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Moralia Blog

Le leggi morali alla luce della Bibbia

Gli interventi magisteriali di papa Francesco continuano a essere oggetto di ferventi dibattiti all’interno della comunità ecclesiale.

Da una parte l’entusiasmo per il rinnovamento proposto rispetto ad alcune aree morali, in primis quelle afferenti alla vita di coppia (Amoris laetitia), ma anche ai diritti civili, economici e culturali da estendere a ogni uomo e a ogni popolo (Evangelii gaudium; Fratelli tutti, Querida Amazonia), fino alla cura del creato (Laudato si’).

Dall’altra una diffidenza critica che lo avverte come sovvertitore dell’ortoprassi (e per qualcuno persino dell’ortodossia) cattolica.

Entusiasmo talora a buon mercato, fondato su un generico compiacimento per una Chiesa che «finalmente» si ammoderna; e scandalo da parte di chi avverte nei suoi interventi una drastica rottura, se non addirittura un rinnegamento della morale così come sarebbe scritta nel testo sacro della Bibbia e tramandata dall’insegnamento della Chiesa.

Il vulnus delle due posizioni va ricercato nel non corretto rapporto tra Scrittura, tradizione della Chiesa e legge morale.

Un compito di fedeltà

In due interventi su questo blog, mossi dall’approccio metodologico alla sacra Scrittura praticato nella Laudato si’ e dal documento della Pontificia commissione biblica Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica (da qui DPCB; LEV, Città del Vaticano 2019), si è richiamata l’attenzione rispettivamente su una lettura non selettiva del testo biblico che, in prospettiva morale, induce a considerare solo e sempre alcuni testi scritturistici; e sul peso non solo parenetico, ma anche etico-normativo dei contenuti narrativi.

Vogliamo ora soffermarci su un ulteriore nodo affrontato dal DPCB, utile a dirimere la questione relativa al compito della Chiesa di fedeltà alle leggi morali contenute nella Rivelazione. Nodo che si presta a sciogliere la summenzionata contrapposizione tra gli ambienti progressisti e quelli conservatori della comunità cristiana.

Distinguere che cos’è integrante e che cosa contingente

Al numero 5 del documento Che cosa è l’uomo? è sottolineato il compito di «distinguere tra ciò che nella pagina biblica è parte integrante della Rivelazione e ciò che invece è espressione contingente, legata a mentalità e costumi di una determinata epoca storica». Una sua comprensione letterale, fissista e fondamentalista rischierebbe, paradossalmente, di tradirne il contenuto più autentico.

A fronte di questa istanza la teologia, in particolare nel suo momento morale e pastorale, è investita da un duplice mandato.

Innanzitutto deve compiere un’opera di divulgazione scientifica per mostrare l’intimo rapporto tra rivelazione e cultura, così da non fermarsi alla lettera (rischio dell’ala conservatrice della Chiesa) e neppure immaginare un’operazione di semplice restyling per essere alla moda (rischio dell’ala progressista della Chiesa).

Di qui il secondo compito, assai più delicato del precedente quanto indispensabile: raggiungere «lo spirito della lettera» poiché «la lettera uccide, mentre lo Spirito dà vita» (2Cor 3,6).

E questo secondo la duplice interpretazione acutamente rilevata da padre Albert Vanhoye:[1] la prima che intende per lettera le parole scritte nella loro oggettività e per spirito l’intenzione di fondo dell’autore; e l’altra che legge la parola spirito in senso strettamente teologico, come lascia intendere lo stesso Paolo in un versetto precedente (2Cor 3,3), per cui l’antitesi alla lettera della legge è lo «Spirito del Dio vivente» che qualifica la «Nuova Alleanza» (Alleanza «non di lettera, ma di Spirito», precisa Vanhoye).

Lettera e spirito

Nella direzione della prima interpretazione a cui si attiene la nostra presente riflessione (la seconda, sebbene ancor più rilevante, richiederebbe ben altri spazi) risulta innovativa la distinzione introdotta dal DPCB  tra le leggi di natura religiosa ed etica e le prescrizioni di indole simbolica:

«Le prime hanno una validità perenne e universale, non subiscono modificazioni nel tempo e sono esigibili da ogni persona sulla faccia della terra: l’adorazione di Dio, il rispetto della vita, della proprietà altrui, della verità non sono soggetti a cambiamento. Altre norme, anche molto utili per dare identità a un popolo, sono invece solo un modo contingente di esprimere un determinato valore; esse sono perciò modificabili, in funzione della loro opportunità ed efficacia sociale. Precetti come la circoncisione, la pratica del sabato, le regole di purità, le norme sui cibi puri o impuri, e così via, contengono certamente aspetti lodevoli, ma potranno subire variazioni nell’applicazione o addirittura essere aboliti, se nuove misure di ordine simbolico saranno più adatte a esprimere l’adesione al Signore e l’amore per il fratello» (n. 278).

Il DPCB invita a proseguire questo processo di discernimento. Un compito certamente complesso soprattutto se si considera, come osservato dal biblista Gianluca Carrega, che la Commissione biblica non fornisce «criteri più precisi sulla definizione delle norme»[2]; e tuttavia tanto urgente quanto lo è il compito avvertito dal Concilio Vaticano II e fatto proprio da papa Francesco, di annunciare il Vangelo di sempre nel nuovo clima culturale moderno e ancora più ampiamente nelle diverse culture contemporanee.

Un compito che tanto sollecita la teologia morale e la dispone a rivisitare le questioni considerate oggi spinose.

 

Paolo Mirabella è docente di Fondamenti etici, filosofici e teologici all'Istituto universitario salesiano di Torino - Università pontificia salesiana e di Bioetica all'Università cattolica Sezione «Cottolengo» - Torino e Moncrivello (VC). Ha scritto, tra l’altro, Legami di libertà. Coppia e famiglia, promessa di comunione, Cittadella, Assisi 2020.

 

[1] A. Vanhoye, La lettera uccide, lo Spirito vivifica: https://www.spiritosanto.org/formazione/articoli/0051.html

[2] G. Carrega, “Il documento della Pontificia commissione biblica Che cosa è l’uomo?: prime osservazioni”, in Archivio Teologico Torinese 2(2020)383-397, 388.

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