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Moralia Blog

L’invasione degli irresponsabili

La vicenda del tragico naufragio di Crotone è ormai ben nota e quindi non starò qui a ripeterla, limitandomi a sottolineare solo due punti fondamentali che sono poi lo spunto di queste riflessioni.

Dopo l’avvistamento dei naufraghi da parte di un aereo dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) verso la mezzanotte, partono due mezzi della Guardia di finanza. Ma il mare, forza 5-6, non consente loro di accostare l’imbarcazione perché non equipaggiati per i salvataggi, per di più in queste condizioni.

Verso le 4 una telefonata concitata al 112, effettuata da un numero internazionale, mette nuovamente in moto i soccorsi, ma ormai è troppo tardi. Il barcone si è spezzato e sulla spiaggia ci sono solo cadaveri. Sarebbe bastato che, anziché la Guardia di finanza fosse uscita la Guardia costiera, attrezzata per i salvataggi anche in queste condizioni di mare per salvare i naufraghi.

Perché non è successo? Ci sarebbe stato tutto il tempo per farlo. Secondo un Regolamento voluto dall’ex ministro delle Infrastrutture, entrato in vigore nel 2021, «quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone, una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti». Ovviamente si è trattato di una scelta politica (di inaudita gravità!), in quanto è stata considerata un’operazione di «polizia di frontiera» alla quale è deputata appunto la Guardia di finanza e non di SAR (Search and rescue) alla quale è deputata la Guardia costiera.

L’arrivo dei migranti è stato considerato come un’invasione dei confini nazionali da cui difendersi. D’altra parte le parole del ministro Piantedosi e la linea del governo vanno esattamente in questa direzione. Non a caso, se Mattarella è andato a Crotone non si è visto, invece, alcun esponente del Governo.

Una questione etica

Verrebbe da chiedersi se questa breve cronaca valutativa possa o debba trovare spazio nel nostro blog. La risposta credo sia senz’altro affermativa, dato che non si tratta di una questione politica, ma prima e fondamentalmente etica. A tal riguardo vorrei condividere alcune parole dell’arcivescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice:

«Ci avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare, su che cosa fondiamo oggi noi europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo scritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ci avrebbero detto se abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti, violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo violati noi stessi, per primi. Non è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di consapevolezza politica e umana da parte delle istituzioni nazionali e internazionali impegnate solo a stringere accordi con paesi come la Libia per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di concentramento.

Non c’è spazio oggi per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi. Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci “di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa”».

Ho riportato solo uno stralcio del discorso. Sono parole dure, forti, dirette che non lasciamo margini a sottintesi o fraintendimenti. È in gioco la nostra umanità, la nostra capacità di cogliere il grido disperato di queste persone e poi, certamente, di optare per le più opportune scelte in grado di evitare che queste tragedie si ripetano.

Ma a riproporle non saranno naufraghi disperati, trafficanti di vite umane senza scrupoli, governi esteri insensibili, ma soprattutto la nostra incapacità di tendere loro la mano soprattutto nei momenti di maggiore bisogno. Le parole del ministro e il suo anacronistico appello alla responsabilità a cui sarebbe stato educato suona davvero inaccettabile. Se effettivamente si ritiene educato a essa, l’atto più coerente dovrebbe essere quello delle sue dimissioni. Fare appello alla mancata responsabilità dei migranti quasi colpevolizzandoli per quello che è successo ricorda tanto la battuta su Maria Antonietta che di fronte al popolo che chiedeva il pane diceva di mangiare le brioches. 

Credo sia doveroso, allora, levare alta la voce, essere di pungolo per le istituzioni non limitandoci a elaborare studi, riflessioni, approfondimenti, uscire allo scoperto proprio perché forti di quel sapere e di quella humanitas che forse altri trascurano.

Occorre avere una reale parresia, anche nei confronti di ruoli istituzionali che non possono tradire il mandato di garantire la sicurezza che è affidato al ministro degli Interni. Questa non è certo minacciata da una manciata di poveri disperati, ma dalla nostra incapacità di coglierne i bisogni offrendo loro proprio quella sicurezza che viene loro negata e che, a costo della loro vita, vanno cercando.

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.

 

Commenti

  • 27/10/2023 Gianfranco Mancini

    Le migrazioni si evitano agendo sulle cause che le provocano e non tentando di arginare le cosiddette invasioni. Agire alla sorgente e non alla foce. Sembra un argomento poco affrontato. Vendita di armi, sostegno a governi compiacenti, sfruttamento delle risorse.... 

  • 15/03/2023 Mario Oppes

    Non credo che il tema delle migrazioni possa essere visto riduttivamente come un problema politico. È infatti evidente che le recenti stragi di migranti nel mar Ionio e nel Mediterraneo pongono un problema etico e ci costringono a interrogarci su quali valori morali ispirino oggi le scelte politiche. Considerando le motivazioni che giustificano la scelta di emigrare dai Paesi d’origine, non si può non riconoscere che il fenomeno rappresenti un “male”, ma non per le ragioni che molti immaginano e che porterebbero alcuni a considerare necessario impedire in tutti i modi le partenze. Come riconosce Giovanni Paolo II nella Laborem exercens (n. 23) infatti, chi emigra fa venir meno il proprio contributo per il bene comune del Paese d’origine e questo fatto non può rappresentare un bene. Ma questa considerazione non impedisce di riconoscere che, nei confronti dei migranti, esistano precisi obblighi morali. “Per il cristiano – ricorda ancora Giovanni Paolo II (Messaggio per la Giornata mondiale dell’emigrazione del 1995) - il migrante non è semplicemente un individuo da rispettare secondo le norme fissate dalla legge, ma una persona la cui presenza lo interpella e le cui necessità diventano un impegno per la sua responsabilità. «Che ne hai fatto di tuo fratello?» (cfr Gv 4, 9). La risposta non va data entro i limiti imposti dalla legge, ma nello stile della solidarietà”. Solidarietà che non sembra essere il valore di riferimento per le scelte politiche in relazione al fenomeno delle migrazioni. Occorre poi considerare che la globalizzazione ha aumentato in modo significativo la vulnerabilità umana e certamente uno dei gruppi umani più vulnerabili è quello dei migranti irregolari. "La vulnerabilità - suggerisce Henk ten Have - si riferisce alla comunanza e alla solidarietà e può essere affrontata solo attraverso un approccio sistemico, modificando le condizioni che producono ingiustizia e disuguaglianza". La questione delle migrazioni è così entrata a pieno titolo fra i temi della bioetica. Infine, se fossimo disposti a riconoscere la coerenza come una virtù, ci dovremo aspettare che, chi invoca norme a tutela della vita, non possa avere dubbi sulla necessità di fare tutto il possibile per salvare qualsiasi vita umana in pericolo. Mario Oppes, socio ATISM

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