano, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2022.

Tag Teologia

Lascia un commento

{{resultMessage}}