Molto rumore per nulla? Guardare alla differenza di genere nella complessità
A fine gennaio, un papà norvegese, Ørjan Burøe, ha postato un video su Facebook, nel quale lui e il figlio di 4 anni, entrambi vestiti da Elsa, una delle due protagoniste di Frozen (Disney, 2010), ballano sulle note della canzone del film Let it go. In quattro giorni il filmato è stato visto 20 milioni di volte; a oggi più di 90 milioni di volte.
Da un video virale …
Come ogni post virale, il video di Burøe ha ricevuto anche numerosissimi commenti. Da una parte manifestavano apprezzamento per quel «papà dell’anno», capace di sintonizzarsi con il proprio figlio al punto da condividerne danza e vestito. Dall’altra opponevano perplessità e critiche: un padre non può e non deve vestirsi da donna per compiacere il desiderio di un figlio. Rischia altrimenti di annacquare la propria mascolinità e confondere il bambino, la cui identità di genere inizia appena a formarsi. Io stessa ho letto commenti di entrambe le posizioni, espressi in qualche caso brutalmente; alcuni erano di conoscenti e amici cattolici.
… allo schieramento
Il riferimento al video virale consente di gettare uno sguardo su come e quanto la differenza di genere rappresenti oggi un nervo scoperto, suscettibile di posizioni diverse, in non rari casi irriducibili, anche all’interno di una visione condivisa come quella cattolica. Sembra che su questa differenza ci si senta non solo autorizzati a dire la propria, ma anche convinti che la propria sia l’unica corretta.
Di fatto il modo di declinare la differenza di genere non sembra un argomento di cui si possa parlare, ma qualcosa per cui innervosirsi, insospettirsi, litigare, schierarsi.
Da un lato c’è chi la ritiene un assunto così radicale sull’umano, che non serve discuterne, né tantomeno percorrerne i confini, pena l’offuscamento di una verità indiscutibile e la deriva morale che dalla sua trasgressione (già) emergerebbe.
Dall’altra parte vi è chi, pur mantenendo l’assunto di base dell’evidente differenza fra i generi, ne contempla la superiore complessità, rispetto a una lettura del fenomeno ritenuta «semplicistica».
Per rinsaldare gli schieramenti si sfrutta ogni occasione possibile: anche un video virale, che di per sé non meriterebbe tanta fatica, generando in fondo molto rumore per nulla, se la sua diffusione non fosse percepita come il segno pericoloso di una rigidità inammissibile o di una molle deriva, a seconda della parte da cui lo si osserva.
La virtù sta nel mezzo?
In generale quando si evidenziano due interpretazioni quasi opposte di uno stesso fenomeno, quanti non si riconoscono né nell’una né nell’altra cercano di assumere una posizione di equilibrio fra le due, componendo le parti ritenute convincenti di entrambe: una sorta di puzzle risultante da tessere di altri due.
In questo caso, però, non sembra la strategia adeguata.
Il proprio genere, infatti, non è solo una conseguenza biologica; non lo può essere. Se lo fosse, le donne e gli uomini sarebbero indistinguibili tra loro per il proprio sesso. È un’evidenza, invece, che dove si nasce e a quale cultura si appartiene determinano il modo di appropriarsi del proprio genere, insieme alle regole sociali apprese nell’infanzia e nell’adolescenza. Si deve poi riconoscere che molto fanno anche le biografie personali.
La molteplicità di variabili che influisce sull’emersione del proprio sistema «genere», impone che la sua lettura non rimanga la somma di più chiavi interpretative, nel tentativo di comporre un puzzle scalcagnato e incompleto, che non sa dare ragione di alcuna esperienza reale. Richiede invece una disposizione che sa accogliere le componenti valide di ogni proposta di lettura e ricomporle in modo originale, partendo dal presupposto che l’emersione della consapevolezza del proprio genere è questione pluridimensionale e sfaccettata, diversamente composita: non come una sfera, liscia e irreale, ma come il poliedro di cui parla papa Francesco nell’Amoris laetitia (n. 4), faticosamente armonico, ma decisamente concreto.
Emilia Palladino insegna nella Facoltà di scienze sociali della Pontificia università gregoriana «Etica della condizione femminile e della famiglia» e «Pastorale alla luce del metodo della dottrina sociale». Ha pubblicato L’educazione delle giovani generazioni alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa nell’opera collettiva «Dottrina sociale della Chiesa: alcune sfide globali», a cura di D. McDonald (Il pozzo di Giacobbe, 2010); Laici e società contemporanea. Metodo e bilancio a cinquant’anni dal Concilio (Cittadella, 2013).