Parole (im)politiche: diritto. Da Locri a Riace, Antigone è tornata?
L’etica guarda tradizionalmente con grande attenzione al mondo del diritto, fino talvolta a specchiarsi in esso, rinvenendovi categorie di grande rilievo per la propria riflessione. Soprattutto poi nel diritto essa riconosce uno strumento fondamentale per la costruzione di una convivenza interumana nella pace e nella giustizia.
Anche per questo le leggi dello stato costituiscono un riferimento fondamentale per l’agire morale: disobbedire a esse è una scelta che può essere eticamente giustificata solo in casi eccezionali e con motivazioni assai forti. Per il mondo classico tragica è la figura di Antigone, pronta a disobbedire alla legge della città – e a chi ne imponeva un’applicazione disumana – in nome di leggi più antiche e più sacre.
La stessa tradizione giuridica – proprio come quella morale – ha dovuto imparare a riconoscere che il problema dell’applicazione della legge è spesso complesso: non è sempre facile comprendere quale sia la fattispecie giuridica cui ricondurre specifiche situazioni concrete.
Questo anche per il mondo ortodosso che è così attento al principio di oikonomia, come indicazione della necessità di procedere con sapienza e attenzione al bene delle persone, superando talvolta la lettera della legge. È un principio che andrebbe meditato con attenzione in tutti quei casi in cui la legge sembra invece essere applicata con una tale rigidità da farla apparire come strumento che depotenzia la vita, e segnatamente la vita in comune.
Da Lodi a Riace
Così mi interrogavo negli ultimi giorni dinanzi alla situazione venutasi a creare a Lodi: perché i nuovi regolamenti devono imporre oneri così insostenibili ai genitori di ragazzi che – pur magari nati in Italia – hanno origini extracomunitarie? Perché rendere di fatto impossibile a tali ragazzi di usufruire dei servizi di mensa e scuolabus?
Richiedendo certificazioni che – normali per un residente – sono invece impossibili da ottenere per chi vive lontano dalla terra d’origine e magari è in fuga da essa, non si stanno forse trattando con lo stesso metro situazioni che sono in effetti totalmente diverse? Questo però non è agire secondo equità, ma operare un’ingiustizia, ancor più patente perché mascherata coi panni del diritto.
Il frutto poi è solo la ghettizzazione di bambini – e dei più fragili tra di essi –, costretti a raggiungere la scuola o a consumare il cibo portato da casa in condizioni diverse da quelle dei compagni. Una situazione che svilisce il loro diritto a una socializzazione adeguata nell’ambiente scolastico, mortificandoli nella loro dignità e rischiando di coltivare in loro semi di frustrazione e di persino di odio, non certo di favorire la convivenza.
Per fortuna la solidarietà di tanti, mobilitatisi perché indignati di fronte all’iniquità o solidali con le sue vittime, ha consentito di raccogliere il denaro necessario a superare tale situazione. Essa resta tuttavia come una macchia, continuando a suscitarmi interrogativi.
Eppure possono esservi casi anche più eclatanti, quando il riferimento alla legge vale a smantellare esperienze di convivenza felice, di integrazione vivificante, di vera e propria umanizzazione per persone fuggite da realtà insostenibili, ma anche per un paese che grazie a loro aveva ritrovato vita.
Chi scrive ignora quanto gravi siano le irregolarità amministrative che motivano l’ingiunzione di sospensione dell’esperienza di Riace, ma non può mancare di chiedersi se esse non potrebbero essere affrontate in modo diverso. La prontezza a denunciare le situazioni in cui la presenza di migranti diviene problematica non dovrebbe forse coniugarsi con l’apprezzamento e anzi il sostegno per quelle in cui essa si fa invece vita di qualità, per essi e per altri?
Diritto e diritti
Dovremmo forse tornare ad apprendere, al di là della capacità di applicare il diritto, quella cultura dei diritti umani che ha preso forma al cuore della civiltà occidentale e che ne costituisce il vanto e la matrice costitutiva.
Che essi vengano motivati su base religiosa (l’immagine di Dio presente in ogni uomo e ogni donna) o a partire da altri fondamenti ideali, si tratta del solo riferimento possibile per costruire una convivenza pienamente umana.
Se posto a partire da essi, l’interrogativo circa il modo di applicare la legge non potrà in alcun modo essere visto come tentativo di legittimarne moralmente la violazione, ma piuttosto come sforzo di ricondurla alla sua matrice e al suo scopo: la crescita dell’umanità nella vita in comune.