Oltre la Brexit: uscita come scelta morale?
Le cronache
di questi giorni sono dominate dai riferimenti all’ormai probabile fuoriuscita
della Gran Bretagna dall’Unione Europea e dai gravi problemi che si prospettano
a seguito del voto referendario. Numerosi osservatori hanno letto in tale opzione per l’uscita una scarsa
capacità prospettica, un’incapacità di
pensare il bene comune, aldilà di uno stretto orizzonte nazionale.
Non intendiamo porci al livello dell’analisi politica, ma solo notare come il verbo uscire dice qui l’abbandono di un progetto di costruzione comune che - pur con le ombre che lo segnano - ha grande significato morale, per ritrarsi in un triste isolamento.
Essere in uscita…
È paradossale che tale dinamica venga espressa da parole che papa Francesco usa invece per esprimere l’atteggiamento morale: essere in uscita. Ma cosa significa tale indicazione per il pontefice argentino?
Lo cogliamo bene in Evangelii gaudium, che sottolinea che «il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti» (EG n.39): è in tale dinamica che trovano senso e valore le virtù dell’etica cristiana. E già l’Enciclica Lumen fidei rilevava come lo stesso Decalogo non sia un «insieme di precetti negativi», ma al contrario offre soprattutto «indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’“io” autoreferenziale, chiuso in se stesso, ed entrare in dialogo con Dio, lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia per portare la sua misericordia» (LF n. 46).
Certo, la dinamica dell’uscire ha in sé una dimensione di esperienza vissuta, talvolta caotica, incontrollabile ed irriducibile alla stretta razionalità, ma non per questo meno ricca di valenze morali: oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la «mistica» di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio (cf. EG n.87).
Non in effetti è nella solitudine di spazi artefatti, ma uscendo verso l’umano, nella sua complessità, talvolta contraddittoria che si dispiega la concretezza di un’esperienza etica di prossimità. Vi sperimentiamo un forte significato umano e morale: «uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene», mentre «chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo» (EG n.87).
Non a caso la città è il luogo in cui può stabilirsi una positiva reciprocità: «Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città» (EG n.75). In una parola, «il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (EG n.88).
…verso l’altro
Il riferimento al volto dell’altro ed alla sua interpellazione, quale punto di riferimento di ogni esperienza morale, potrebbe evocare la riflessione di Emmanuel Levinas, ma anche rimandare a tanti testi evangelici, a partire dalla parabola del buon Samaritano. Ciò che conta è che Francesco assume tale orizzonte in prospettiva ampia, senza limitarla alla relazione interpersonale.
Così, citando la Caritas in veritate, egli invita a «convincerci che la carità è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» (EG n.205). Lacerante al contrario è l’individualismo: «Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere» (EG n.99).
Ecco allora l’invito della Laudato si’: «È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro (…). L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé» (LS n. 208).
Nell’enciclica sulla cura della casa comune il movimento dell’uscire verso l’altro si dispiega su una scala ben più vasta di quella della relazionalità corta, immediata: essa si estende alla dimensione sociale per interessare anche quella ecologica. Per Francesco, insomma, uscire non dice mai della rottura di una relazione vitale, ma del continuo superamento della centratura su di sé, per aprirsi ad un bene comune ampio, multidimensionale.
E se davvero imparassimo a pensare in tale direzione anche la politica… davvero oltre la Brexit?