«Lodò l’amministratore disonesto»…
Quando pensiamo le virtù corriamo il rischio di figurarcele come realtà astratte, qualcosa che riguarda il bene in astratto. In realtà le virtù si scoprono in una situazione fontale, ovvero nell’incontro con alcune persone che vengono definite proprio grazie a esse: ad esempio soggetti giusti, coraggiosi per il bene, che guidano i propri desideri; temperanti, saggi.
Questo accade anche per l’onestà: essa rimanda all’incontro con una persona onesta. Ci troviamo di fronte a un’etica che non è esteriore al soggetto, della terza persona, ma un’etica della prima persona, del «carattere» che definisce la persona e che gli permette di realizzare il bene in pienezza. Non si offre onestà senza imparare questa virtù dagli onesti, o rilevarla quando noi stessi ci siamo comportati onestamente.
Le virtù tuttavia si caratterizzano, oltre che come attitudini e disposizioni personali, attraverso l’individuare una serie di azioni notevoli che possono definirle meglio.
Vediamo una possibile definizione dell’onestà: essa è non abbracciare tutto quello che non è leale, sincero e giusto. L’evitare quelle azioni che causano un danno del prossimo – in maniera diretta o indiretta – nella sfera personale o pubblica, materiale o spirituale e simili (cf. «Onesto», in Dizionario enciclopedico Treccani, VIII, 563).
In questa definizione scorgiamo già due aspetti differenti:
- a) una situazione che riguarda maggiormente il soggetto, la sua persona e coscienza. Essere onesti con sé stessi vuole esprimere quella sincerità, la verità su di sé: un aspetto personale e intimo;
- b) una serie di azioni che sono in relazione agli altri, che se esercitate danneggiano gli altri.
Onestà come «non maleficenza»
Mi soffermo in particolare su questa seconda accezione. Essa permette di individuare un criterio generale per l’onestà, che viene espresso con il principio di «non maleficenza». Può essere sintetizzato dalla massima «non fare del male», oppure «non nuocere ad alcuno» (cf. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae I II 100, 5).
Il principio di non maleficenza è quell’individuazione razionale che permette di proporre un concetto che fa da guida all’onestà. Esso esprime una modalità concettuale – razionale – che emerge da una serie di azioni che hanno come caratteristica quella di violare lo stesso: ad esempio in tutte quelle azioni che sono un inganno, una frode, per qualunque soggetto.
Dire l’onestà attraverso la non maleficenza, prende forma in un processo di confronto tra azioni che la violano. In questo processo – che potremo indicare come analogico – è possibile individuare azioni che sicuramente violano il principio, altre che invece, per affermare se son disoneste o meno, necessitano di chiarimenti osservando soggetti, situazioni e circostanze non generali ma concrete, infine azioni che sicuramente non violano il principio.
Nel Vangelo di Luca e nelle lettere pastorali spesso si cita la disonestà come esempio contrario alla virtù (Lc 16,8.10;18,1; 1Tm 3,8; Tt 1,7.11). L’espressione disonesto sottolinea proprio una serie di azioni, e di soggetti agenti – in particolare in un contesto materiale legato al guadagno – che violano la non maleficenza.
Non di tratta di dedurre dal principio una serie di azioni oneste, ma di confrontare azioni diverse, attraverso il criterio del principio, per definirle come azioni virtuose oneste.
Un ulteriore approfondimento riguarda «i campi» dove l’onestà è indispensabile per realizzare il bene. Tra una molteplicità possibile ne indico solo un paio.
Onestà e giustizia sociale
L’onestà è una virtù civile che oggi manca profondamente. In fondo rimane quel sentimento dell’«approfittarsi di», ovvero approfittarsi di una procedura, dello stato, di un’istituzione, dell’altro per il vantaggio personale.
Situazioni che nascono da una debolezza etica, l’assenza della virtù dell’onestà sociale come carenza del senso del bene dello stato e delle istituzioni, a causa talvolta di una fragilità delle stesse. La corruzione è in fondo un correlato della mancanza dell’onestà sociale (cf. Discorso di papa Francesco del 9 12 2019, in occasione dell’International anti-corruption day).
Onestà e giustizia distributiva
L’ambito delle preferenze indebite è luogo in cui emerge un agire disonesto. Già Tommaso rileva che il voler «distribuire» un ammontare di beni deve rispondere al «bisogno reale» del soggetto che ne beneficia. Invece considerare la preferenza o la parzialità (personarum accepio) per un beneficiario è essere disonesti (Summa theologiae II II 63,1).
Interessante notare come Tommaso faccia l’esempio del magister (di chi consegue un titolo dottorale diremmo noi, e quest’esempio non pare casuale visto la «professione» dell’Aquinate). Se un dottorato non venisse conferito a causa dell’importanza scientifica del lavoro, ma per una motivazione legata a una predilezione in merito alla persona, sarebbe profondamente disonesto e una seria violazione del bene.
Sguardo sintetico
Principio di non maleficenza, contesti sociali e dinamiche relazionali sono dunque profondamente intrecciati per definire formalmente la virtù dell’onestà e debbono entrare nella specificazione di questa virtù. Sempre poi rimandano all’acquisizione delle virtù da parte del soggetto (cf. Summa theologiae I II 49,3; I II 56,1): senza soggetti onesti non può esistere alcuna onestà solo formale.
Antonio Sacco, prete di Torino, insegna Teologia morale fondamentale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale – Sezione parallela di Torino. Ha scritto La giustizia come virtù, Effatà, Cantalupa (TO) 2017.