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Moralia Blog

Possiamo dire «mai più» alla scienza?

In queste ore la stampa nazionale e internazionale sta vibrando per le notizie che riguardano gli esperimenti finanziati da case automobilistiche su primati ed esseri umani. La cosa inquieta molti. Cerchiamo di chiederci perché.

Le scimmie e i volontari

Come abbiamo appreso, i colossi tedeschi BMW, Daimler e il gruppo Volkswagen, secondo un’inchiesta pubblicata dal New York Times e resa nota dal quotidiano tedesco Bild, nel maggio 2015, finanziarono il laboratorio del Policlinico universitario RWTH di Aquisgrana, in New Mexico, per fare esperimenti sui primati. 

Dieci esemplari di scimmie giavanesi sarebbero stati portati rinchiusi in una gabbia di vetro e, davanti a una TV che proiettava cartoni animati, sottoposti all’emissione dei gas di scarico di un Maggiolino per circa quattro ore. Le scimmie sarebbero sopravvissute, ma non se ne conoscono le condizioni di salute. Il laboratorio avrebbe svolto l’esperimento per conto per conto del Gruppo europeo di ricerca sull’ambiente e la salute nel settore dei trasporti (EUGT), creato nel 2007 dai tre costruttori.

La Süddeutsche Zeitung e la Stuttgarter Zeitung invece hanno scoperto che i gas di scarico sarebbero stati provati anche su cavie umane. Nel laboratorio di Aquisgrana è stato fatto inalare biossido di azoto in diverse concentrazioni e per diverse ore a 25 volontari: tre ore al giorno, per quattro settimane consecutive. Secondo l’EUGT non è stato rilevato alcun effetto nocivo, anche se dobbiamo notare che i risultati sono poco indicativi, perché i risultati erano su un campione di popolazione insufficiente e non tenevano conto dell’inquinamento atmosferico generale.

L’idea che ci si è fatta è che attraverso le sperimentazioni dell’EUGT i costruttori tedeschi intendevano dimostrare che, con lo sviluppo tecnologico, le emissioni dei motori diesel arrivavano a non avere conseguenze importanti sulla salute dei cittadini. L’EUGT è stato sciolto nel 2017 quando le tre case tedesche hanno deciso di interrompere i finanziamenti a seguito del «Dieselgate». Fatto, questo, che proietta ulteriori ombre sulla vicenda.

Non esiste la neutralità etica della scienza

La questione dei gas e la clonazione delle due scimmiette in Cina rimettono al centro del dibattito pubblico la questione della ricerca e dello sviluppo e della liceità di queste pratiche: se da una parte la ricerca promette benefici, dall’altro è lecito fare tutto in nome del progresso?

Alcuni sostengono una sorta di neutralità etica del mondo della ricerca scientifica, rivendicando per il ricercatore ogni forma di autonomia o di libertà morale affermando che, in quanto ricercatore, questi sia soggetto solo alle leggi scientifiche del settore in cui opera e non alle leggi morali, che limiterebbero il suo spazio operativo, precludendo anche la possibilità di pervenire a risultati e nuove scoperte.

Questa visione implica l’esclusione di questo settore dell’attività umana dall’ambito della valutazione morale: in maniera esplicita o implicita tale esito è il frutto del ribaltamento del rapporto gerarchico esistente fra il valore della ricerca scientifica e quello degli esseri interessati dalla ricerca, soprattutto quando si tratta di esseri umani, sui quali vengono a ricadere eventuali danni o che vengono sacrificati in nome del valore della ricerca stessa.

A ben vedere non esiste neutralità etica per un’azione di ricerca o di sperimentazione scientifica specie quando riguarda esseri superiori come i primati o tocca l’unicità e dignità della persona umana: questa è finalizzata al raggiungimento di certi scopi, coinvolge altri esseri e provoca su di loro delle conseguenze. Tuttavia, rilevare uno statuto di non neutralità etica non significa automaticamente un giudizio morale negativo su di essa. Tale attività può risultare moralmente accettabile oppure moralmente riprovevole: compito della riflessione etica e moral-teologica è proprio l’elaborazione di tale giudizio.

Quale futuro?

Quello che in questo caso desta scalpore è l’idea che, nonostante che nel Processo ai dottori (ufficialmente «United States of America v. Karl Brandt, et al.»), il primo dei 12 «Processi secondari di Norimberga» dopo la Seconda guerra mondiale, sia stato detto «mai più» per alcune pratiche di ricerca in nome della scienza, questo appello sembra essere oggi inascoltato.

Come possiamo far sì che gli errori e i crimini del passato rimangano come monizioni sul presente e sul futuro? Abbiamo bisogno di coraggio per far risuonare nel nostro oggi dei «mai» che i nostri predecessori hanno pagato a costi altissimi.

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