La bioetica: ponte verso il futuro? O forse scialuppa…
Quando l’oncologo americano Van Potter pubblicò la sua raccolta di saggi Bioetica: ponte verso il futuro correva l’anno 1971. Le sfide globali alla sopravvivenza dell’umanità e dell’intero pianeta erano esplose su larga scala e l’opinione pubblica si interrogava già con forza sul suo futuro.
Oggi aggiungere il punto interrogativo è obbligatorio, perché «quel» futuro si è fatto presente e la bioetica più che un ponte sembrerebbe essere diventata una scialuppa indispensabile per navigare nel mare della complessità del reale attuale.
Da ponte a scialuppa
Nel mare si mescolano le acque dei diversi fiumi che vi confluiscono, e il risultato non è la somma delle parti ma una realtà nuova, variegata e multiforme che va studiata e affrontata con categorie e criteri adatti.
Allo stesso modo i diversi aspetti della vita (umana, animale e ambientale), alla luce degli esiti dello sviluppo tecnologico impensabile solo 50 anni fa, hanno dato vita a una realtà complessa non più affrontabile in modo separato e distinto.
Occorrono criteri integrali e integrati che riescano a proporre una riflessione ampia e articolata alla luce di un’ermeneutica della realtà capace di andare oltre la concezione di un reale-naturale tradizionalmente inteso.
Detto in altri termini, la riflessione etica sulla vita chiede una definizione e comprensione della stessa molto complessa, interconnessa e includente i risultati del connubio NCICR, cioè le interazioni tra nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienze cognitive e robotica applicate alla vita umana, animale e ambientale.
Tutto questo non è più un «futuro» a cui bisogna prepararsi, ma un «presente concreto» in cui navigare. La bioetica, allora, ha superato il ruolo di «ponte» stabile e unico che consente il passaggio da un tempo a un altro, da un ambito a un altro, e sta metabolizzando la nuova fase in cui si trova a essere una scialuppa che cerca delle modalità di navigazione per sperimentare questo contesto, esprimibile con l’immagine del mare, in termini di opportunità e non di disfatta.
Tra canti di sirene e carte nautiche…
In questa navigazione, già di per sé avventurosa ma intrinsecamente affascinante perché espressione dell’essenza ontologica della vita, un aspetto deleterio è dato dalle carte nautiche usate dai naviganti i quali scambiano, non sempre in buona fede, il canto delle sirene con le rotte da seguire.
Fuori di metafora, ci sono alcuni ostacoli significativi che la nuova bioetica integrale, indipendente da altre considerazioni, si trova di per sé ad affrontare.
Senza pretese esaustive se ne citano due come esempi: la post-verità e l’autodeterminazione.
La post-verità si esprime nella forza esercitata dalle emozioni e credenze personali sulla pubblica opinione rispetto al peso dei fatti oggettivi e alla riflessione che essi richiedono. Nel tempo in cui si hanno come maestri gli youtuber e come università i commenti letti e scritti sui social network, il consenso è costruito sulla persuasione, che a sua volta si radica nelle emozioni e nelle credenze.
I fatti diventano così ininfluenti, e i riferimenti per interpretarli inutili. La riflessione etica, da cui dovrebbero in ultima istanza scaturire le decisioni alla fine di tutto il processo, è semplicemente inconcepibile perché incomprensibile. Il bene e il male, distinzione importante almeno a livello teoretico per ogni prospettiva etica riguardo alla vita nel suo complesso, sono ridotti a questioni soggettive. Ne consegue la difficoltà a mettere a fuoco il bene sia personale sia comune. E ciò che è relativo appare come vero, dunque buono.
A ciò è strettamente collegata l’esaltazione del principio di autodeterminazione, che è diventato uno dei vessilli etici e giuridici della postmodernità. La sentenza numero 438 del 2008 della Corte costituzionale sancisce infatti l’autodeterminazione come diritto fondamentale della persona. Anche se già san Tommaso aveva dato una significativa definizione di questo concetto, oggi il suo peso è sbilanciato totalmente nei termini di libertà e autonomia interpretati in termini soggettivi e soggettivistici.
Questa logica trasforma i diritti dell’uomo, colti all’interno del bene comune e globale del pianeta, in diritti dell’io riducendoli al rango di pretese autocentrate.
In acque navigabili
Alla luce di tutto questo l’opportunità che la nuova bioetica globale, indicata nella Laudato si’, ha di fronte a sé è di mostrare all’uomo postmoderno la necessità di un quadro di riferimento globale, integrato e dinamico della comprensione dell’umano e della natura.
Questa è la scialuppa necessaria perché le possibilità tecnologiche siano acque navigabili e non pericolosi gorghi.