Prospettive del Sinodo sui divorziati risposati
La preparazione dei documenti preparatori
per il prossimo Sinodo dei vescovi si è conclusa con la presentazione il 23
giugno 2015 dell’Instrumentum laboris,
in cui sono state inglobate anche le risposte al secondo questionario inviato
alle Chiese particolari.
Uno dei temi principali riguarda la riammissione all’eucaristia dei divorziati con nuove situazioni familiari.
Già il precedente Sinodo straordinario aveva impostato la questione a partire dall’Evangelii gaudium, n. 44, così come riportata al n. 60 dell’Instrumentum laboris: «[La Chiesa è] consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. “Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute” (EG, 44)».
Più esplicite sono le prospettive riportate al n. 106: «[…] i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più "subite" con sofferenza che scelte in piena libertà», e al n. 109 :«Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa "arte dell’accompagnamento", perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5)»: “cammini pastorali nuovi” e “togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” precisano l’approccio pastorale indicato dai vescovi, cioè rinnovamento della pastorale e rispetto della dignità della persona in qualsiasi situazione esistenziale essa sia.
I nn. 114-117 affrontano gli aspetti canonici di validità del matrimonio sacramentale, cercando di individuare vie di semplificazioni procedurali nella cause di riconoscimento di nullità. Di particolare interesse appare l’ultimo paragrafo del n. 114, dove si legge: «Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio». Qui, in modo implicito, compare un appello alla coscienza degli sposi in merito alla validità della celebrazione sacramentale del proprio matrimonio: è l’unico caso in cui c’è un riferimento alla coscienza, la cui totale assenza, in un documento che riguarda la morale matrimoniale, appare singolare.
Circa la riammissione di divorziati risposati all’eucaristia, accanto alla posizione intransigente che individua nell’astinenza dai rapporti sessuali l’unica possibilità di comunione, coesiste anche la previsione di un percorso penitenziale abilitante alla piena riammissione dei divorziati risposati, come riportato al n. 122 dell’Instrumentum laboris: «L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti […] (CCC 1735)».
La questione rimane aperta, ma al n. 123b, che accoglie le risposte al secondo questionario, viene prospettato «un processo di chiarificazione e di nuovo orientamento, dopo il fallimento vissuto, accompagnato da un presbitero a ciò deputato. Questo processo dovrebbe condurre l’interessato a un giudizio onesto sulla propria condizione, in cui anche lo stesso presbitero possa maturare una sua valutazione per poter far uso della potestà di legare e di sciogliere in modo adeguato alla situazione».
Il ricorso alla potestà sacramentale di un confessore, coniugato ad una coscienza formata e capace di giudicare cristianamente la situazione personale, individua “la via penitenziale”, attraverso cui riammettere i divorziati risposati alla piena comunione della comunità ecclesiale.
Tale “via penitenziale” potrà essere tanto più efficace, vera e accogliente quanto più la comunità ecclesiale sia effettivamente pronta, dopo secoli di abitudine al loro allontanamento dalla comunione sacramentale, a concepire queste persone come cristiani appartenenti a pieno titolo alla comunità ecclesiale, superando il risentimento da “sindrome da fratello maggiore” (cf. Lc 15,25-32)!