L’amore nel tempo delle bambole
Desaparecido. Sparito. Scomparso. Così è dell’amore nel tempo delle bambole. E insieme all’amore scompare anche il tu che caratterizza ogni forma d’amore, in particolare quello sessuale. Cosa resta?
Dallo scorso settembre a Torino è stata aperta la prima casa di tolleranza legale dopo la loro chiusura a opera della legge n. 75 del 1958, meglio conosciuta come Legge Merlin. Quella legge chiuse le case di tolleranza e definì la prostituzione un reato.
Aggirare l’ostacolo con un “gioco”
Oggi, a 60 anni esatti, la LumiDolls propone una vasta gamma di prostitute al silicone che, non essendo persone umane ma bambole fatte in morbido elastomero termoplastico con un’anima d’acciaio e completamente snodate, possono essere utilizzare a piacimento senza implicare alcuno sfruttamento della prostituzione. Da un punto di vista legale, dunque, aggirato l’ostacolo.
Ma, qualcuno obietterà, le bambole non parlano e non interagiscono. Sono oggetti. Questo in alcuni casi è tristemente considerato un vantaggio: no coinvolgimento emotivo, no problemi di attaccamento, no problemi etici di tradimento della moglie o della fidanzata, solo piacere puro. Al cliente è promesso un godimento assoluto: «Chiudendo gli occhi mentre si stringono le braccia della bambola scelta, è possibile immergersi completamente nella propria fantasia sessuale».
La casa di tolleranza ha incassato il «tutto esaurito» fino a dicembre. Dopo pochi giorni poi l'attività è stata sospesa dalle autorità municipali per problemi burocratici e sanitari, che la LumiDolls dichiara saranno risolti in fretta.
Ma chi si era «precipitato» per avere assicurato un incontro di questo tipo? L’età media dei clienti pare essere molto bassa: non supera i quarant’anni.
Dietro il piacere, la paura
Qualcuno, intervistato per strada su questa nuova possibilità, ha parlato di folklore. Qualche altro di business del piacere. Qualche altro di gioco. Tutte definizioni squallide e mortificanti l’umano. Forse sarebbe più opportuno parlare di paura. Paura dell’altro, di incontrarlo, di amarlo e di lasciarsi amare. Paura di vivere delle relazioni d’amore in cui il «tu» mette in gioco «l’io», lo stimola a diventare sempre più sé stesso attraverso l’incontro che, a volte, può divenire scontro ma che, sempre, fa esistere. Paura di diventare «grandi» cioè di prendersi la responsabilità di impegnarsi per e con l’altro, lanciandosi nella splendida avventura di accoglierlo e amarlo per quello che è. Paura di lasciarsi coinvolgere in una vita condivisa e donata fino in fondo senza «se» e senza «ma».
E insieme alla paura si coglie l’egocentrismo di cercare il piacere fisico solo per sé stesso e in quanto piacere compreso individualisticamente. La sessualità, lo dice la psicologia prima del Catechismo, è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio con il suo inviolabile valore, per cui nel rapporto erotico umano il «dare e ricevere piacere» è la cifra stessa dell’amore.
Queste bambole sono quasi perfette ma non sono donne né uomini. Usandole si mortifica sé stessi e si consuma un adulterio del cuore e dell’amore ben più grave di quello del corpo. Con loro il disimpegno è scontato come il piacere che, pur intenso, è destinato a finire.
Ma la persona umana può accontentarsi di vivere la relazione con l’altro, che è costitutiva del suo stesso esistere, solo in fantasia? È questo l’orizzonte cui l’uomo postmoderno aspira?