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Moralia Blog

La pena di morte per l’orso

La singolare vicenda dell’aggressione e uccisione di un escursionista da parte di un’orsa pone alcuni interrogativi etici. Allo stato attuale non sappiamo perché Andrea Papi sia stato ucciso. Imprudenza? Eccessivo avvicinamento alla tana? Minaccia per i cuccioli? Forse le successive indagini ci daranno una riposta ma non lo riporteranno in vita. Quella stessa vita che, invece, era stato deciso di sopprimere riguardo all’orsa, se non fosse intervenuto il TAR a bloccare l’ordinanza.

Ovviamente qualunque persona di buon senso comprende bene che, se dal un lato è doveroso mettere in sicurezza le persone che a vario titolo si aggirano intorno agli orsi della zona (e questo in particolare che pare sia particolarmente aggressivo), dall’altro non lo si può «punire» per quello che ha fatto.

Pur nella tragedia da cui tutti siamo rimasti colpiti e per la quale non possiamo non essere vicini ai familiari l’orso ha solo fatto… il suo mestiere cioè difendersi in modo aggressivo nel momento in cui si è sentito minacciato. Non è necessario essere animalisti per comprendere quanto possa essere insensato pensare al suo abbattimento, mentre è assolutamente ragionevole trovare le più opportune misure per contenerne l’aggressività. Ma fin qui non vi sarebbero particolari motivi per soffermarci a parlarne nei nostri blog. Il problema che si pone è un altro.

Animali umanizzati…

Vi è, infatti, un sottile fil rouge che lega questa vicenda alle considerazioni morali che possono farsi oggi intorno alla dignità dell’animale anzi, per meglio dire, alla sua personalizzazione. La contemporaneità ha riscoperto il valore «in sé» dell’animale, e non solo la sua utilità come avveniva in passato (per fini di lavoro, come mezzo di trasporto, per compagnia all’uomo ecc.).

Ma tutto questo, come sappiamo, ha portato al’estremo opposto di un’indebita «personalizzazione». Alcuni cagnolini vanno in giro spesso con abiti firmati, i loro padroni si autodefiniscono «mamma» e «papà», ricevono attenzioni che spesso neanche a un bambino vengono date. Si è persa insomma la dimensione di unicità della persona umana, per cui è pur sempre valida la classica definizione di Boezio naturae rationalis individua substantia, sostanza individuale di natura razionale. Proprio in quest’ottica, ad esempio, il cadavere pur con tutta la dignità che merita (tanto da essere reato il suo vilipendio) è stato ma non è più persona. A maggior ragione l’animale. E questo non inficia il rispetto, il legame e l’affetto che possiamo nutrire nei suoi confronti, soprattutto quando è sostitutivo di una carenza affettiva.

… e come punirli

Che c’entra tutto questo con l’orsa da abbattere? In realtà chi chiedeva la sua pena di morte non si è atteggiato in modo diverso a chi dorme con il cagnolino nel letto e lo cura come farebbe con un proprio figlio. L’orsa è soltanto un animale come animale è il cane o il gatto. Non può essere oggetto di punizione o «condanna morale». Se non mettiamo i valori al posto gusto andremo ancora incontro a possibili provvedimenti operati sulla base di impulsiva emotività. Ha ucciso un uomo, uccidiamolo (anzi, in questo caso, uccidiamola).

In tutto questo se volessimo approfondire ancora il problema si potrebbe porre anche il tema della vera e propria pena di morte. In sua alternativa cosa facciamo con l’orso: gli diamo l’ergastolo o vent’anni di segregazione? Questo ci induce a una riflessione che certamente non può dirsi conclusiva ma che definisce le linee del nostro discorso. In sintesi forse sarebbe più opportuno che anziché alla dimensione morale dell’animale anche questa vicenda dovrebbe indurci a pensare un po’ di più alla nostra.

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.

Commenti

  • 28/04/2023 vallesanmartino@gmail.com

    L’indebita personalizzazione dell’animale, su cui giustamente si sofferma l’articolo, con il correlato di attribuire agli animali una dimensione morale IN SE’, forma un discorso che sembra in contraddizione con la prima parte dell’articolo dove, sotto l’egida di una pertinenza dell’interrogativo etico, si pongono sullo stesso piano la doverosità del mettere in sicurezza le persone che frequentano luoghi dove gli orsi possono transitare e la necessità di difendersi da questi stessi animali che per ragioni del tutto “naturali” possono manifestare aggressività anche mortale nei confronti degli esseri umani.

    Il secondo termine della questione – quello che con parole mie chiamo “necessità – è però espresso, nell’articolo, con la terminologia del “punire/punizione” e cioè: difendersi vuol dire uccidere l’orsa perché ha commesso una colpa gravissima. Forse l’operazione dell’autore è quella di “riferire” quelle che sono state le reazioni più impulsive alla tragedia prendendo posizione critica rispetto ad esse.

    Tuttavia è singolare che per esprimere quello che può essere successo si ipotizza una corrispondenza che, da un lato, presume per il povero Andrea Papi comportamenti che “fanno carico” su di lui quasi in termini di “irresponsabilità”, dall’altro “libera” l’animale da qualsiasi “colpa” perché “ha fatto solo il suo mestiere”. E cos’altro potrebbe fare l’orsa che, infine, è innocente? Infine o anche ... all’inizio?

    Che senso ha poi constatare che le indagini “non lo riporteranno in vita” deplorando che quella stessa vita – ma quale stessa vita? – “era stato deciso di sopprimere riguardo all’orsa”? Quella stessa vita (quella dell’orsa) è ora rinchiusa in una specie di RSA per animali di grossa taglia ed è assai probabilmente sotto pesante (pesantissimo) trattamento farmacologico per “tenerla buona”, in attesa della pronuncia della “legge” (il TAR) che ne deciderà la fine (e così, forse, ne giustificherà l’inizio...).

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