Marina Ripa di Meana: un messaggio fuorviante
Alcuni giorni fa la notizia della morte di Marina Ripa di Meana è stata comunicata dai media anche attraverso la diffusione di un suo videomessaggio nel quale descriveva l’aggravarsi delle proprie condizioni di salute e manifestava la volontà di sottoporsi alla sedazione palliativa profonda.
Si tratta di una scelta che è maturata in un secondo momento perché, come ha dichiarato la diretta interessata, inizialmente era sua intenzione recarsi in Svizzera per la pratica del suicidio medicalmente assistito. Nel video compare infatti anche Maria Antonietta Farina Coscioni, parlamentare di sinistra, fondatrice dell'Istituto Luca Coscioni, contattata da Marina Ripa di Meana proprio per poter varcare i confini nazionali in vista di una morte medicalmente assistita.
L'altra via per il fine vita: cure palliative
L’incontro tra le due ha però modificato la decisione iniziale perché è stata illustrata dalla Coscioni quella che nel videomessaggio viene definita «la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda». Venendo a conoscenza di questa possibilità solo in quel momento, la stilista italiana ha lanciato un appello affinché tale via venisse resa nota a tutti, in particolare a chi ritiene che si debba andare oltralpe per porre termine alle proprie sofferenze.
Ora, l’evento qui sommariamente descritto conferma come i cittadini italiani non siano ancora del tutto informati in merito alle cure palliative e alla terapia del dolore. Vi è da dire poi che molto rimane da fare sia per formare professionisti idonei a operare nel settore, sia per creare su tutto il territorio dei centri specializzati nella terapia del dolore, diminuendo così le attuali disuguaglianze tra aree regionali. Insomma, troppo poco è stato fatto per dare completa applicazione alla legge 38 del 15 marzo 2010 (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), legge questa che è stata richiamata anche all’art. 2 del testo normativo Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento approvato lo scorso 14 Dicembre.
Il videomessaggio attesta poi come nel nostro Paese le questioni del fine vita vengano ancora oggi affrontate in maniera confusa e ambigua. Infatti, nell’appello lanciato da Marina Ripa di Meana la “via italiana” della somministrazione di farmaci sedativi che conduce alla perdita dello stato di coscienza viene equiparata al suicidio medicalmente assistito praticato in Svizzera. In realtà, la sedazione profonda non costituisce un atto eutanasico ed è questa una tesi unanimemente riconosciuta e accettata nell’ambito delle cure palliative nonché ribadita nel 2016 dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel documento Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte.
Sedazione profonda ed eutanasia: differenze
Infatti, mentre la sedazione profonda è un atto terapeutico finalizzato a ridurre o eliminare i cosiddetti sintomi refrattari, cioè quei sintomi quali irrequietezza psicomotoria, dispnea e angoscia non più controllabili attraverso gli altri trattamenti palliativi, l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito consistono rispettivamente nella somministrazione e nell’autosomministrazione di sostanze letali atte a procurare con il consenso del paziente la sua morte immediata. Di conseguenza, la sedazione profonda presenta obiettivi e procedure tali da distinguerla dalle pratiche eutanasiche.
Non riconoscere queste differenze porta all’errata conclusione che il lasciar morire sia sempre un atto moralmente equivalente all’uccidere. In realtà, la sedazione profonda è lecita quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: malattia inguaribile allo stadio avanzato, morte imminente, presenza di uno o più sintomi refrattari e consenso del paziente.
Nel caso di Marina Ripa di Meana erano presenti tutte queste condizioni, ma avendo equiparato la “via italiana” della sedazione profonda a quella svizzera della morte medicalmente assistita si è lanciato, in maniera più o meno consapevole, un messaggio discutibile, anzi fuorviante, come se le due pratiche in questione fossero equivalenti. Ma – come si è detto – così non è, e la differenza, assai rilevante, è dovuta sia a ragioni mediche (i farmaci utilizzati per la sedazione profonda sono ben diversi dalle sostanze letali impiegate per il suicidio medicalmente assistito), che a ragioni bioetiche e biogiuridiche.