Lo strano caso del burkini in spiaggia – II parte
Caro don Giovanni,
il “burkini”, quest’estate, ha sollevato alcune questioni, che hai ricordato. E spesso i media hanno riportato i fatti, confondendo questioni morali e questioni non morali.
Alcune non appartengono immediatamente (ma solo mediatamente) all’ambito morale, ad es., la questione dell’igiene cui accenni (tra l’altro: è molto più igienico, per sé e per gli altri, il burkini in tessuto tecnico, rispetto a certi “costumi” da bagno occidentali, risicati). Altre sì, sono direttamente attinenti alla ricerca morale: ti sottolinei due questioni sicuramente importanti: l’inclusione (o, se preferisci, i diritti/doveri delle minoranze) e le libertà individuali. Non posso non essere d’accordo con te.
Uno sguardo da “donna” a “donne”
D’altra parte, però, da donna, trovo che sia ancor più fondamentale e urgente quella questione che riporti al termine del tuo post: il corpo della donna e lo sguardo che l’uomo gli rivolge. Sguardo che, a sua volta, la donna introietta.
Il burkini da una parte, e certi abbigliamenti, quanto meno “disinibiti”, visti qualche giorno fa al Festival di Venezia, sono due facce della stessa medaglia, ovvero un’interpretazione del corpo femminile quasi esclusivamente come corpo sessuale (azzarderei anche un: “corpo genitale”) e non, più giustamente e integralmente, come corpo sessuato, in tutte le dimensioni personali. Interpretazione limitata e limitante che non imputo solo agli uomini, anzi!
Perché ritengo che sia una questione morale fondamentale da affrontare seriamente?
1) Perché questa «oggettivazione» del (corpo) femminile è alla base di altre questioni cui la cronaca ci richiama in continuazione. Non è forse questa la stessa radice dei «femminicidi», tanto per fare un esempio?
2) D’altra parte, anche senza arrivare agli estremi limiti della violenza, questa oggettivazione porta, esplicitamente – ma ben più spesso implicitamente –, difficoltà nel comprendersi come unità dialettica di anima-corpo (vissuta come totale dicotomia o come eccessiva identificazione). Questo genera, a sua volta, fatiche nella crescita morale personale e sociale (al maschile e al femminile).
Oltre l’oggettivazione, importanza del dato culturale
Una donna abituata, dalla propria cultura, a nascondere continuamente il proprio corpo o, al contrario ma in qualche modo simmetricamente, una donna abituata a esibire continuamente il proprio corpo, è una donna che vive o in modo eccessivo il pudore o eccessivamente la mancanza di vergogna. E non devo certo ricordare a te quanto «pudore» e «vergogna» siano importanti nella vita morale non solo sessuale, ma soprattutto sessuata!
E pensi che l’operazione mentale, spesso non esplicitata, «sarò voluta bene solo nella misura in cui sarò desiderata» (o, al contrario: «sarò voluta bene solo nella misura in cui non sarò desiderata da altri uomini») sia così rara? Credimi: siamo tutte un po’ (auto)vittime di questi pensieri (mediati dalla cultura in cui viviamo), chi più, chi meno, anche in relazione a quanto la propria capacità critica e la coscienza sono state formate.
Ora, secondo tale mentalità, tutte le categorie del «desiderio» (non solo sessuale), della «gratuità», dello «incontro», del «dono»… ovvero categorie che, chi si occupa di temi di teologia morale, utilizza in continuazione, devono (dovrebbero) tener conto anche di questo dato culturale e/o storico e saperlo assumere, sia per proporre un pensiero «incarnato», sia per correggerlo laddove necessario, sia per educare (educarSI!) diversamente. Sì: «minuto di silenzio» che riporti alla fine del tuo intervento è necessario e urgente.