La speranza si può imparare. Con tre scalini
Parlare nel nostro contesto della virtù teologale della speranza sembra quasi un ossimoro. In un mondo impegnato a essere centro se stesso, dove solo il fruibile ha valore, la speranza appare come un orpello antico e inutile.
Papa Francesco nell’esortazione apostolica postsinodale Christus vivit contrappone alla logica dell’immediato e del pessimismo l’educazione alla speranza. Rivolgendosi ai giovani non esita a scrivere di vigilare perché non «si lascino rubare la speranza» (n. 15). L’invito del pontefice sprona a percorrere strade che educano alla speranza come incontro di fede in Gesù che «conduce a una speranza che va oltre, a una certezza fondata non soltanto sulle nostre qualità e abilità, ma sulla Parola di Dio, sull’invito che viene da Lui» (n. 141).
Preso nel suo insieme tutto il quinto capitolo della Christus vivit è un percorso di educazione alla speranza.
Il dialogo che ci apre
La speranza cristiana ha la sua ragione di essere in Dio, che con la sua promessa, fatta carne in Cristo, tiene desto il nostro desiderio della vita eterna. Se questo è il contenuto teologico della speranza, resta il problema di come declinare tutto ciò nella vita di credenti.
Una prima pista ci viene offerta dallo stesso pontefice, il quale ci invita a sostenere la cultura del dialogo come via maestra. Il dialogo vero presuppone la capacità dell’ascolto silenzioso e rispettoso. Il dialogo vissuto in pienezza martirizza, perché invita all’accoglienza reverente dell’altro.
A tal proposito potremmo parlare del dialogo come una vera virtù che abilita all’incontro, all’ascolto reciproco e alla libertà sincera nel rispondere costruttivamente. Il dialogo per essere fruttuoso richiede che le persone coinvolte abbiano dei valori comuni.
Il dialogo, vissuto come cammino educativo, invita a uscire dalle nostre sicurezze per aprirci all’ascolto, a scoprire un orizzonte diverso dal nostro. Nel cammino di maturazione spesso c’è la tentazione di volersi sempre, e per forza di cose, confrontarsi con l’altro, più che entrare in relazione. Il dialogo vissuto come confronto spesso scade in scontro.
La nostra società, fatta di comunicazioni iper-veloci, ha un tasso altissimo di parole che più che creare ascolto e comprensione costruiscono muri.
Educare al dialogo significa educare la mente e il cuore a non rinchiudere l’altro negli schemi che di sovente vogliamo applicare per essere certi di dominare. Guardare l’altro come possibilia Dei apre ed educa alla speranza.
Dalla responsabilità alla libertà
Un cammino di speranza così inteso invita a educare alla responsabilità. Essere responsabili significa educare all’uso delle parole utilizzate.
Lo sforzo dell’educazione alla responsabilità, come via maestra verso la realizzazione della speranza, comporta aiutare a maturare scelte libere e consapevoli. La responsabilità lega insieme passato e futuro. La responsabilità può prendersi cura del presente se ha memoria del passato e proietta verso i beni futuri.
Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ ricorda che «non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità» (n. 118).
La responsabilità si apprende come stile di vita, non dal singolo, ma dalla comunità che in reciprocità di coscienze, accompagna i più fragili, si prende cura dell’ambiente, per affidare alle giovani generazioni una speranza sempre nuova.
Globalizzare la speranza
Se la responsabilità individuale e comunitaria è vissuta in pienezza ci fa cogliere un’ulteriore sfida: globalizzare la speranza.
Potrebbe sembrare un gioco di parole ma «globalizzare la speranza» e «sostenere le speranze della globalizzazione» sono impegni prioritari per un’educazione veramente umana. Se il fruibile è superiore alla speranza cristiana, se gli interessi economici sono superiori alla cura del creato, se la logica del potere è superiore a quella del servizio, l’homo homini lupus ha vinto la sua sfida sull’educazione alla speranza cristiana.
Invece a questa logica riduzionista si oppone la speranza cristiana, che apre il cuore al progresso, allo sviluppo, alla pace per costruire un mondo migliore in vista della promessa della visio beatifica.
«Globalizzare la speranza è la specifica missione dell’educazione all’umanesimo solidale. Una missione che si adempie attraverso la costruzione di rapporti educativi e pedagogici che addestrino all’amore cristiano, che creino gruppi basati sulla solidarietà, nei quali il bene comune è connesso virtuosamente al bene di ogni suo componente, che trasformi il contenuto delle scienze in linea con la piena realizzazione della persona e della sua appartenenza all’umanità» (Congregazione per l’educazione cattolica, Educare all’umanesimo solidale, 2017, n. 18).
Alfonso V. Amarante* è un presbitero e religioso redentorista; è preside dell’Accademia alfonsiana e insegna Teologia morale alla Pontificia università lateranense.