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Moralia Blog

Pena di morte: quando la dottrina cresce

Il 1° agosto 2018, nella felice ricorrenza della memoria di sant’Alfonso M. de Liguori – patrono dei moralisti, rappresentante dell’etica cattolica improntata alla benignità pastorale e alla misericordia –, papa Francesco ha disposto la revisione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica in merito alla pena di morte.

Nel nuovo testo approvato si afferma che sempre e comunque «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona». Essa viene così qualificata come un trattamento crudele, disumano e degradante in sé e se ne esclude l’impiego in qualunque circostanza.

Tale autorevole insegnamento si fonda su una più chiara consapevolezza del rispetto dovuto a ogni essere umano e dell’inalienabile dignità della persona anche a fronte dei crimini più gravi, insieme alla rinnovata comprensione del significato delle sanzioni penali – soprattutto in ordine alla riabilitazione e al recupero sociale del colpevole – e alla disponibilità di efficaci sistemi di detenzione che assicurano la tutela dei cittadini, rendendo impossibile la reiterazione dei delitti.

In difesa del valore della vita umana: i papi che cambiarono la dottrina

La modifica del testo costituisce uno sviluppo significativo della dottrina alla luce del Vangelo, in continuità con il magistero pontificio degli ultimi 100 anni, che ha segnato sensibili cambiamenti nel modo classico di affrontare il tema, elaborato per altro in contesti socio-culturali molto diversi.

Già Pio XI e Pio XII avevano affermato la centralità e il valore della persona rispetto alle pretese dei totalitarismi moderni, come poi confermerà il concilio Vaticano II: «La persona (…) è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali» (Gaudium et spes, n. 25). In tal modo cade la prima argomentazione a favore della pena di morte, che considerava il reo una parte malata del corpo sociale, sacrificabile per il bene comune se non vi fosse altro mezzo per proteggere la comunità, proprio come si fa con l’amputazione di un arto cancrenoso!

La seconda argomentazione classica, ovvero la perdita della dignità umana di chi si comporta «come e peggio delle bestie», era decaduta quando Giovanni Paolo II aveva scritto, con un riferimento a Caino, che «neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio se ne fa garante» (Evangelium vitae, n. 9).

La formulazione attuale: in linea col Vangelo

In tal modo la precedente edizione del Catechismo (1997) – modificando sensibilmente la prima edizione «provvisoria» (1993) – aveva ammesso la pena di morte solo come estremo rimedio di legittima difesa sociale «quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani», ritenendo comunque tali situazioni praticamente inesistenti, vista la possibilità degli stati moderni di applicare mezzi di detenzione efficaci e incruenti (cf. Evangelium vitae, n. 56).

La nuova formulazione rappresenta un progresso armonico della Tradizione viva della Chiesa e un affinamento della sua posizione etica a favore della vita di ogni essere umano, che viene così a costituirsi come vero «assoluto morale non sacrificabile». Sotto la guida dello Spirito Santo, che ci spinge verso la sempre più approfondita comprensione della Verità rivelata da Cristo Signore, si afferma una posizione più adeguata e coerente con la novità del Vangelo, confermando la missione della Chiesa: amare, servire e difendere la vita in ogni situazione, e il suo conseguente impegno profetico a promuovere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo.

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