Libertà, libertà? Dietro alle manifestazioni no-vax
Lo shock delle immagini violente legate alla manifestazione no-vax tenutasi sabato 9 ottobre a Roma pone un’esigenza di discernimento critico, anche dal punto di vista etico.
Importante sottolineare in primo luogo il grave errore di chi qualifica immediatamente come picchiatore fascista chiunque ritenga di esprimere un’opinione di dissenso rispetto alle normative anti-COVID e al green pass, accomunandolo troppo velocemente alle frange più violente infiltratesi nella folla.
Tra i no-pass vi sono anche raffinati intellettuali e – d’altra parte – persone che semplicemente attingono a fonti di informazione di modesta qualità, ma che mai avrebbero voluto essere coinvolte in simili dinamiche di piazza.
Inoltre la complessità delle diverse questioni in gioco rende certo legittima la formulazione di pareri diversi, che non per questo devono essere immediatamente squalificati.
Comprendere la Costituzione
Tali necessarie considerazioni non sono, però, sufficienti per una valutazione morale del problema; vi sono anche elementi che domandano una riflessione ulteriore, a cogliere connessioni meno immediate – e magari neppure sempre presenti alla coscienza dei soggetti coinvolti.
Perché l’ideologia no-pass – pur pluriforme nella sua espressione – è certamente centrata sull’affermazione del soggetto individuale, della sua libertà di cura (o di non-cura), della sua volontà di scegliere in sovrana autodeterminazione tutto ciò che lo riguarda, a prescindere dalle relazioni in cui egli possa essere coinvolto.
Non a caso viene spesso invocata la Costituzione, in particolare l’art. 32, laddove afferma che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario», subito dopo aver ricordato che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo».
Purtroppo però spesso si dimentica che la seconda frase prosegue sottolineando che la salute è anche «interesse della collettività», mentre la prima continua evidenziando che possono darsi obblighi di legge per specifici trattamenti sanitari. Soprattutto si dimentica di citare che quella libertà – che l’art. 16 riconosce a ogni cittadino – di «circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale» può essere oggetto di limitazioni di legge «per motivi di sanità e sicurezza».
Perché questo è il vero nodo: non il conflitto tra la libertà personale e la tirannia di uno stato che sarebbe teso a violarla e a negarla, ma l’interrogativo circa l’opportunità di limitare temporaneamente l’esercizio di alcune libertà personali in nome della sicurezza e della salute di tutti. O, per meglio dire, si tratta di comprendere in quali forme possiamo esercitare la libertà in modo da contribuire al suo esercizio il più possibile pieno e sicuro da parte di tutti. Dove possa condurre la dimenticanza di tale esigenza lo illustra in modo evidente l’episodio – certo assai meno drammatico – accaduto all’Università di Bologna l’11 ottobre: la presenza di una singola studentessa no-pass che rifiutava di lasciare l’aula del suo corso ha costretto a sospendere le lezioni per un intero gruppo di studenti.
Il diritto individuale a fruire di un determinato bene da parte di un singolo, affermato a prescindere dalle sue condizioni di esercizio – a prescindere, in particolare, dal rispetto di norme teste a tutelare la salute altrui – ha cioè impedito a un’intera comunità la fruizione dello stesso bene.
L’etica, tra ciò che è provvisorio e ciò che non lo è
Certo quella che viviamo è una situazione particolare e – lo speriamo tutti – temporanea. Ci muoviamo all’interno di un’etica del provvisorio, le cui indicazioni normative sono solo per questo tempo; valgono finché dura la pandemia.
Non è però affatto temporanea l’esigenza morale fondamentale di coniugare l’esercizio della libertà individuale con la tutela del bene comune, con l’attenzione per le relazioni e con la cura per coloro che ci sono attorno. Non è temporanea e non si esaurisce neppure se il bilanciamento di tante istanze diverse richiede discernimento, se domanda una fatica del pensiero che è essa stessa già un’azione morale.
Evitare tale sforzo, accontentandosi di gridare «libertà» senza pensare fino in fondo che cosa essa significhi, è invece purtroppo assai vicino al «me ne frego» fascista.
Non stupisce quindi la facilità con cui si sono realizzate certe infiltrazioni, in assenza degli anticorpi necessari a impedirle.
Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia.