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Moralia Blog

La circoncisione rituale maschile: etica e salute

Stando ai dati forniti dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), il 35% delle circoncisioni effettuate nel nostro paese su bambini stranieri viene eseguito clandestinamente e a domicilio, cioè da chi non possiede competenze mediche e in luoghi inadeguati dal punto di vista igienico-sanitario.

Circoncidere neonati o bambini maschi in un tale contesto significa aumentare il rischio di complicazioni gravi, quali emorragia e infezioni, che a volte possono addirittura condurre alla morte del piccolo, come dimostrano i quattro decessi registrati in Italia (precisamente a Monterotondo, Scandiano, Genova e Bologna) a partire da dicembre 2018.

Sensibilizzazione e tutela sanitaria

Dopo queste morti tragiche, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCEO) ha rilanciato l’appello dell’AMSI – formulato tra l’altro anche da alcuni membri autorevoli delle comunità ebraiche e musulmane – a inserire la circoncisione rituale nei livelli essenziali di assistenza (LEA).

Sul tema è intervenuta poi l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che il 15 aprile 2019 ha inviato una segnalazione al ministro della Salute per sollecitarlo a prendere provvedimenti secondo una duplice linea d’intervento. Da un lato, si legge nella segnalazione, è necessario sensibilizzare maggiormente i genitori e le comunità interessate affinché la circoncisione venga praticata da personale qualificato e in ambienti che garantiscano il rispetto delle norme di igiene e di asepsi.

Dall’altro, vista la disomogeneità di accesso nel nostro paese alle strutture sanitarie per effettuare la circoncisione, nonché la scarsa disponibilità economica delle famiglie, si raccomanda che tale pratica venga offerta in modo uniforme e a prezzi accessibili dal Servizio sanitario nazionale.

Per analizzare criticamente la proposta di inserire nei LEA la circoncisione rituale maschile, occorre ricordare come quest’ultima non persegua finalità terapeutiche e profilattiche. Non si tratta infatti di una circoncisione terapeutica, come quella eseguita in caso di fimosi e parafimosi, o ancora di una pratica circoncisoria effettuata per prevenire infezioni del tratto urinario. Essa non avviene cioè – come in questi ultimi scenari – su proposta del medico, per ripristinare la salute dell’assistito o per evitare l’insorgenza di particolari patologie.

La circoncisione rituale non presenta ragioni di carattere medico perché è dettata da motivi religiosi o culturali. Di conseguenza in questo caso la pratica circoncisoria effettuata all’interno della struttura sanitaria si traduce in un intervento del medico caratterizzato da finalità che vanno al di là della terapia.

Beni in conflitto e possibili derive

In base a queste considerazioni, la circoncisione rituale sarebbe difficilmente declinabile come un servizio che il Sistema sanitario è chiamato a fornire a tutti i cittadini. Stando alla segnalazione dell’AGIA, si potrebbe però sostenere che è la tutela del bene della salute dei minori a richiedere l’inserimento della circoncisione rituale nei LEA. Il rischio di complicanze diminuisce qualora tale pratica venga eseguita in condizioni medico-sanitarie appropriate, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale e con tariffe accessibili a ogni fascia di reddito.

Seguendo questa linea di ragionamento, si giungerebbe però a includere nei LEA anche altre prestazioni che ancora oggi vengono effettuate da personale non competente e in precarie condizioni igienico-sanitarie. Molto probabilmente le mutilazioni genitali femminili continuerebbero a essere vietate, ma in nome della tutela della salute potrebbe ad esempio essere richiesto al Sistema sanitario di garantire gli interventi di chirurgia estetica non clinicamente necessari.

Per evitare queste derive, occorre allora mantenere dei criteri di priorità nella distribuzione delle risorse sanitarie nonché responsabilizzare tutti alla promozione della salute individuale e collettiva.

 

Francesca Marin* è docente a contratto di Filosofia morale presso il Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’Università degli studi di Padova.

Commenti

  • 19/07/2019 Vallesanmartino

    Le osservazioni di Francesca Marin sono molto interessanti soprattutto se le caliamo nel clima sconfortante che si respira oggi rispetto agli stranieri poveri e, per conseguenza, alle loro usanze. Al di là del discorso, molto appropriato, sui livelli di priorità dei LEA, mi nasce un interrogativo sul gesto della circoncisione, religioso e rituale, e sul suo significato.

    Mi chiedo: il ricondurre la sua esecuzione entro un assetto, quello igienico-sanitario pubblico, nel quale inevitabilmente assumerebbe un andamento procedurale e non certo rituale, non snatura la circoncisione trasportandola “in un altro mondo”? Da un mondo religioso, di fede, a un mondo dai connotati tecnico-funzionali - alcuni dei quali ricordati dall’autrice come la “pratica offerta in modo uniforme” e il “prezzo accessibile”- del tutto estranei al primo.

    Diverso, ma molto connesso, mi pare il discorso rispetto a eventuali interventi estetico-sanitari conseguenti a pratiche religiose come le infibulazioni, che restano comunque vietate. Perché poi tali interventi non dovrebbero essere “clinicamente necessari”? Forse perché hanno una causa non-sanitaria che, disgraziatamente, produce effetti sanitari? Certamente è tragico attendere ancora (e chissà per quanto …) nell’adeguare livelli, regole e criteri della sanità pubblica alle caratteristiche della popolazione abitante nel nostro Paese.

    Tuttavia la riflessione di Francesca Marin ci riporta, secondo me, a uno strato diverso e più profondo, a un tema antico quasi quanto il pensiero: quando e quanto il “come” incide e modifica il “cosa” ? E andare in profondità marca il trattamento anche delle scelte e decisioni tecnico-economiche. O no?

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