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La corruzione e il dono pervertito

Una delle questioni non secondarie della corruzione, fin dall'antichità, è sempre stata quella legata alla difficoltà di circoscriverla, di definirne i contorni in termini sia etici sia giuridici. Si tratta peraltro di una questione che per molti versi ci vede ancora oggi procedere per tentativi, suscettibili di essere di volta in volta riposizionati e ristrutturati.

1. Cos’è corruzione?
In poche parole: quando inizia e quando finisce la corruzione? Ogni volta, ad esempio, che viene presentato un disegno di legge o un intervento legislativo che ha a che fare con comportamenti di corruzione si riapre il dibattito. Basta seguire quanto sta succedendo in questi giorni a proposito della proposta del governo italiano in materia di anticorruzione. Per quanto la materia possa essere strumentalizzata e perfino intenzionalmente manipolata, vi è sempre qualcosa di vero che ha a che fare con la natura sfuggente della stessa corruzione.
Una delle ragioni sembra che possa essere rintracciata nel fatto che fin dall'antica Grecia, ad esempio, la corruzione veniva chiamata anche dorodokia, ossia era associata all'universo del donare, all'offerta di regali: si riteneva che la corruzione per lo più potesse passare attraverso i doni.
Ebbene, in questo scenario aleatorio, secondo l’antropologo Marcel Hénaff parlare di corruzione significa mettere in luce la presenza di una relazione di dono, ma sotto una forma pervertita. È cioè una forma che, in maniera abituale, opera un corto-circuito tra scambio supposto generoso e scambio rivolto a trarne un qualche profitto.

2. Dal dono allo scambio perverso
Naturalmente la relazione di dono, fatta di oblatività, che genera riconoscimento e convivenza, non porta in sé nulla che possa vederla predisposta alla corruzione. Da dove nasce allora la corruzione? Quando le pratiche del dono interferiscono indebitamente con le leggi dello scambio, allora lo scambio diventa, secondo Hénaff, “pericoloso e anche immorale”, in quanto porta a contare sui legami personali di alleanza o di dipendenza per realizzare transazioni che invece devono essere soggette alle regole pubbliche di giustizia.
Forse si trova qui una delle ragioni per cui la corruzione tende a propagarsi e a diventare “abituale”, come afferma papa Francesco, in quanto ammantata della relazione del dono. Si tratta di uno snodo decisivo che abita la coscienza nelle cose ordinarie e tuttavia nel suo nucleo profondo. La logica del dono fa da “buona coscienza” a una relazione che invece ne incarna la più sottile perversione.

Lorenzo Biagi
segretario generale della Fondazione Lanza
docente di etica presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia

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