Parole dell’etica: "Legittima difesa"
Un giovane ladro albanese, un
pensionato, una morte; la dichiarazione da parte del secondo di aver sparato
trovandosi dinanzi il primo, introdottosi nella sua abitazione per rubare.
Davvero pochi gli elementi disponibili e mentre scriviamo sono in corso indagini
tese a verificare le circostanze. Assolutamente impensabile in simili
condizioni esprimere valutazioni morali sui fatti; l’esigenza è piuttosto
quella di una doverosa prudenza.
Non solo uno slogan
Possibile e altrettanto doverosa è invece una meditazione critica dello slogan utilizzato da alcuni soggetti intervenuti nel dibattito sull’evento: “La difesa è sempre legittima”.
Un semplice slogan? Sì, ma che sottende – come spesso accade – un orizzonte etico e concettuale di vasta portata, ma anche assai problematico in questo caso. Con tali parole si afferma, infatti, che la presenza di una qualche minaccia (a prescindere, anche qui, dalla sua forma e portata, così come dalle circostanze) vale a legittimare un’azione, qualunque ne sia l’entità e la forma. Nessuna distinzione tra la difesa della vita (o dell’integrità fisica) delle persone e la tutela dei beni.
Chi ruba o minaccia di rubare, magari anche piccole cose, diviene, già solo per questo, passibile di qualunque azione difensiva, inclusa l’uccisione da parte del derubato o dei suoi (o magari anche di altri). Il diritto di proprietà assume una valenza primaria, di istanza fondamentale prevalente su qualunque altra (inclusa la vita delle persone). Lo esprime bene un tweet di commento che è girato: “Dall’alto o dal basso lui ha oltrepassato la mia recinzione entrando nella mia proprietà per cui è giusto avergli sparato”.
In realtà tale approccio è del tutto estraneo alla tradizione giuridica italiana: l’art. 52 del Codice penale sulla legittima difesa consente certo determinate azioni, ma indica anche condizioni ben precise: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Per la legge italiana, dunque, solo in certe circostanze alcuni atti non sono punibili.
Un approccio morale
Il punto di vista più strettamente etico non coincide sempre con quello giuridico, ma in questo caso i problemi sono del tutto analoghi. Che ci sia un’azione aggressiva in atto, e che il bene da difendere e il danno arrecato siano proporzionali, sono due dei criteri che anche la tradizione morale esige perché si possa parlare di legittima difesa.
Sono condizioni importanti: non è legittima un’uccisione difensiva di fronte a una minaccia che interessi solo alcuni beni non vitali, né una reazione post-factum (rappresaglia o altro atto consimile), né una "difesa preventiva".
A tali due esigenze, poi, se ne aggiunge una terza, che pure ha una grande rilevanza: un’azione difensiva è legittima solo quando non sia possibile raggiungere l’obiettivo con mezzi meno impattanti; se si può quindi impedire l’aggressione in altro modo (magari ferendo), uccidere non è legittima difesa.
Sono esigenze molto forti, che hanno tra l’altro assunto un’ulteriore centralità per la riflessione cattolica nel momento in cui – a partire dalla Pacem in terris e dalla Gaudium et spes – essa considera ormai superata ogni giustificazione della guerra che non sia quella della legittima difesa (con le stringenti condizioni di cui sopra).
Fatti e ideologie
Già accennavamo che non intendiamo valutare i fatti legati al caso da cui siamo partiti; occorrerebbe tra l’altro tenere conto di quanto complessa potesse essere, anche da un punto di vista emotivo, la posizione di chi improvvisamente scopre di essere minacciato da un intruso.
Ciò che interessa qui è solo ragionare su una posizione ideologica, estrema, ma purtroppo sempre più diffusa nel nostro tempo. Una posizione che invita a reagire sempre, colpo su colpo, occhio per occhio e dente per dente, e anzi magari con reazioni anche superiori alla minaccia.
Il rischio, insomma, è che tale posizione, decisamente immorale, si traduca in una barbarica coltivazione di una cultura della violenza.