No vax, no party. Sull’obbligatorietà del vaccino anti-COVID
Era il 14 maggio 1796. L’Europa era devastata da un’epidemia di vaiolo che mieteva migliaia di vittime all’anno. Edward Jenner, medico di Berkeley, inoculò del materiale estratto da una pustola di una donna colpita da vaiolo bovino sul braccio di un bambino di appena otto anni, James Phipps. Questo provocò nel ragazzo qualche sintomo, ma in poco tempo James guarì.
Dopo qualche mese Jenner prelevò del materiale da una pustola di vaiolo umano e la inoculò nel ragazzo. Egli non ebbe alcuna reazione, né sintomi legati alla malattia. Iniziò così la guerra al vaiolo, che si concluderà solo nel 1980, ed ebbe avvio la prima vaccinazione («vaccino», infatti, era il termine usato per indicare il vaiolo che attaccava le mandrie), con metodi che oggi avrebbero fatto inorridire ogni comitato di bioetica che si rispetti. Da allora in poi la medicina ha fatto enormi passi in avanti, le prassi di sperimentazione sono regolate da rigidi protocolli e le vaccinazioni, a seconda degli stati, sottoposte a precise leggi.
La questione spinosa dell’obbligo vaccinale
Solo pochi giorni fa, il premier italiano Giuseppe Conte e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno annunciato la tanto attesa data del V-day nel vecchio continente, il 27 dicembre 2020, per contrastare la terribile pandemia di COVID-19 che sta affliggendo il pianeta ormai da poco meno di un anno.
È bastato tuttavia l’annuncio a far sollevare la propaganda dei «no vax», preoccupati della possibile obbligatorietà del vaccino o semplicemente propagatori di teorie complottiste, secondo cui la profilassi sarebbe addirittura dannosa per le persone più fragili.
La questione sull’obbligatorietà del vaccino è tutt’altro che semplice e scontata. Essa si confronta con uno dei principi chiave della bioetica, quello dell’autonomia, e deve tener conto delle norme stabilite dall’ordinamento giuridico statale.
In Italia «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (Costituzione, art. 32) e la legge 119/2017 già prevede dieci vaccinazioni obbligatorie per i minori fino ai 16 (anti-poliomielitica; anti-difterica; anti-tetanica; anti-epatite B; anti-pertosse; anti-Haemophilus influenzae tipo b; anti-morbillo; anti-rosolia; anti-parotite; anti-varicella).
Nonostante queste prescrizioni, negli anni scorsi si è assistito a un allarmante calo delle vaccinazioni nel territorio nazionale, determinando una copertura inferiore al 95%, soglia raccomandata dall’OMS per garantire la cosiddetta «immunità di gregge». Ciò ha portato all’emanazione di una mozione del Comitato nazionale per la bioetica e a interventi per assicurare il diritto all’istruzione dei minori non vaccinati; tuttavia il dibattito sull’esecuzione della profilassi non si è del tutto sopito, soprattutto sui social.
La particolare situazione pandemica che stiamo vivendo, con numeri elevatissimi di decessi in tutto il mondo (il nostro paese è il primo al mondo per morti di COVID ogni 100.000 abitanti), richiede però uno sguardo particolare. Qualche giorno fa il viceministro della Salute Sileri ha dichiarato che «se dopo un anno si sarà vaccinato solo il 30% della popolazione, allora sarà necessaria qualche forma di obbligatorietà per fermare il virus». Bisogna riflettere su due aspetti che ci sembrano rilevanti.
Un’opera di coscientizzazione
Il prevalente interesse di gestire al meglio la sanità pubblica e di salvare il maggior numero di vite possibili certamente può legittimare l’imposizione del vaccino per legge, in nome del bene comune (come ha recentemente ricordato in una nota la stessa Congregazione per la dottrina della fede), anche se sarebbe auspicabile che in ogni caso venisse promossa un’estesa opera d’informazione e coscientizzazione dell’opinione pubblica.
Secondo una logica di obbligatorietà ragionata, la campagna di vaccinazione dovrebbe essere accompagnata da iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione, anche ricorrendo a figure autorevoli di testimonial e favorendo un’adeguata relazione con i medici di base, risorsa indispensabile per favorire la compliance.
Così suggerisce il CNB nella raccomandazione sui vaccini del 1995: «Il medico, di fronte a un primo rifiuto, deve persistere nel cercare di ottenere il consenso; la non necessità del consenso non fa venir meno gli obblighi di informazione del paziente da parte del medico; il medico deve porsi con il dovuto scrupolo il problema dell’anamnesi e della valutazione della possibile incompatibilità; egli deve inoltre tener conto della soggettività dell’individuo e della sua idoneità al trattamento in quel particolare momento».
Il diniego responsabile
Nonostante ogni sforzo di persuasione, una parte di popolazione non vorrà sottoporsi alla vaccinazione. A nostro avviso, tale scelta va rispettata in nome del principio di autonomia, ma non si può non tenere conto delle ricadute che essa ha sui diritti di terzi.
Oltre a un chiaro rifiuto della solidarietà sociale che è implicata nell’immunizzazione di massa e all’implicita fiducia riposta nella protezione di gregge assicurata dalla maggioranza che si attiene all’obbligo, chi si oppone a essere vaccinato espone a un rischio evitabile gli altri e l’intero «sistema paese», in quanto ha maggiori probabilità di contrarre il virus e di attivare nuovi focolai.
Per questo ci appare ragionevole pretendere che quanti non sono immunizzati per propria insindacabile volontà partecipino alle spese sanitarie nel caso in cui si ammalino, almeno per una percentuale significativa dei costi (50-70%). Infatti se l’autonomia individuale pesa sulla collettività ciò costituisce una violazione della giustizia e non si può fare appello alla tolleranza civile delle proprie opinioni.
Potremmo chiamare questo secondo aspetto diniego responsabile: chi decide di agire in modo difforme alla norma può farlo a patto di assumersi i costi del ricovero e delle cure qualora eventualmente contraesse il coronavirus senza pesare economicamente sulla comunità.
La libertà ha un costo e chi si sottrae al principio solidaristico oggi non può invocarlo esclusivamente a proprio beneficio domani: l’opportunismo non è un valore né morale né civico, e non può godere di immunità… di gregge!
Giovanni Del Missier, presbitero dell’arcidiocesi di Udine, è docente dell’Accademia alfonsiana di Roma.
Roberto Massaro è docente di Teologia morale presso l’Istituto teologico «Regina Apuliae» della Facoltà teologica pugliese.