Reliquie digitali
Il culto delle reliquie ha avuto nei secoli scorsi un peso religioso e spirituale di altissimo valore. La reliquia, intesa come l’intero corpo o un suo frammento, attraversa i tempi e i meridiani.
In area cristiana, da san Policarpo in poi essa testimonia l’esistenza e l’esempio di un confessore della fede, rimanda concretamente al bagaglio di grazia che egli rappresenta e che nella comunione dei santi si riverbera su tutto il popolo di Dio.
La reliquia è importante perché con la forza simbolica che essa custodisce permette a chi la venera di andare oltre i propri limiti, di aspirare al perdono, alla salvezza, al regno di Dio. Era fisicamente parte di qualcuno e rimandava alla sua vita concreta, e su di essa si fondavano non solo chiese e monasteri, ma intere città e fortune di casati.
Le reliquie di oggi
La reliquia ha sempre rappresentato un legame profondo con le radici, ed è proprio quel legame che oggi pare smarrirsi. Di qui la nascita di una nuova forma, che assolve il compito antico attraverso la ricostruzione o la simulazione: la reliquia digitale, che è apparentemente l’estremo opposto, essendo immateriale ed evanescente.
«Reliquia digitale» è di fatto un ossimoro, eppure i nostri contemporanei oggi vanno in cerca e custodiscono sempre di più questo tipo di ricordi. Tracce di esistenza condivise, scatti di un istante, frammenti di conversazioni, storie sui social. Reliquie narrative che rimandano a un’esistenza consistente, significativa, di cui anche solo per un istante abbiamo fatto parte.
La reliquia è sempre stata ciò che resta ai vivi dei morti. La fatica contemporanea a elaborare lutti e distacchi e la facilità relativa con cui si possono accumulare testimonianze della vita delle persone hanno moltiplicato le reliquie digitali e soprattutto i reliquiari, luoghi digitali in cui tutto è conservato e tenuto in vita.
La differenza sostanziale tra il passato e il presente digitale è che la reliquia di ieri era concretamente un pezzo di un corpo, la reliquia di oggi è sempre e solo una rappresentazione mimetica di quell’esistenza, una sua narrazione e non, fisicamente, un oggetto che è entrato in contatto con il corpo o un frammento di quel corpo.
La smaterializzazione della reliquia l’ha resa condivisibile, replicabile, in qualche modo le ha fatto perdere il carattere di unicità e di eccezionalità che essa aveva, al netto delle falsificazioni e delle frodi. La reliquia digitale rende l’unicità dell’uomo e la sua dignità un prodotto, cedibile, scambiabile, mutuabile, cancellabile. E soprattutto di proprietà di terzi che non siamo noi. Quanto risiede su una piattaforma, come i social o come Google, è gestito post mortem da loro, quanto risiede su di un supporto di memoria fisico è comunque gestito da chi è proprietario del codice per la lettura di quei supporti, un codice che cambia nel tempo, un hardware che nel tempo sparisce.
Celebrando la memoria dei santi e ricordando i nostri morti è opportuno ritornare a custodire passato e futuro con reliquie che non abusino dell’immateriale digitale, ma che continuino a valorizzare il materiale che può essere custodito in un cassetto: stampate le foto dei vostri cari o quell’email che vi ha fatto battere il cuore, così che i vostri nipoti un giorno si sentano parte del flusso del tempo senza dover chiedere ad alcuno il permesso di avere un passato.
Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e di Spiritualità dell’innovazione all’Università di Torino. Ha scritto, tra l’altro, Incarnazione digitale (Elledici, Torino 2019).