Madrid e Barcellona: di aerei e peccati ecologici
Ha suscitato stupore la proposta della sindaca di Barcellona, Ada Colau, di sopprimere i collegamenti aerei tra Madrid e Barcellona (distanti circa 500 km), le due principali città della Spagna.
Stupisce che l’amministratrice di una città inviti a ridurre il livello di connessione con la capitale del paese di cui è parte, mettendo apparentemente a rischio potenzialità economiche e presenze turistiche.
Siamo forse dinanzi all’ennesima problematica espressione di autonomismo catalano, qui rideclinata sul versante dei trasporti?
Una scelta di sostenibilità
Niente di tutto questo. In realtà la proposta di Colau (che non sappiamo se sarà accolta dal governo spagnolo, cui competono le scelte in tale ambito) ha soprattutto una motivazione ecologica, decisamente condivisibile anche da un punto di vista etico.
Forse non è un caso che essa sia stata formulata in giorni che vedono il protrarsi e l’estendersi degli incendi australiani, a evidenziare una volta di più l’impatto devastante del mutamento climatico sull’ecosistema globale. È alla sua mitigazione che mira in effetti la proposta, agendo su quel compartimento dei trasporti, che contribuisce in modo importante alle emissioni climalteranti.
Molti osservatori, in effetti, sottolineano ormai la necessità di ridurre l’uso dell’aereo, che di esse costituisce una fonte davvero pesante; la scelta di Greta Thunberg di rinunciare sistematicamente a esso per i propri spostamenti ha dato visibilità a tale istanza.
Del resto, se l’aereo resta quasi insostituibile per spostamenti su lunghe distanze, sempre più convincenti sono le alternative su scale più ridotte. Basti pensare ad esempio per l’Italia alla sostanziale riduzione degli spostamenti aerei tra Roma e Milano a seguito dell’introduzione dei treni ad alta velocità (le cui emissioni di CO2 su tale tratta sono inferiori di 4/5 volte).
La sindaca di Barcellona non ha fatto altro che prendere atto di tale dinamica, proponendosi di sostenerla e rafforzarla con una scelta coraggiosa anche dal punto di vista simbolico. Tra l’altro la società dei trasporti spagnola si orienta ormai all’uso di energie rinnovabili per i propri treni, per cui la riduzione d’impatto ambientale sarebbe davvero fortissima, mentre i tempi di trasporto tra le due città non verrebbero alterati in modo drammatico.
Ci si può chiedere, invece, se una simile presa di posizione non contribuisca all’immagine di Barcellona come città colta e intelligente, volta al futuro, rendendola ancor più attraente per il turismo internazionale. In tale prospettiva, dunque, la prospettiva di Ada Colau non appare affatto come una rottura di legami e relazioni, ma al contrario come una scelta nel segno dell’ecologia integrale, attenta a una relazionalità globale sensibile anche al nostro rapporto con la Terra e i suoi ecosistemi.
Un’etica del viaggiare?
In un simile orizzonte l’uso dell’aereo (al pari del consumo di carne) può e deve essere ridotto, e alcuni interrogativi si pongono anche in relazione agli stili di vita personali. In alcuni casi – specie per certi spostamenti di lavoro – ci si può chiedere se esso non potrebbe essere sostituito (con vantaggi economici e ambientali) da un saggio uso delle tecnologie della comunicazione a distanza.
In altri casi, quando esso è inevitabile, decisamente opportune sono le forme di compensazione delle corrispondenti emissioni climalteranti: fin d’ora vi sono opzioni disponibili per responsabilità personale, ma c’è da chiedersi se esse non potrebbero o dovrebbero in prospettiva diventare obbligatorie.
È facile prevedere reazioni critiche a una simile ipotesi, così come ve ne già per quella di Ada Colau. È lo stesso tipo di criticità che si manifesta di fronte a proposte esigenti di carbon tax – misure tese cioè a penalizzare fiscalmente le emissioni di carbonio nei diversi ambiti, a partire da quelli della produzione – o di riduzione degli incentivi per i combustibili fossili.
Sono resistenze che esprimono talvolta le difficoltà di categorie deboli, minacciate in realtà essenziali alla loro esistenza o al loro agire professionale. Più spesso però esse sottendono un immorale rifiuto di farsi carico delle conseguenze e dei costi del proprio agire e dei propri consumi sull’ambiente locale e globale. Un rifiuto cioè di collocarsi in un orizzonte etico all’altezza dell’Antropocene… forse un peccato ecologico?
Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.