Parigi, perché? Pensieri per giorni tristi
Giorni di lutto, di pianto e di cordoglio per chi è morto a
Parigi e di solidarietà con i suoi cari, con una città, con una nazione.
Giorni di sgomento, per una violenza spietata che si fa sempre più pervasiva, che nessuno spazio di vita risparmia.
Giorni di paura, per tutti noi, per un'Europa che ormai si sente minacciata.
Ma anche ... giorni di resistenza, col cuore e la mente; giorni di condanna per la violenza e di impegno a non cedere a essa;
giorni per continuare a vivere, perseguendo coraggiosamente progetti di pace, nel dialogo e nell'incontro;
giorni per tenere vivo il pensiero, rifiutando le facili generalizzazioni di chi vorrebbe un inesistente scontro di civiltà.
Soprattutto...
giorni in cui invocare il Signore della pace, il misericordioso, perché sostenga la speranza in un'umanità capace di essere finalmente famiglia umana, libera dalla violenza, capace di futuro.
Perché ancora Parigi?
Tener vivo il pensiero significa anche chiedersi: perché ancora Parigi? Certo in primo luogo si tratta di un obiettivo simbolo di Europa, di un paese di laicità, che per questo – come per le sue scelte internazionali – è già stato vittima di altri gravi episodi (si pensi all'attentato a Charlie Hebdo).
Forse, però, dietro la violenza brutale del 13 novembre c'è anche altro. Parigi è in queste settimane un luogo in cui si prepara un evento critico per il futuro dell'umanità: la COP 21, destinata a individuare linee condivise per il contenimento del mutamento climatico, a stringere accordi, a costruire alleanze per la Terra. Un evento su cui si appuntano speranza e preoccupazioni. Un evento da cui potrebbe emegere un'umanità più solidale, capace di sforzi condivisi contro una minaccia che sui tempi medi è anche maggiore di Daesh (l’autoproclamato Stato Islamico): il riscaldamento globale. Un evento che potrebbe disegnare un futuro meno fossile, meno dipendente dal petrolio.
Potenzialmente, insomma, un grande laboratorio di pace: qualcosa che al terrorismo non piace affatto. Colpire Parigi significa anche rendere insicuro il terreno in cui dovrà svolgersi tale evento; venare di paura i cuori e le menti dei negoziatori; rendere loro impossibile di concentrarsi su un obiettivo così vitale per il nostro futuro. Questo interessa alla follia terrorista: essa non vuole alleanze entro la comunità internazionale; ama la frammentazione, gli scontri, il moltiplicarsi dei conflitti in cui prospera la violenza; non vuole una società meno dipendente dal petrolio fondamentale fonte di denaro per Daesh.
Forse in realtà dietro gli eventi del 13 novembre c'è molta più delirante geopolitica che religione. Forse nella violenza di Parigi, nella barbara follia degli attentatori, il petrolio pesa più del riferimento all'Islam.
Non lasciarsi rubare la speranza
Sfidare questo progetto significa allora anche continuare a costruire progetti di cura condivisa del creato, senza cedere alla tentazione di posporre tale obiettivo, in nome di supposti scontri globali di civiltà. Importante in tal senso la conferma di tempi e luogo della COP 21; sarebbe esiziale lasciare ai terroristi di dettare i tempi e l'agenda della comunità internazionale.
Essenziale però anche che i delegati a Parigi trovino poi il coraggio e la lucidità per continuare operare in modo incisivo ed efficace, senza lasciare che la paura conduca a soluzioni frettolose, di basso profilo, abborracciate. Si sfida Daesh anche costruendo un'umanità diversa, garantendo futuro alla Terra e a chi la abita, promuovendo una forma di vita assieme meno dipendente da risorse critiche – come il petrolio – liberandoci finalmente dalle guerre per l'energia. L'aveva già capito Tiziano Terzani, che poco dopo i fatti dell'11 settembre scriveva a Oriana Fallaci: "Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d'anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d'essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi e odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi «contraccolpi» che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta" (Il Sultano e Francesco, Corriere della sera, 7 ottobre 2001).
Si sfida Daesh continuando tenacemente a operare su tutti i fronti per "Giustizia, pace e salvaguardia del creato" (un intreccio intuito dal movimento ecumenico e che anche nei fatti di questi giorni si rivela drammaticamente inestricabile).